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Il carcere non è una pattumiera sociale

Detenuti picchiati e umiliati. Questo mostrano le telecamere del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Immagini allegate al provvedimento della Procura della Repubblica che ha portato all’iscrizione del registro degli indagati di 52 agenti della Polizia Penitenziaria. Per alcuni di loro il Gip ha disposto misure cautelari. Tutti sono stati sospesi dal servizio.

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Credit foto Inside Carceri licenza CC BY-NC 2.0

Credit foto Inside Carceri licenza CC BY-NC 2.0

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Detenuti picchiati e umiliati. Questo mostrano le telecamere del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Immagini allegate al provvedimento della Procura della Repubblica che ha portato all’iscrizione del registro degli indagati di 52 agenti della Polizia Penitenziaria. Per alcuni di loro il Gip ha disposto misure cautelari. Tutti sono stati sospesi dal servizio.

Fatti accaduti nell’aprile 2020. In diversi penitenziari italiani, tra cui quello di Santa Maria Capua Vetere, c’erano state proteste dei detenuti legate all’emergenza Covid. I detenuti chiedevano le necessarie misure per evitare i contagi in carcere e protestavano contro la sospensione delle visite dei parenti. Proteste che in alcuni casi sono sfociate in violenze. A Santa Maria Capua Vetere i detenuti hanno preso il controllo di un settore della struttura carceraria. La protesta, però, rientra dopo una mediazione.

Le proteste dei detenuti scatenano roventi polemiche politiche. Il Ministro della Giustizia Bonafede viene accusato di aver perso il controllo del sistema carcerario. In questo clima avviene l’operazione presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Il 6 aprile 2020 viene decisa una perquisizione di tutte le celle. Su ordine del provveditore del Dap Antonio Fullone arrivano agenti del Gruppo di supporto agli interventi. Perché un così forte spiegamento di forze in un carcere dove la protesta era rientrata? Secondo ciò che emerge dagli atti resi pubblici, gli agenti in servizio presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere non avevano gradito l’atteggiamento del comandante che aveva dialogato con i detenuti. Dialogo che era stato considerato un pericoloso segnale di debolezza. Per dare, invece, un segnale di forza viene inviato il Gruppo di supporto agli interventi. Ciò che è accaduto possiamo vederlo nei video pubblicati. Detenuti picchiati in maniera selvaggia da decine di agenti. Violenze che non hanno alcuna giustificazione.

Sarebbe, però, un grave errore di valutazione ritenere responsabili solo gli indagati. La responsabilità è politica. Detenuti e agenti della Polizia Penitenziaria vivono tutte le gravi mancanze del nostro sistema carcerario. Carceri spesso vecchie e fatiscenti; sovraffollamento; vitto scarso; cure inadeguate per i detenuti; gravissime carenze nell’organico della Polizia Penitenziaria; mancanza di adeguati strumenti per assicurare il reinseremento nella società dei detenuti e la sicurezza degli agenti di custodia. Tutte problematiche a cui la politica non ha mai voluto e saputo dare risposte. Servono investimenti colossali. Soprattutto serve il rispetto del dettato costituzionale. Il carcere non è una pattumiera sociale. Non è un luogo dove buttare le persone scartate.  Nel carcere si costruisce la seconda possibilità che tutti meritano. La politica cavalca il disagio, senza risolvere nulla. Promettere non costa nulla.

Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono avvenute davanti le telecamere del sistema di sorveglianza. Perché tutta questa sicurezza? Gli agenti erano sicuri di rimanere impuniti? Certamente le dichiarazioni di certa politica possono aver dato un falso senso di impunità. Lo stesso Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede definì i fatti di Santa Maria Capua Vetere come «una doverosa operazione di ripristino di legalità» .  Evidentemente il fu dj Fofò non aveva potuto o voluto approfondire le segnalazioni dei detenuti che hanno poi dato il via all’inchiesta della magistratura.

Tanta è l’indignazione per le violenze del 6 aprile 2020.  I più indignati dovrebbero essere le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Costretti a turni massacranti. Costretti ad un duro compito senza strumenti moderni ed efficienti.  Usati come capro espiatorio di una politica che ha nella repressione l’unica soluzione all’emergenza carceri. Perché la repressione costa poco. Il messaggio della politica per i detenuti e gli agenti della Polizia Penitenziaria è chiaro: non meritate di vivere in condizioni migliori, non ci sono soldi per voi.

In carcere non finiscono solo i cattivi. Basta poco per scivolare. Per commettere errori che possono portare al carcere. La punizione prevista dalla legge è la perdita della libertà. Non la perdita della dignità. Non la perdita della possibilità di avere un futuro.

Lasciamo alle saggie  parole di Vittorino Andreoli il compito di ricordare cosa dovrebbe essere un carcere: «E credo che il carcere debba essere un luogo di rieducazione  e avere, dunque, le caratteristiche delle istituzioni educative, attente a tirar fuori dallo studente ogni elemento che gli permetta di diventare più utile per la società. Il carcere come camicia di forza, come immobilità per non far del male è pura follia, è antieducativo. Non appena viene tolto il gesso, c’è subito una voglia di correre e di correre contro la legge. Senza considerare l’assurdo di un luogo dove si accumula la criminalità, che ha un potere endemico maggiore di un virus influenzale».