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Violenza di Stato

Nelle forze dell’ordine ci sono ancora frange fasciste chiuse in un sistema gerarchico, sicuramente minoritarie, ma comunque fonti di disagi, pertanto gli organi di polizia vanno democratizzati.

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Credit foto Ryan Mcgrady, licenza CC BY-SA 4.0.

Un attacco durissimo alla democrazia italiana. L’episodio del carcere di Santa Maria Capua Vetere è solo uno dei tanti esempi di “violenza di Stato”. Un poliziotto ha il diritto di difendersi, tuttavia troppo spesso vediamo un uso spropositato della forza, o addirittura illegittimo.

di Alessandro Andrea Argeri

Sono stati rinvenuti nei giorni scorsi dei video delle telecamere di sicurezza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, istituto penitenziario in provincia di Caserta, risalenti al 6 aprile 2020, all’interno dei quali sono registrati sanguinosi pestaggi e abusi a carico dei detenuti colpevoli di aver protestato in piena emergenza pandemica per un caso di positività di Covid-19 all’interno della struttura.

Le indagini hanno portato alla custodia cautelare per 52 agenti della polizia penitenziaria. I capi d’accusa sono molteplici oltre che molto gravi: “concorso in torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti”, “maltrattamenti pluriaggravati”, “lesioni personali pluriaggravate”, “falso in atto pubblico aggravato”, “calunnia”, “favoreggiamento personale”, “frode processuale e depistaggio”. Nei video si vedono i detenuti costretti a passare in un corridoio di agenti muniti di caschi e manganelli, fatti inginocchiare, colpiti alle spalle per tutelare l’anonimato dei picchiatori.

Alcuni prigionieri vengono poi portati irregolarmente in isolamento. Uno di questi ha anche perso la vita per via di un mix di sostanze stupefacenti, secondo la procura in seguito alle torture mentre il gip è più propenso a considerare l’ipotesi di suicidio. Ancora, sono state registrate anche delle dichiarazioni degli stessi agenti prima, dopo e durante la soppressione della protesta. “Li abbattiamo come vitelli”, “domate il bestiame”, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”, sono solo alcune frasi catturate dalle intercettazioni.

Sebbene sia condannata dalla Carta costituzionale, l’Italia ha una storia di violenza molto radicata, prima legalizzata all’interno del fascismo, poi diventata una costante dal secondo dopoguerra. Si tratta quindi di un problema capace di tornare ciclicamente, con cause svariate nonché estremamente controverse. Sicuramente alla base ci sono complicità politiche, le cui reazioni sono inquietanti, ma anche una sbagliata gestione da parte dei partiti unita a una propaganda più incentrata sulla retorica della forza quanto invece su un piano per la tutela dei diritti umani, perché queste violenze anzitutto sono frutto di ideologia.

Nelle forze dell’ordine ci sono ancora frange fasciste chiuse in un sistema gerarchico. Queste sono sicuramente minoritarie, ma comunque fonti di disagi. Pertanto gli organi di polizia vanno democratizzati. In Italia vige un sistema di violenza, di tortura, della quale sentiamo parlare più volte, a cui però non partecipano i singoli, bensì decine di colpevoli con tanto di capi, omissioni, rivelazioni in momenti secondari grazie a giornalisti, magistrati o carabinieri coraggiosi nel denunciare. 

Poi ancora tra le cause si possono annoverare il malcontento, la noncuranza, la scarsa formazione dei nostri militari. Oltretutto l’Italia viene sempre sanzionata dall’Europa per la condizione delle carceri: sovraffollate, troppo piccole, malcurate, talvolta addirittura inagibili, prive di educatori così come di personale psichiatrico. Servirebbero invece istituti penitenziari dai quali si possa uscire migliori, o almeno ci si prova, non gabbie sterili per le quali si è ancora più propensi a ributtarsi nella criminalità una volta scontata la pena. Del resto, come scriveva Dostoevskij: “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”.

Ovviamente in simili vicende bisogna sempre considerare il ruolo dei singoli per evitare di generalizzare ingiustamente. Non è affatto vero infatti che “tutte le guardie sono cattive”, tuttavia la violenza contribuisce ad alimentare tale stereotipo: è un danno stesso all’immagine di un’istituzione statale incaricata di mantenere l’ordine pubblico.

Infine è da considerare la reazione dell’opinione pubblica, la quale sembra addirittura legittimare la violenza, quando in realtà questa dovrebbe essere inaccettabile. I commenti più frequenti in merito alla vicenda sono stati: “tanto erano detenuti, ad essere picchiata è stata la feccia”, una minoranza, come quando muoiono dei migranti in mare, “tanto sono dei clandestini”. Tuttavia a venir picchiati non sono stati gli ergastolani o i condannati per mafia, perché ovviamente a toccare quelli si temono ritorsioni esterne. Hanno subito le violenze i così detti criminali “minori”, ovvero i delinquenti comuni: ladri, malati mentali, infermi, spogliati, percossi, umiliati da una ferocia selettiva. Il valore di una democrazia si misura anche in base a come vengono trattate le minoranze. Sotto questo punto di vista l’Italia ho molto da migliorare, è una pessima democrazia, “malata” di menefreghismo, assuefazione, deleghe a terze parti, tutti sintomi della sua involuzione.

Credit foto Luca di Ciaccio, licenza CC BY NC-SA 2.0

Certamente la violenza delle forze dell’ordine italiane non è pari a quella di altri paesi democratici come Stati Uniti o Francia. Tuttavia la tortura è troppo presente nel sistema carcerario italiano. Assolutamente non come in Cina, in Turchia, o in Russia, ma c’è. Prima degli avvenimenti di Santa Maria Capua Vetere ci sono stati precedente episodi nell’ultimo ventennio, alcuni anche molto eclatanti come vedasi la morte di Stefano Cucchi o il massacro del G8 nella scuola Diaz di Genova, quest’ultimo avvenimento condannato nel 2015 dalla Corte europea per i diritti dell’uomo.

Non si può rischiare di essere picchiati se si finisce in carcere, se si partecipa a una manifestazione o se si esprime un parere contrario. Ecco perché è necessario cambiare il sistema italiano, in cui dovrebbe essere inaccettabile la violenza perpetrata da chi invece dovrebbe contrastarla per tutelare lo Stato di Diritto oltre che i diritti umani. Portare sul petto lo stemma dello Stato dopo aver giurato sulla Costituzione è una responsabilità da onorare, non da infangare. A tal proposito, concludiamo con una citazione tratta dall’articolo 13 della Costituzione italiana: “la libertà personale è inviolabile”.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).