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Attualità

Morti grigie

Finché si parlerà di “morti bianche”, si tenderà a declassare i decessi sul lavoro ad incidenti privi di responsabili, determinati o determinabili e, come tali, frutto di fattori incontrollabili – quando, invece, è noto a tutti che controlli scarsi o inesistenti, eccessivo sovraccarico di lavoro, manutenzione cattiva o del tutto assente hanno autori con nomi e cognomi ben precisi.

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Credit foto FilleaCgilNazionale licenza CC BY-NC-SA 2.0

di Lavinia Orlando

Se, nel riferirsi ai decessi sul luogo di lavoro, si decidesse finalmente di abolire l’espressione “morti bianche”, si sarebbe già compiuto un piccolo passo in avanti nel tentativo di affrontare una delle più serie problematiche che affligge il nostro Paese.

Trattasi di uno di quei casi in cui la forma è sostanza: finché si parlerà di “morti bianche”, infatti, si tenderà a declassare i decessi sul lavoro ad incidenti privi di responsabili, determinati o determinabili e, come tali, frutto di fattori incontrollabili – quando, invece, è noto a tutti che controlli scarsi o inesistenti, eccessivo sovraccarico di lavoro, manutenzione cattiva o del tutto assente hanno autori con nomi e cognomi ben precisi.

Ed è giustappunto a ridosso della festa dei lavoratori che l’Italia si è risvegliata profondamente ferita con riguardo ad un ambito ultimamente posto nel dimenticatoio: quello della sicurezza sul lavoro.

Luana D’orazio, 22 anni, madre di un bambino di soli 5 anni, morta incastrata nel macchinario su cui lavorava; Christian Martinelli, 49 anni, perito a causa di uno schiacciamento da tornio meccanico; Mattia Battistetti, 23 anni, anche lui morto travolto da un carico cadutogli addosso in seguito alla rottura della fune che lo reggeva; e si potrebbe proseguire a ritroso, elencando ben 185 morti in tre mesi (stando ai dati INAIL), che corrispondono a circa 2 morti al giorno.

È una strage senza soluzione di continuità che, tuttavia, giunge agli onori delle cronache solo in particolarissime occasioni, essenzialmente quando la storia personale della vittima accende una curiosità giornalistica che potrebbe facilmente essere confusa per morbosità. Per il resto, un po’ come accade per le stragi di migranti nel Mediterraneo o per i morti da corona virus, anche con riguardo agli omicidi sul lavoro, tutto passa quasi sotto silenzio, sia perché soppiantato da altre notizie e polemiche più succulente, sia per lo scattare di quel meccanismo di protezione dalla sofferenza che ci porta a convivere pacificamente anche con le più aberranti tragedie, sia perché disquisire delle cause che conducono alle morti di cui sopra genererebbe un terremoto di proporzioni bibliche, che andrebbe a scompaginare l’intero sistema politico – sociale nel quale siamo abituati a vivere.

Le morti sul lavoro, difatti, non sono quasi mai prive di responsabili, tanto tecnici quanto politici. Iniqua suddivisione dei carichi di lavoro, personale insufficiente, risparmio nei costi legati alla sicurezza sul lavoro, scarsità o assenza di controlli, (eccessivo) ricorso al precariato sono solo alcune tra le cause generatrici degli incidenti.

Esse sono talvolta frutto di scelte organizzative dell’imprenditore, del tutto lecite, ma inevitabilmente foriere di conseguenze sovente irreversibili, come l’incremento esponenziale del rischio di incidenti. Se, infatti, pur di risparmiare ed incrementare i ricavi, si riduce il personale e si richiede a chi continua a lavorare un surplus di impegno, il deficit di attenzione e la stanchezza sono inevitabili concause – ma mai fattori scatenanti – dei possibili incidenti.

C’è, poi, il precariato diffuso ed assolutamente legalizzato e perciò caratterizzato da una complicità istituzionale che è sotto gli occhi di tutti e che ha reso assolutamente lecite tipologie contrattuali al limite della vergogna. L’abuso di lavoratori con contratti a scadenza, infatti, determina la compresenza di due fattori estremamente problematici: personale non sempre specializzato e, soprattutto, costretto ad impegnarsi, nel talvolta vano tentativo di vedersi riconfermato, fino allo stremo, con tutto il carico di stanchezza, fisica e mentale, che a ciò consegue.

Quando, tuttavia, le scelte imprenditoriali sfociano nel mancato rispetto di norme di legge, soprattutto nel campo della sicurezza sul lavoro e del rispetto dell’orario, ed a tale situazione si affianca la carenza di controlli, la questione si complica, perché va a coinvolgere le istituzioni con riferimento ad inefficienza da una parte e pesanti complicità dall’altra, in un ambito che, al contrario, dovrebbe essere estremamente attenzionato.  

Ecco perché le vicende di Luana, Christian, Mattia e delle altre centinaia di donne e uomini che hanno perso la vita per lavorare sono tutto tranne che “morti bianche”. Al contrario, al fine di mantenere aderenza con la realtà, sarebbe più opportuno adoperare altri colori, partendo dal grigio per indicare le tante zone d’ombra che caratterizzano questi episodi fino a giungere al rosso in ricordo del troppo sangue ingiusto versato.