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Violenza di genere, siamo ancora molto indietro

Intervista all’avvocata Maria Pia Vigilante, presidente dell’Associazione Giraffa Onlus, centro antiviolenza sulle donne.

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Una panchina rossa per ricordare tutte le donne vittime di violenza, sulla quale è segnato "1522", il numero verde sempre attivo in caso di aggressione o stalking ai danni di una donna. (Immagine presa da Wikimedia Commons, pertanto di dominio pubblico)

di Alessandro Andrea Argeri

Sul tema della violenza di genere siamo ancora molto indietro, non solo sotto l’aspetto culturale, ma anche civico. Questa settimana ne parliamo con l’avvocata Maria Pia Vigilante, perché non ha senso riempire i social di belle frasi ad effetto quando il calendario segna l’8 marzo, se poi le parole non rispecchiano le nostre azioni.

Nella foto, un albero di mimose gialle. Il donare la mimosa deriva da una storica decisione presa nel 1946, quando tre donne iscritte all’UDI (Unione donne italiane), Rita Montagnana, Teresa Noce, e Teresa Mattei, proposero la mimosa come simbolo dell’8 marzo. Immagine presa da Wikimedia Commons, pertanto di dominio pubblico.
  • Cos’è Giraffa Onlus, e come è nato?

APS Giraffa Onlus è un acronimo e significa Gruppo Indagine Resistenza Alla Follia femminile ed è un’associazione di donne che si occupa di donne vittime di violenza in tutte le sue declinazioni, è nata informalmente nel 1997 sulla base dell’esperienza di un gruppo di amiche che decisero di fare un gruppo di auto mutuo aiuto. Dalla quella esperienza compresero che vi era necessità di lavorare sull’autostima e, quindi, dopo un’attenta riflessione venne aperto un centro di ascolto per donne maltrattate.

  • Sul tema della violenza di genere c’è ancora tanta indifferenza, infatti molte volte le donne non sono sostenute dalla società, penso ad esempio al silenzio totale che si registrò in Parlamento quando la Ministra Elena Bonetti il 23 novembre scorso portò la questione all’attenzione dei deputati della Camera. Ma è un problema solo culturale, nel senso che è tutta colpa del patriarcato e si ha paura di far crollare una società “sicura”, o è un problema anche istituzionale perché c’è poca tutela?

In questi anni sono cambiate molte cose e c’è molto meno disinteresse sulla tematica di genere e sulla violenza in generale perché le donne hanno lavorato molto e continuano a farlo perché cambi la mentalità culturale e si crei una società fondata su una democrazia paritaria, cosa ancora difficile da ottenere.

  • Molte volte sentiamo parlare di “delitto passionale”, quando di passionale non c’è nulla. Negli ultimi tempi poi si sono aperti vari dibattiti legati al così detto “body shaming”. Ebbene, qual è l’importanza del linguaggio nei media, nei social, nella quotidianità? Un giusto linguaggio aiuterebbe a prevenire i maltrattamenti?

È un problema di linguaggio che non si riesce a modificare e che dovreste modificare voi giornalisti. Infatti ormai dopo il manifesto di Venezia e tutto il lavoro che Giulia (1) porta avanti si dovrebbe smettere di parlare di “delitto passionale” o di puntare il dito ai danni delle donne. Si tratta di utilizzare un linguaggio corretto.

  • Secondo i dati Istat, in Italia il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner. Nel triennio 2017-2019 le donne che hanno avuto almeno un accesso in Pronto Soccorso con l’indicazione di diagnosi di violenza sono 16.140. Nel 2019 ci sono stati 111 femminicidi, 118 nel 2021, praticamente più di uno ogni tre giorni, mentre quest’anno siamo già a 5 vittime. Come si può invertire la tendenza?

La tendenza si può invertire facendo moltissima prevenzione ed azioni di sensibilizzazione. Bisogna inoltre colmare il gap sulla parità di genere. Infatti, la disparità di genere rappresenta l’humus ove attecchiscono sempre di più le violenze. È necessario continuare a contrastare gli stereotipi e discriminazioni. Insomma è necessario costruire una nuova società. “Ne usciremo migliori” è stato il claim che ci ha accompagnati in questi anni di lockdown, invece, la situazione è peggiorata perché i coniugi  e/o conviventi sono stati costretti a momenti di vicinanza.

  • La pandemia ha influenzato l’operato della lotta alla violenza?

Ha creato non poche difficoltà perché le donne erano controllate dai mariti e/o conviventi e quindi non potevano neppure telefonare ai cav per chiedere aiuto. In questi casi ci siamo attrezzate ed abbiamo fatte le accoglienze da remoto.

  • C’è un problema di comunicazione e di sensibilizzazione del tema?

Si può fare molto di più.

  • Quando e come chiedere aiuto?

Possono chiedere aiuto telefonando al centro antiviolenza oppure telefonando al 1522, numero di pubblica utilità, ove rispondono operatrici molto formate, che provvedono a metterle in contatto con il cav più vicino le mette in contatto

  • E poi? Dopo che si è chiesto aiuto, come opera un centro antiviolenza?

Il centro antiviolenza aiuta le donne ad interrompere la spirale della violenza. Ci sono figure professionali formate. Le donne su richiesta elaborano i traumi con le psicologhe e, se decidono di separarsi, dopo avere fatto orientamento legale, procedono con le azioni legali.

(1) chi siamo | Giulia (globalist.it)

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).