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Quell’eterno senso di colpa delle donne

Grillo è stato in grado di concentrare in poco più di un minuto e mezzo una serie di luoghi comuni quasi capaci di far rimpiangere le più classiche argomentazioni sul tema

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di Lavinia Orlando

Credit foto Criss! licenza CC BY-NC 2.0

L’elenco dei luoghi comuni che tentano di giustificare le violenze che le donne subiscono da parte maschile diventa, ogni giorno, sempre più folto. Se l’abbigliamento eccessivamente succinto, il trucco troppo provocante, gli atteggiamenti chiaramente invitanti, la circostanza di muoversi in solitaria, percorrendo vie poco sicure, rappresentano i classici della materia, proposti indifferentemente, perfino da donne, per giustificare qualsivoglia comportamento maschile che superi il limite della consensualità dell’approccio, le novità sul tema non tardano a palesarsi.

L’ultima della serie è rappresentata dall’esternazione di un padre che avrebbe salvaguardato i presunti violentatori della di lui figlia, definendoli “dei bravi ragazzi”, ed accusando la presunta vittima (sua figlia) di essersi ubriacata e di non essere stata in grado di comprendere cosa fosse successo. Fermo restando che la giustizia penale farà il suo corso e fornirà la verità processuale ed assodato il successivo e forse un po’ tardivo mea culpa del padre, tale vicenda genera un’ulteriore attenuante o esimente culturale – prima ancora che giudiziaria – in ordine a comportamenti che non accennano a ridursi.

E non è tutto. Il “però se l’è cercato”, frutto di decenni di cultura patriarcale, impernia anche l’ultimo celebre video di Beppe Grillo, in cui il fondatore del Movimento Cinque Stelle, con l’obiettivo di difendere il figlio accusato di violenza sessuale, si imbarca in quella che potrebbe rivelarsi come una tra le peggiori operazioni politiche della recente storia italiana, oltre che un boomerang personale e giudiziario.

Lungi, ancora una volta, dal voler entrare nell’aspetto processuale della vicenda, un punto non può essere taciuto: Grillo è stato in grado di concentrare in poco più di un minuto e mezzo una serie di luoghi comuni quasi capaci di far rimpiangere le più classiche argomentazioni sul tema: una donna che è stata violentata non può ritardare la denuncia dei fatti e, laddove ciò si verificasse, non si tratterebbe di violenza, così come una donna che ha subito uno stupro non può riprendere, nell’immediatezza dei fatti, la sua ordinaria vita o – sacrilegio – recarsi a fare sport o attività ludiche, perché, se così fosse, sarebbe decisamente impossibile che la violenza possa essersi perpetuata.

Queste due affermazioni rappresentano un’aberrazione dal punto di vista culturale, ma anche giuridico e, conseguentemente, politico. Correva, infatti, il luglio 2019, quando il Parlamento approvava la legge n. 69, denominata “Codice Rosso”, di modifica a codice penale, codice di procedura penale ed altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, introducendo svariate innovazioni, tra cui la previsione di nuovi reati, il sensibile incremento delle pene per illeciti già previsti, diverse modifiche nelle procedure con la finalità di proteggere quanto più possibile le presunte vittime e l’incremento da sei mesi ad un anno del termine per sporgere denuncia per il delitto di violenza sessuale.

La vittima, dunque, è tale anche laddove denunci la violenza a distanza di oltre 360 giorni, perché – e qualcuno informi il fondatore dei Cinque Stelle – il senso di colpa che già accompagna normalmente l’esistenza di molte donne – l’affermazione per cui “la donna deve curare la casa ed allevare i figli” è ancora prevalente nel subconscio di molte –  si centuplica dopo una violenza – “sei sicura di non essertela cercata?”, è la voce che sovente accompagna le vittime. E Grillo avrebbe dovuto saperlo, trattandosi di modifiche approvate durante il primo Governo Conte, con un Parlamento ad ampia composizione pentastellata.   

L’ideatore del Movimento Cinque Stelle, tuttavia, non si è fermato a ciò: sempre nella medesima circostanza, ha contestato l’operato dei giudici e citato un video da cui si evincerebbe che l’episodio, ben lungi dal rappresentare uno stupro, non sarebbe altro che una situazione goliardica in cui quattro giovani si divertono con una ragazza, ancora una volta sminuendo la vicenda, dimenticando il ruolo politico da lui ricoperto ed aprendo autentiche autostrade che sono state immediatamente ed ovviamente percorse dai tanti che hanno subito da Grillo medesimo sacrosanti bombardamenti, rivelatisi, alla luce delle esternazioni appena analizzate, autentici boomerang.

Al di là dell’interferenza, del tutto fuori luogo, nell’aspetto giudiziario della vicenda, è la contraddizione politica a venire in luce: può il leader di una forza politica che ha fatto della lotta al berlusconismo delle leggi ad personam uno dei suoi cavalli di battaglia trasformarsi nella brutta copia di colui che aveva sempre contrastato? Ancora, com’è possibile giustificare l’atteggiamento di tanti esponenti del Movimento, che si sono equamente distribuiti tra coloro che hanno semplicemente taciuto e coloro che hanno morbidamente contrastato le parole di Grillo, ma solo dopo aver precisato una vicinanza dal punto di vista umano? E, proseguendo, giungerà il momento in cui il Movimento chiarirà se ed in quale misura la presenza di un padre fondatore continuerà ad influenzarne la linea politica, oltre alle dichiarazioni pubbliche?

In attesa che giunga risposta a questi ed a tanti altri interrogativi, i Cinque Stelle continuano a perdere preferenze e, salvo che non ci siano evidenti rettifiche, l’emorragia risulterà importante soprattutto nel mondo femminile.