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IL SUICIDIO, TRA DISPERAZIONE E CORAGGIO

“Sto bene” è spesso una bugia che gli altri ci raccontano e che noi raccontiamo a noi stessi. Una bugia che accettiamo per convenzione sociale, per convenienza, per la fretta, per paura di approfondire.

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Credit foto https://www.mbamutua.org/lavoce/giornata-mondiale-per-la-prevenzione-del-suicidio/

Credit foto https://www.mbamutua.org/lavoce/giornata-mondiale-per-la-prevenzione-del-suicidio/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il suo volto sorridente. La sua smisurata competenza nel settore della meccanica e delle auto. Così Emanuele Sabatino ha conquistato la stima di tantissime persone. Clienti e followers che lo seguivano sui canali social.

Lo seguivano. Un tempo passato. Perché Emanuele Sabatino si è tolto la vita il 9 dicembre scorso.

Inutili le domande. Solo affetto e rispetto per una persona che ha meritato rispetto e affetto.

Il suicidio è un tema molto delicato. Spesso un tabù che genera imbarazzo.

Perché una persona decide di uccidere se stesso? Lasciando affetti e dolore dietro di se.

La risposta non è facile. Il suicidio è al confine tra disperazione e coraggio.

Siamo contenitori fragili. Più di quanto pensiamo. Stress, amarezze, fallimenti, preoccupazioni scavano in noi stessi. Giorno dopo giorno.

La paura di non essere all’altezza. Di deludere le aspettative.

La morte come liberazione, come rifugio. Almeno una volta nella vita capita di pensarci.

Per anni il suicidio è stato visto come atto di viltà. Duramente condannato dalla Chiesa così solerte nel rammentare tutti i comandamenti. Tranne uno. L’amore che perdona.

Nel suicidio non troviamo viltà. Tanta stanchezza, paura, disperazione ma non viltà. Ci vuole coraggio invece.

La decisione estrema del suicidio viene presa dalla convinzione di non avere più alternative. Il suicidio nasce nella solitudine, anche se circondati da parenti e amici.

“Sto bene” è spesso una bugia che gli altri ci raccontano e che noi raccontiamo a noi stessi. Una bugia che accettiamo per convenzione sociale, per convenienza, per la fretta, per paura di approfondire.

Non stiamo bene, sovente semplicemente stringiamo i denti. Viviamo in apnea.

Accumuliamo pesi e ferite.

Con conseguenze devastanti. Perché anche se non arriviamo al suicidio, viviamo male. Appassisce una parte di noi stessi.

Tutto ha ritmi frenetici. Ora in più con la pandemia abbiamo paura. Rischiamo di perdere il contatto tra noi.

Un saluto veloce, qualche parola di circostanza e via. A debita distanza sia fisica che emotiva.

Così il disagio rischia di aumentare. Di aumentare la solitudine.

Non è facile prevedere e prevenire un suicidio.

Spesso nei giorni che precedono il suicidio, la persona è tranquilla addirittura più serena del solito. Perché il travaglio interiore ha lasciato il posto alla decisione.

Che fare allora?

Non accontentiamoci di un generico “sto bene”, guardiamoci negli occhi. Uno sguardo, un gesto è spesso più indicativo di mille parole.

Ogni colpo inferto dalla vita, anche se apparentemente assorbito in superficie, provoca contraccolpi interiori con effetti permanenti.

Gli animali vivono in branco, consapevoli che la solitudine rende deboli e uccide.

Noi, con tutta la nostra presunta intelligenza, lo abbiamo dimenticato.

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