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Un operaio da 365 giorni l’anno

“Dobbiamo promuovere un prodotto, qualche idea?” allora subito qualcuno propone: “Perché non facciamo una serie tv finta in cui raccontiamo il nostro sistema di produzione, ridicolizziamo il nostro dipendente, ci autodenunciamo come sfruttatori?”. Dev’essere sicuramente andata così la riunione per definire la nuova campagna pubblicitaria del Parmigiano Reggiano, la quale, volontariamente o meno, fornisce purtroppo un ritratto reale della realtà lavorativa italiana.

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Credit foto David Locke, licenza CC BY 2.0

di Alessandro Andrea Argeri

La lotta di classe è terminata, i proletari hanno perso, i padroni celebrano lo sfruttamento dei lavoratori in video in cui parlano di formaggio. Non è solo pubblicità, in fondo ogni azienda cerca un operaio da 365 giorni l’anno.

Credit foto Oxfam Italia, licenza CC BY-NC-ND 2.0.

Qualche girono fa il consorzio del Parmigiano Reggiano pubblica uno spot, un cortometraggio non proprio da Oscar, né da vedere, tuttavia rimando al seguente link per i più curiosi: https://www.youtube.com/watch?v=eutDEaUkBTE. Nel video uno chef stellato guida cinque ragazzi in un caseificio del Parmigiano Reggiano, per spiegare loro come viene prodotto l’omonimo formaggio. “Nel Parmigiano Reggiano c’è solo latte, sale e caglio.” dice Massimo Bottura, il personaggio impersonato da Stefano Fresi, il quale subito dopo aggiunge: “Nient’altro! L’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva diciotto anni, tutti i giorni, trecentosessantacinque giorni l’anno!”. Trecentosessantacinque giorni l’anno. Pausa. Esterrefatti, i ragazzi chiedono a “Renatino” se lavori veramente così tanto, dopodiché, alla risposta affermativa di quest’ultimo, mostrano tutta la loro ammirazione con elogi del tipo: “Renatino, posso dirti? Sei un grande!”, “Sei il meglio!”.

Nella versione più estesa segue un ulteriore scambio di battute. “Renatino, cioè, hai mai visto il mare?”, gli chiedono ancora i ragazzi. “No”, risponde l’operaio. “Parigi?”, “No”. “Sciare?”, “Neanche”. Un dialogo scioccante, in cui il lavoratore dichiara di non aver mai visto un pezzo di mondo all’infuori della fabbrica, a conferma della disumana costanza lavorativa. Lo spot si conclude con un’ultima domanda: “E sei felice?”. Allora “Renatino”, sempre sommessamente, a testa bassa, risponde di sì senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo dal lavoro. Infine, nel cambio scena si vedono gli stessi ragazzi, divenuti consumatori, assaggiare il Parmigiano Reggiano. “Lo sentite questo profumo? Questo è l’amore che ci mette Renatino” concludono sorridenti.

Purtroppo, per quanto poco condivisibile, lo spot rappresenta la realtà. Una pubblicità problematica, violenta, in cui si mostra la violenza di chi vuole lo sfruttato felice, contento, gratificato, umile, ossequioso, riverente, contento di ingigantire il proprio padrone, oltretutto all’oscuro dei suoi diritti costituzionali, perché le ferie sono un diritto inalienabile, mentre nel video la precarietà di “Renatino” viene presentata come se non fosse un illecito. Secondo i contratti nazionali di lavoro infatti, a un lavoratore dipendente nell’arco di sette giorni vanno garantite sempre minimo ventiquattro ore di riposo consecutive, ovvero almeno la domenica. A questo punto qualcuno dovrebbe definire il concetto di “felicità lavorativa”.

A livello di sceneggiatura, è incredibile come nessuno abbia pensato a determinati “aspetti tecnici”, quali ad esempio l’infantilizzazione del personaggio dal nome storpiato dal diminutivo, chiamato “uomo adulto” solo perché è un operaio, la violazione della costituzione, il lavoratore divenuto parte del prodotto, la dedizione assimilata allo sfruttamento, una cultura lavorista senza regole definita “amore”.

Il Parmigiano Reggiano. Immagine presa da wikimedia commons, pertanto è di dominio pubblico.

A fronte delle critiche, la giustificazione di Parmigiano Reggiano sotto la pagina Facebook di Christian Ralmo è imbarazzante, forse anche più dello stesso spot: “Buongiorno Christian, il parere di chi segue Parmigiano Reggiano è per noi fondamentale perché aiuta sempre a migliorare. Lo spot in questione è tratto dal mediometraggio Gli Amigos, diretto da Paolo Genovese, ha quindi un messaggio cinematografico che ammette licenze per rafforzare messaggi e comunicazioni, in questo caso, l’intento è quello di sottolineare la grande passione e impegno di chi, ogni giorno, produce il Parmigiano Reggiano. Il nostro è infatti un prodotto che viene prodotto ogni giorno, 365 giorni all’anno, per eseguire il ciclo della natura, il mantenimento del siero innesto naturale e dei batteri lattici che lo contraddistinguono e perpetuano il legame con il territorio d’origine. Uno dei valori fondanti della produzione del Parmigiano Reggiano è la salvaguardia della comunità e il benessere di chi opera in questa filiera e quindi i diritti dei lavoratori sono assolutamente garantiti secondo le normative vigenti e senza eccezione alcuna. Ci dispiace se la volontà di sottolineare la passione dei nostri casari è stata letta con un messaggio differente.”

Il tipico caso di quando si butta benzina sul fuoco. Quindi, siccome il formaggio viene prodotto 365 giorni l’anno, diamo a un unico casaro, non al gruppo, tutto il peso della produzione, ma la frase peggiore è proprio la chiusura, a voler intendere come qualcuno abbia letto male, volutamente o meno con l’intento di strumentalizzare. Il problema però è proprio il contrario: nessuno ha compreso erroneamente, bensì il messaggio è stato divulgato attraverso una pessima metafora cinematografica, “Renatino”, concepita male, spiegata anche peggio. Dal consorzio però niente scuse, né assunzioni di responsabilità, solo una debole intenzione di rimediare attraverso un cambio in extremis delle scene più “famose”. A questo punto, c’è da chiedersi se chi segue la comunicazione di questo brand possa essere chiamato comunicatore.

Ma chi sono questi giovani “curiosi”, “apprensivi”, “comprensivi” nei confronti di “Renatino”? Nella storia gli attori ricoprono il ruolo di aspiranti stagisti, per lavorare sotto stragisti. Infatti, come si legge dal teaser del film sul Parmigiano Reggiano, questi ragazzi sono lì in competizione gli uni contro gli altri per aggiudicarsi uno stage presso il ristorante dello chef pluristellato Massimo Bottura. In pratica, sono un altro grande classico della rappresentazione tradizionale del lavoro: i ragazzi gettati nello stato di natura, in un’animalesca mischia di tutti contro tutti da cui solo uno ne uscirà vittorioso. Chi prevale vince il posto da schiavo per il quale dovrà pure ringraziare, chi soccombe invece rimane un liberto in cerca di un padrone sotto cui essere sfruttato, sottopagato, decisamente poco valorizzato.

Da notare inoltre come si tratti di uno stage, non di un apprendistato, perché per accedere a quest’ultimo infatti bisogna necessariamente passare da un precedente tirocinio. Dunque, se seguiamo il filone della trama non girata, di quei ragazzi uno si guadagnerà un’esperienza temporanea in un rinomato ristorante, gli altri rimedieranno la stessa opportunità tra i 300 e i 600 euro al mese, per 4o ore settimanali, oppure non troveranno nemmeno quella, ma passeranno comunque le giornate assediati dalle interviste degli imprenditori lagnosi della scarsità di manodopera da sfruttare.

Insomma, questo film è un’ottima propaganda auto rivelatrice, una narrazione tossica del lavoro, restituisce tutti gli stereotipi della narrazione dominante dell’impiego, oltre che degli impiegati: in competizione, servili, alienati rispetto alla vita. Inutile precisare come, nello spot, oltre al personaggio di “Renatino” il premio martire va agli attori costretti ad impegnarsi per rendere vivo un simile sceneggiato, con un testo non proprio originale, con personaggi scritti in maniera orrenda, stereotipati, scontati anche più di un degenerato “politicamene corretto”: c’è “il bello palestrato”, “lo sfigato ansioso”, tre ragazze a cui gli sceneggiatori hanno deciso di non attribuire alcuna personalità. Tutti giovani mentalmente aperti, allegri, bellissimi, in cerca del caseario “felice” di dichiarare di servirli.

Credit foto kiki folletossa, licenza CC BY-NC-SA 2.0.

“Ma è pubblicità!”, quindi è lecito riprendere degli schiavi a glorificare un prodotto? L’arte è finzione, ma anche rappresentazione di come riflettiamo, ragioniamo, percepiamo il mondo. Una pubblicità in cui viene glorificato lo sfruttamento di un lavoratore mostra il prevalere dell’etica dello sfruttamento, inaccettabile in un paese democratico, occidentale, nel ventunesimo secolo. Inoltre il precariato non è una finzione, non è solo pubblicità. Di “Renatini” ce ne sono a migliaia. La vera finzione sarebbe vedere i padroni riconoscere come nulla sia possibile senza i lavoratori, per poi magari, rendere loro “i mezzi di produzione”.

Ad ogni modo, è necessario comprendere il complicato funzionamento del mondo della pubblicità. Mentre prima dell’avvento dei social c’erano budget enormi, ora è tutto più veloce, economico, strategico, pertanto la qualità ne risente. Le vecchie pubblicità ben congegnate non esistono più, anche se molte erano piene di sessismo, omofobia, riferimenti al patriarcato a causa di un contesto storico-sociale italiano persino più arretrato di quello attuale. Gli spot tradizionali dunque non sono stati in grado di reggere il confronto con le campagne social, esteticamente inferiori ma più intraprendenti.

C’è un acquirente, in questo caso il consorzio del Parmigiano Reggiano, il quale chiede la realizzazione di una campagna pubblicitaria a una serie di agenzie. Le varie idee vengono presentate, spesso attraverso un concorso, al consiglio di amministrazione del cliente per essere approvate, però i suoi componenti non sono agenzie creative dotate del giudizio critico necessario a valutare la qualità del prodotto, inoltre molte volte a vincere è la campagna più economica anziché quella migliore.

Tuttavia, come riporta ilsole24 ore, nel caso della pubblicità del Parmigiano Reggiano “l’investimento complessivo dell’operazione ammonta a oltre 4 milioni di euro per 4 mesi di messa in onda e prevede spot tv, placement e una campagna digital continuativa. In pratica, è stato prodotto un mediometraggio con il linguaggio classico di un film e sono stati ritagliati alcuni spezzoni per usarli come spot da veicolare indistintamente su digital e TV” (fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/il-vero-problema-spot-parmigiano-reggiano-non-e-renatino-AEYpOx0).

In segno di protesta c’è chi propone di boicottare i prodotti Parmigiano Reggiano, senza rendersi conto di quanto sarebbe inutile poiché si tratta di un consorzio a filiera raggruppato sotto un marchio a cui le aziende aderiscono, non di un’impresa singola su cui ricadono le colpe, da attribuire sia allo sceneggiatore sia al cliente. Inoltre, di sfruttamento, di condizioni di lavoro indecenti si deve parlare, si deve lottare per aver protetti i propri diritti. Intanto, un rapporto Censis dipinge l’Italia come il paese in cui aumenta la povertà, cresce la depressione, il complottismo, la sfiducia nelle istituzioni. Ci resta solo da lanciare un hashtag, ironico quanto basta: #freerenatino. Perché lavorare 365 giorni l’anno non è felicità, ma sfruttamento.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).