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Taranto, disabile abusata da conducenti dei mezzi pubblici. Le lacrime di coccodrillo di uno degli indagati.

L’uomo si è fatto prendere dalla reazione emotiva solo quando ha avuto ben chiare le conseguenze penali alle quali sarebbe andato incontro

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Qualcosa mi sfugge se, nel giro di pochi anni si sono verificati in due città diverse del nostro paese due gravi fatti di cronaca praticamente identici, il primo ad Ancona ed il secondo a Taranto. Identica è la categoria di coloro i quali hanno posto in essere gli atti criminosi, identica la tipologia delle  vittime, identica le modalità con cui i colpevoli hanno inteso agire. Tante sono le cose che faccio fatica a comprendere ma tra queste totalmente ignoto mi è il piacere sessuale che si possa provare obbligando una partner, per giunta disabile, a subire  attenzioni non richieste,  più spesso violenze. 

Due ragazze infatti con evidenti disagi psichici sono state per anni abusate dai conducenti dei mezzi pubblici delle proprie città, i quali consumavano gli abusi negli autobus parcheggiati in luoghi appartati, dopo aver chiuso i mezzi affinché le vittime non trovassero vie di fuga. Gli episodi più recenti sono quelli verificatisi a Taranto, che hanno coinvolto per il momento otto dipendenti dell’azienda di trasporto cittadina e dei quali circa una settimana fa i media hanno dato notizia. Decine le telefonate, nonché i filmati e le foto contenuti nella memoria dei cellulari, che inchiodano i “buoni padri di famiglia” di età compresa tra i quaranta ed i sessant’anni, alle proprie responsabilità. La giovane tarantina aveva già subito una violenza in giovanissima età da un vicino giudicato poi colpevole e condannato, ma  attualmente le misure prese a tutela sua e del fidanzato, che l’ha aiutata a denunciare quanto accaduto, sono solo il divieto per gli indagati di avvicinarsi alla vittima ed appunto al compagno. La richiesta di arresti domiciliari è stata infatti respinta dall’autorità competente. 

La ragazza era solita usare i mezzi pubblici per raggiungere ora casa della madre,  ora quella della nonna, ma anche al solo esclusivo scopo di trascorrere un po’di tempo facendo il giro della città. È stato dunque naturale che instaurasse con i conducenti dei mezzi su cui viaggiava rapporti di amichevole confidenza. Ci si sarebbe aspettato proprio da coloro i quali svolgono un ruolo al servizio del pubblico, una qualche forma di tutela per quella che appariva con tutta evidenza una ragazza bisognosa di cure. Le cose non sono andate così se alla solo vista della giovane i conducenti usavano rivolgerle epiteti quali “menomata” o “scema di turno”, dato questo che però nella sua insensata brutalità, qualcosa di più lascia intendere sul rapporto che questi buoni padri di famiglia avevano voluto instaurare con la ragazza (l’uso del verbo volere in questo caso è fondamentale per farsi  un’idea dei fatti). L’elemento intenzionale, di scelta consapevole di agire in un certo modo, emerge in tutta la sua evidenza e si ha l’impressione che se non fossero stati dissuasi dal compiere ulteriori malefatte perché colpiti dai (blandi) provvedimenti cautelari della magistratura, avrebbero con una certa fatica immaginato che quanto avevano posto in essere, avrebbe prima o poi dovuto avere un sua fine. 

Ciò che regola le azioni dell’uomo, ben prima delle sanzioni delle autorità preposte è infatti e banalmente una sorta di istinto di prevaricazione che il più forte esercita nei confronti del più debole. La cultura e dunque anche la religione e la legge trovano la loro ragione d’essere nel tentativo di correzione di tali comportamenti, che non sono compatibili con l’organizzazione sociale dell’esistenza umana, perché nel cercare soddisfazione appunto di istinti, finiscono col ledere i legittimi diritti e la tutela altrui. 

Si potrebbero riempire intere pagine per stigmatizzare quanto accaduto a Taranto ed in modalità analoghe ad Ancona, tuttavia sono persuasa che ciò non scalfirebbe, se non in maniera superficiale, la coscienza di quanti si rendono responsabili di violenze anche sessuali, ai danni di individui fragili. Più utile invece ritengo sia registrare che uno degli otto conducenti, durante una delle tante telefonate intercettate, si lascia andare al pianto. La cosa, letta su un quotidiano che non specificava altro circa le ragioni dello sfogo dell’uomo, mi ha fatto presumere che almeno uno degli aguzzini avesse preso coscienza della gravità dei propri atti e delle sofferenze causate alla giovane vittima, ma mi sbagliavo. L’uomo si è fatto prendere dalla reazione emotiva solo quando ha avuto ben chiare le conseguenze penali alle quali sarebbe andato incontro e le inevitabili ricadute di esse sui PROPRI familiari.

Rosamaria Fumarola 

Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano