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QUIRINALE E IL RISCHIO DEL “METODO LEONE”

Un Presidente della Repubblica eletto da una minoranza, e con in più una storia personale con ombre, sarebbe una ferita indelebile.
Ferita che rischierebbe di provocare una cancrena nelle nostre istituzioni.

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"Roma (RM), 2018, Piazza e Palazzo del Quirinale." by Fiore S. Barbato is licensed under CC BY-SA 2.0

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il 24 gennaio iniziano le votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. Evento cruciale per la vita democratica ed istituzionale italiana.

Ad oggi nessun accordo tra i partiti. Ciò rende impossibile l’elezione del Presidente nelle prime tre votazioni, dove è richiesto la maggioranza dei due terzi, pari a 671 voti.

Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, 504 voti.

Probabilmente il nuovo Presidente della Repubblica sarà quindi eletto dal quarto scrutinio in poi.

Difficile fare previsioni. I nomi sono tanti. Un bis del Presidente Mattarella; Silvio Berlusconi; Pier Ferdinando Casini; Giuliano Amato.

Dopo il quarto scrutinio tutto può accadere. Anche di vedere Silvio Berlusconi al Quirinale.

Le forze politiche sono divise, senza una leadership capace. Non a caso a dettare legge è Matteo Renzi, alla guida di un partito che non arriva al 2%.

L’attuale Parlamento si è dimostrato spesso incapace e quindi capace di tutto.

Nelle intenzioni dei padri costituenti, il Presidente della Repubblica doveva essere una figura nobile. Garante della Costituzione e dell’unità nazionale. Eletto con il maggior consenso possibile.

Nel 2022 siamo lontani da questi ideali. Dopo Sergio Mattarella, ottimo Presidente, navighiamo nelle nebbie.

Visto il momento storico, era auspicabile un’elezione con il “metodo Ciampi”. Eletto al primo scrutinio con 707 voti, nonostante 180 franchi tiratori.

Rischiamo invece il “metodo Leone”. Eletto nel 1971 al ventitreesimo scrutinio, con 518 voti su 1008.

Giovanni Leone viene scelto per bloccare la candidatura di Aldo Moro ed un possibile accordo con il Pci. Con Aldo Moro eletto Presidente della Repubblica nel 1971, la storia italiana sarebbe cambiata senza dubbio.

Questo deve far riflettere.

Quando le logiche personali vincono sull’interesse comune. Quando lo spirito della Costituzione viene ignorato, i rischi sono altissimi.

La Pandemia ha portato una profonda crisi economica e sociale. Certo i numeri dell’economia parlano di forte ripresa.

Sono, però, numeri lontani dal cittadino comune, dal lavoratore e da molti imprenditori. Che non vedono miglioramenti, anzi.

Mario Draghi è stato scelto per “curare” l’economia. Abbiamo dimenticato però il tessuto sociale. I nuovi e vecchi poveri. I dimenticati dalla sanità pubblica, che deve concentrare i pochi mezzi alla cura del virus.

Serve un Presidente della Repubblica capace di parlare a tutti gli italiani. Di essere portavoce di tutti gli italiani.

Nel 1971 l’Italia era in una situazione simile. Crisi economica dopo il boom degli anni 60. Crescenti tensioni sociali. Profonde divisioni.

Serviva un Presidente della Repubblica capace di dialogare con tutti. Capace di ascoltare tutti. Di individuare le cause del conflitto sociale.

Invece, per logiche di parte, si è preferito un Presidente della Repubblica espressione di pochi.

Dobbiamo imparare dalla Storia.

Un Presidente della Repubblica eletto da una minoranza, e con in più una storia personale con ombre, sarebbe una ferita indelebile.

Ferita che rischierebbe di provocare una cancrena nelle nostre istituzioni.

Deve essere tempo di giganti. Non di nani.

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