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Non è un Governo per tutti

Cgil e Uil proclamano uno sciopero generale per il 16 dicembre contro la manovra economica del Governo, definita “socialmente ingiusta”, da correggere in tema fisco, pensioni, lavoro, welfare. Si astiene invece Cisl. Dalla mobilitazione saranno esclusi i settori cruciali per l’efficace prevenzione della pandemia, come ad esempio la sanità.

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Credit foto Alessandro Andrea Argeri

di Alessandro Andrea Argeri.

Dopo settimane di trattative con il Governo Draghi, i sindacati Cgil e Uil, a seguito del fallimento dell’ultimo colloquio tenutosi il 2 dicembre, hanno indetto uno sciopero generale, ormai inevitabile, per giovedì 16 dicembre per protestare contro la legge di bilancio del 2022 in prossima approvazione entro il 31 dello stesso mese. La causa prima del dissenso sembra essere il taglio dell’Irpef, l’imposta sul reddito, assolutamente inutile per la maggior parte dei cittadini, oltre che la quantità esigua di risorse stanziate per contrastare il caro bollette.

Nella foto, il segretario nazionale della Cgil in Piazza Prefettura a bari l’11 dicembre 2021. Immagine scattata dal mio telefono.

L’ultimo sciopero generale indetto dai sindacati risale al 2014, quando tutte le sigle scesero in piazza per protestare contro il Jobs Act di Mattero Renzi. Dopo sette anni, sui suoi canali di comunicazione, la Cgil torna a scrivere: “abbiamo scelto di proclamare lo sciopero perché è saltata la mediazione con il Governo su una manovra che va contro i giovani, le donne, il Sud e penalizza nel fisco i redditi bassi e medio bassi. Sono mesi che stiamo facendo le assemblee nei luoghi di lavoro sulla finanziaria del Governo. Bisogna avere rispetto pe lavoratrici e lavoratori che decidono di esercitare diritto costituzionale allo sciopero!”

La critica dei sindacati al taglio dell’Irpef è originata dalla riduzione delle aliquote, portate da cinque a quattro, incapace di generare un benessere economico significativo per i lavoratori appartenenti alle fasce di reddito medio-basse, infatti secondo le stime a trarre vantaggio sarà soprattutto il ceto medio-alto. Si andrà pertanto da un risparmio di circa 320 euro all’anno per chi ha un reddito di 30.000 euro fino a un massimo di 920 euro per chi ha un reddito di 50.000 euro. Per le due fasce più basse i guadagni saranno minori: per chi ha un reddito di 20.000 euro si stima un risparmio di 100 euro. Non ha aiutato inoltre la decisione dei partiti di maggioranza di opporsi alla proposta del presidente Draghi di “congelare” le agevolazioni fiscali per i redditi superiori a 75mila euro, così da destinare più fondi ai meno abbienti in virtù di un “contributo di solidarietà”.

Per quanto riguarda il rincaro delle bollette, i sindacati hanno giudicato insufficienti i due miliardi inizialmente stanziati dal Governo per fronteggiare i rincari derivati dalla crisi energetica. Tuttavia nell’ultima bozza del decreto legge, i fondi sono stati aumentati a 3,8 miliardi.

Bandiere e striscioni dei manifestanti in piazza. Immagine scattata dal mio telefono.

Prima di addentrarci ulteriormente nell’articolo però, è necessario chiarire alcuni termini, a discapito della propaganda. Lo sciopero è un’astensione collettiva dal lavoro da parte di lavoratori subordinati, promossa dai sindacati, avente per finalità quella di ottenere, attraverso una pressione sulla controparte rappresentata dal Governo o dai datori di lavoro, un miglioramento delle condizioni lavorative rispetto a quelle disciplinate dal contratto collettivo nazionale. È in pratica lo strumento più importante per la rivendicazione dei diritti dei lavoratori. Tuttavia scioperare significa anche rinunciare alla retribuzione per le ore di astensione dal posto di lavoro.

Inoltre, per quanto possa sembrare un atto sovversivo, a tratti persino anarchico, lo sciopero è una libertà soggettiva legittimata dall’art.40 della Costituzione, secondo la quale: “il diritto allo sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, pertanto chi sciopera non può essere punito dal titolare, così come chi non aderisce non può essere premiato per la sua astensione. In alcuni casi però, il diritto allo sciopero viene limitato per garantire la continuità dei servizi pubblici, come per esempio accade per la sanità durante la pandemia.

Lo sciopero viene indetto su base oraria, nel caso dell’intera giornata lavorativa risulta essere di otto ore, ma può essere programmato anche per più tempo. Esso può essere settoriale se interessa un solo settore economico, o di categoria, se riguarda una professione specifica, oppure territoriale, quando i lavoratori interessati sono soltanto quelli di una determinata zona. Infine c’è lo “sciopero generale”, il quale chiama a raccolta tutti i lavoratori e le lavoratrici di ogni settore economico, appartenenti a qualsiasi occupazione.

Fino agli anni ’70 il diritto allo sciopero riguardava solo i lavoratori dipendenti. In seguito è stato estero anche a collaboratori, partite iva, statali, sebbene rimangano ancora esclusi sia stagisti sia tirocinanti, poiché non considerati lavoratori. A queste ultime due categorie infatti non è riconosciuto il diritto allo sciopero, tuttavia in virtù della libertà soggettiva tale diritto non può essere negato, così come possono partecipare studenti, disoccupati, pensionati, chiunque non studi, non lavori, non guardi la tv.

Chi non aderisce allo sciopero è detto crumiro, termine usato anche per indicare chi accetta di essere assunto in sostituzione di lavoratori in protesta, così da permettere agli imprenditori di non accusare i possibili effetti di disagio derivanti dalla mancanza momentanea di mano d’opera. Lo sciopero generale di giovedì 16 dicembre, di sole otto ore, è stato proclamato dalle sigle Cgil e Uil. Rimangono esclusi i lavoratori della sanità pubblica e privata, comprese le Rsa, per salvaguardare il diritto prioritario alla salute in una fase ancora di emergenza pandemica. Lo sciopero generale sarà quindi articolato con manifestazioni di piazza a Roma, Milano, Bari, Palermo, Cagliari.

Alla proclamazione dello sciopero generale è seguita una pioggia di critiche provenienti dal mondo della politica, una sorta di Iperuraneo estraneo sia alla realtà fenomenica sia al noumeno di Immanuel Kant. Il Ministro del Lavoro Andrea Orlando dichiara senza vergogna né remore di essere “sorpreso dalle motivazioni, poiché la manovra rafforza le garanzie per i lavoratori”. Una manovra in cui qualsiasi disoccupato sarà costretto ad accettare le prima offerta di lavoro per non perdere il reddito di cittadinanza, le aziende potranno continuare ad assumere con salari da fame attraverso tirocini extracurriculare, milioni di lavoratori non arriveranno ugualmente a fine mese. Resta quindi da chiedersi di quale lavoro sia “ministro”.

Poi c’è il leader della Lega Matteo Salvini, il quale nel dichiarare di non capire le motivazioni della protesta come al solito mostra di parlare senza cognizione di causa. Di contro il capo del Governo, il presidente del consiglio Mario Draghi, il “pragmatico tecnico” sceso dalla BCE per salvare l’Italia, rimane in silenzio.

Dalla sinistra il segretario del PD Enrico Letta al Corriere della Sera dichiara: “I sindacati fanno il loro mestiere. Lo sciopero generale? Non me l’aspettavo. Si è realizzata la più grande riduzione di tasse sul lavoro mai fatta prima. Io ritengo che la legge di Bilancio che il governo ha presentato, che è stata aggiustata e sarà migliorata in Parlamento, sia una legge equilibrata per il Paese, interviene su temi sensibili come la non autosufficienza“. A questo non manca di rispondere il segretario della Cgil Maurizio Landini, ai microfoni de “L’aria che tira” su La7: “ho la sensazione che la maggioranza e il sistema dei partiti non si stanno rendendo conto, e lo dico con giustificato motivo, della reale situazione sociale delle persone nel nostro Paese”

Ci sono infine le ultime dichiarazioni del Ministro per lo sviluppo economico Giancarlo Georgetti, il quale ha dichiarato di vedere “due Landini: il primo, quello disposto al dialogo in sede istituzionale, profondamente diverso dal secondo, quello da piazza, apparentemente intransigente”. Persino il garante Giuseppe Passarelli in questi giorni ha richiamato i sindacati, poiché “lo sciopero non rispetterebbe il “periodo di franchigia” dei servizi postali e viola la regola della rarefazione oggettiva essendo già state convocate mobilitazioni di singoli settori”. In tutta risposta lo sciopero è stato confermato per il 16 dicembre. Insomma, ci provano tutti ad annullarlo, ma i sindacati per fortuna non demordono.

A scacciare le critiche ci pensa Francesca Re David, ospite a OmnibusLa7. “Uno sciopero definito ‘politico’, con tutti i partiti politici contro, è molto poco politico…” precisa subito la sindacalista “Ma molto sul merito e sulla realtà della vita della persone e sulla mancanza di ascolto delle lavoratrici e dei lavoratori. Siamo sempre stati convocati all’ultimo miglio, quando le decisioni erano già state assunte, siamo sempre stati informati quando le decisioni erano già state prese, è un mese che facciamo assemblee, iniziative, nelle città, di mobilitazione per sostenere le nostre proposte, siamo arrivati alla conclusione di questo percorso e rispose non en sono arrivate, perché questo Governo trova le soluzioni all’interno della maggioranza apposita e non apre all’ascolto delle necessità del lavoro. Il tema è che noi pensiamo che sia sbagliata l’impostazione della riforma fiscale. Sulle pensioni, un mese fa ci si era impegnati ad aprire una discussione, ma nessuno ha mai convocato nessuno. Sulla precarietà, si parla tanto dei giovani, ma sulle assunzioni dei giovani non si sta facendo assolutamente nulla. L’unico strumento democratico che abbiamo è l’ascolto, il confronto, la mediazione, ma se questi non ci sono, bisogna far sentire le proprie ragioni”.

Chi ritiene lo sciopero inopportuno pretende una società in cui i lavoratori accettino di vivere nel precariato, in un paese dove cresce la disoccupazione, il costo della vita, il peso fiscale, il divario sociale, il disagio. Vorrebbe dei cittadini disponibili a vivere in una realtà economica nella quale la metà dei lavoratori guadagna meno di 1200 euro al mese, mentre ogni giorno muoiono tre persone sui luoghi di lavoro, per non parlare di quanti sono costretti ogni anno ad accettare tirocini extracurriculari. Il 67% dei contratti part-time è involontario, il 30% di quelli a termine non dura più di un mese.

Definire lo sciopero eversivo dunque è un grave arretramento non solo per i diritti dei lavoratori, ma anche per la democrazia. Inoltre, a chi sostiene sia stato dichiarato solo dieci giorni prima senza tenere conto di altre manifestazioni di protesta, bisogna ricordare di come sia stato in realtà proclamato a ottobre perché “nella legge di bilancio non c’è traccia di politiche industriali e di lotta alle delocalizzazioni”.

Invece lo sciopero generale è un atto dovuto, per certi versi addirittura fin troppo timido rispetto alla violenza, al disprezzo, all’indifferenza dimostrata dal Governo nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ad avvalorare la tesi, le dichiarazioni di biasimo prima citate di alcuni dei più importanti esponenti della politica italiana: estranea a questo Paese. I temi all’ordine del giorno non affrontano in alcun modo le questioni reali, la quotidianità dei cittadini. Oltretutto quelle poche richieste effettuate attraverso quesiti referendari vengono affossate barbaramente da una maggioranza a quanto pare composta da retrogradi, consapevole di essere decisamente non rappresentativa, per questo timorosa di andare alle elezioni.

A dare prova di quanto gli italiani avvertano l’importanza della protesta indetta da Cgil e Uil, possiamo citare l’esempio della manifestazione organizzata per ribadire le ragioni dello sciopero, tenutasi l’11 dicembre in piazza prefettura a Bari, gremita di manifestanti lì per sostenere il segretario generale Maurizio Landini, non tanto “solo” o “isolato” come la propaganda politica cerca di descriverlo.

Scioperare dunque non è più solo un diritto: è un dovere necessario alla nazione oltre che a noi stessi, perché una volta persa l’occasione irripetibile dei fondi europei, non ci sarà più alcun modo per riparare uno stato malato, iniquo, discriminatorio, in cui la catastrofe sanitaria ha generato altre pandemie dal punto di vista economico, sociale, culturale.

Con lo mobilitazione generale infatti nasce l’occasione di gridare in piazza la parola “basta” ai salari da fame, ai tirocini, al lavoro gratuito, agli incentivi a chi non li merita, ai contratti part-time involontari, per ribadire alla classe dirigente sempre più estranea ai governati di non poter costruire il futuro sulla pelle dei cittadini, bisognosi di riforme per migliorare le condizioni del lavoro, non delle briciole della caritatevole miseria di una riforma spezzettata in vari contentini.

Concludiamo l’articolo con un esempio abbastanza recente proveniente dall’estero: in India la rivoluzione contadina di novembre 2021 ha messo in ginocchio il Governo Modi, costretto dall’incessante protesta ad abolire le scomode leggi agrarie a carico esclusivamente dei lavoratori, non dei padroni. Nonostante il pugno di ferro adottato per reprimere il dissenso, gli agricoltori sono rimasti irremovibili nel loro impegno a rivendicare la completa abrogazione delle riforme, ritenute “pro-aziende” nonché “anti-contadini”. Chissà se anche noi Italiani ci dimostreremo così fermamente uniti, convinti, perseveranti, in virtù del bene comune.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).