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“Incubo”, dove termina il ciclo dei sogni

Intervista a Pecci, cantautore e producer milanese.

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In copertina, il cantante Pecci (Immagine fornita dall’ufficio stampa dell'artista)

di Alessandro Andrea Argeri

Dopo l’ipnotica di “Armageddon” e la malinconica “Latte e Biscotti”, Pecci torna su tutti i digital con Incubo” (distr. ADA Music Italy), brano dalle attuali sonorità indie-lunge, tappa conclusiva del “Ciclo dei Sogni” iniziato nel 2021.

(Immagine fornita dall’ufficio stampa dell’artista)
  • Una lunga gavetta nella musica che ti ha portato a toccare tanti generi diversi. Come nasce la passione per l’indie?
(Immagine fornita dall’ufficio stampa dell’artista)

Indie è un termine che ha cambiato significato negli ultimi anni. Io non ascolto solo il nuovo e vecchio cantautorato italiano, anzi ascolto qualsiasi genere mi incuriosisca. Anzi credo sia proprio questo il significato di Indipendente. Ad esempio nell’ ultimo anno mi sto appassionando alla dancehall grazie a Burna Boy, Omah Lay, Rema, Wizkid, TEMS. A Burna Boy ci sono arrivato grazie a Jorja Smith, avendo avuto 4-5 anni di approfondimento della musica RnB dove mi sono appassionato ad artisti come Anderson Paak, Masego, Tyler the creator, Tom Misch; tutto il soul post Motown. Insomma il mio obiettivo è scrivere la canzone, o meglio, il tema, memorabile. Quel tema che passa alla storia. Credo che QUEL tipo di canzone si può scrivere solo se si è liberi da qualsiasi sovrastruttura mentre si scrive, solo se ci si diverte mentre si produce e se si vuole davvero creare qualcosa di nuovo.

  • Il ciclo di sogni era iniziato lo scorso anno con “Narcolettico”. Si conclude con “Incubo”. Un bilancio generale?

Bilancio generale: sto aprendo gli occhi. Mi isolo di meno, anche se ogni tanto, come tutti, ho bisogno di stare solo. Ho sempre avuto momenti di “autocritica violenta” e questo è sia un superpotere che una super debolezza. In Incubo io, ormai esperto navigatore del mondo dei sogni e della distorsione della realtà, cerco far dimenticare al tu lirico (la mia ex) le brutte esperienze del passato, invitandola a non rimanere incastrata in un loop di autocommiserazione, invitandola a reagire.

  • Conta più l’accettazione della paura o la capacità di affrontarla?

Marzullo sarebbe fiero di questa domanda. (ride ndr.) Ci sono paure che possiamo affrontare e altre che no. Paure che possiamo ignorare ed essere coraggiosi e paure che se ignoriamo siamo stupidi. Più che la paura mi viene da pensare a sua sorella maggiore, la Paranoia. La Paranoia è la paura della paura di non essere il protagonista della vita, nella propria vita. Quello che pensano gli altri di noi (solo chi ci piace o ci serve) e che pensiamo noi degli altri, quello che noi pensiamo degli altri proiettato su di noi. Quello che pensiamo che dovrebbero pensare gli altri di noi e come vorremmo essere rappresentati.

  • Un po’ troppi pensieri?

Sembra una supercazzola, ma fa parte della nostra vita e insieme a sua sorella Paranoia ci può dare consigli utili, ma ci può anche tenere paralizzati, come un familiare troppo protettivo. Dovremmo ascoltarla, dialogarci e capire se ci sta dando forza o se ce la sta togliendo.

  • Che cosa rappresenta per te “Incubo”?
Cover del brano “Incubo” (Immagine fornita dall’ufficio stampa dell’artista)

Incubo è un incantesimo per me, mi fa entrare nella timeline in cui l’ho scritta.
Sono stato con questa ragazza più di un anno e mezzo, abbiamo convissuto, la amavo, ma non gliel’ho mai detto a parole. Ho paura di chi dice ti amo, l’amore si fa, non si dice. Si dimostra.
Insomma avevamo una relazione turbolenta e credo che il suo passato la stesse ancora torturando perché spesso i motivi di litigio erano esterni a me e al mio controllo. Non ho rimpianti anche se mi piace ancora oggi, credo di aver fatto tutto il possibile per stare con questa persona. Ad un certo punto l’amore per me ha vinto sull’amore per lei. Rappresenta la presa di coscienza estrema anche dentro il sogno, rifugio di chi non vuole dare troppe spiegazioni.

  • La storia del videoclip invece?

Il videoclip è stato girato da Andrea Pomarico, con Samuele Petrin, Riccardo Pelagatti e la partecipazione di Antonio Moscaggiura. Abbiamo girato tutto in una notte. Tra Ortica e Famagosta dove abbiamo cercato degli spot per girare questo film. Al protagonista si ferma la macchina in mezzo alla strada, prende un borsone pesante e una tanica e va a cercare un benzinaio. Attraversa un sottopassaggio dove succede qualcosa: la gravità dei ricordi inizia a fottersi e girare su se stessa facendolo persino cadere a terra. Qualcosa è cambiato. Arrivato al benzinaio (Antonio Moscaggiura), riempie la tanica. Sembra sapere qualcosa che non sappiamo. Piede piede fa per tornare all’auto, ma una volta arrivato, decide di usare la benzina per bruciare il borsone. Simbolo di un passato pesante.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).