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La vera truffa si chiama politica

L’Occidente ricattato da Vladimir Putin con la mano ferma sul rubinetto del gas. Gli Stati europei paurosamente indietro nel programma di transizione ecologia, ma lo eravamo già negli anni ’70. L’approvvigionamento energetico è un problema serio, forse in Italia cominciamo a capirlo, anche se il raggiungimento della data limite del 2030 per l’eliminazione dei combustibili fossi appare sempre più un miraggio.

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Immagine presa da wikimedia commons, pertanto di dominio pubblico
Immagine di copertina presa da wikimedia common, pertanto di dominio pubblico.

di Alessandro Andrea Argeri

Ministri nelle vesti di blogger da talk show, revisioni non considerate, piani di governo senza idee, programmi di riforme rette su basi meno consistenti della marmellata. Alla base dell’aumento dei prezzi del carburante c’è sicuramente un giro speculativo dove i responsabili potrebbero tranquillamente suscitare il plauso delle più scaltre frange della criminalità organizzata, tuttavia la vera “truffa” ha un nome ben preciso: si chiama “politica”.

immagine presa da wikimedia commons, pertanto di dominio pubblico.

Un passo indietro nel tempo. Correva l’anno 1973 quando in Italia si ebbe il lungo inverno dell'”austerity”, come usò definirlo Aldo Moro. Ebbene, un’intera nazione restò al buio per un’intera stagione: niente corrente elettrica. Di conseguenza autostrade abbandonate, vuote come l’Atlantic City di The Walking Dead, ma gli zombie si vedevano solo di notte, al buio. Di giorno tutti in bicicletta, Pertini portato in giro per la Capitale su una carrozza trainata da cavalli scomodati dalle scuderie di Palazzo Chigi. Quasi la totalità degli italiani però ha dimenticato quell’esperienza di penuria energetica, soprattutto la stessa società dell’epoca. Eppure fu quello il primo segno della necessità di convertire i mezzi di produzione, nonché del bisogno di “selezionare” prima di “variegare” i fornitori di materie prime. Grande occasione persa per comprendere l’importanza delle risorse.

Ma torniamo ai giorni nostri, al movimentato 2022. A Versailles Mario Draghi ricorda all’Europa: <<Non siamo assolutamente un’economia di guerra, ma dobbiamo comunque prepararci a riorientare le nostre fonti di approvvigionamento e ciò significa costruire delle nuove relazioni commerciali>>. Suscita rabbia sentire queste parole. Sia perché anziché cercar di garantire la pace siamo pronti ad adattare l’economia per poter intraprendere una guerra, sia per il ricordo dei tanti echi giunti dai vari ambientalisti, attivisti, scienziati, oltretutto nel corso di un’emergenza climatica ignorata con ogni mezzo disponibile adottato dalla più oscurantista indifferenza, culminata con l’ultima sontuosa “recita” del G20 a Glascow. Ma è troppo tardi per colmare le lacune del passato? Forse no, anzi, potrebbe essere arrivata proprio l’occasione per porre rimedio a quanto dovevamo già aver adempiuto negli anni ’50. Le analisi pubblicate quarantanove anni fa infatti potrebbero essere tranquillamente riproposte oggigiorno, sebbene con numeri lungamente più drammatici.

Come se non bastasse, rispetto a dieci anni fa gli Stati europei ora non sono nemmeno più autosufficienti. L’errore dell’Europa è stato sicuramente quello di “demandare” la propria produzione, perché era economicamente più conveniente, o semplicemente per volere di chi l’Unione Europea l’ha da sempre osteggiata. Infatti, dietro alla nostra dipendenza dalle risorse di Russia, Cina, Stati Uniti, Taiwan, c’è lo “zampino” dei gruppi antieuropeisti sostenuti da Putin, maestro del “dividi et impera”. La dipendenza europea dal gas è aumentata esponenzialmente anziché diminuire, mentre si guarda al nucleare come unica via di salvezza dalla crisi, con tutti i benefici, ma anche rischi, del caso. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva addirittura preannunciato la banca rotta tedesca, la prima economia europea, nel caso in cui fossero stati chiusi i gasdotti. In Italia tale ipotesi non è stata paventata dagli “optimates” perché tanto le aziende sono già sull’orlo del baratro, quindi la differenza quasi non si noterebbe. In tutto questo, per ora l’unica soluzione per limitare i danni sembra essere quella di riaprire le centrali a carbone.

Sempre a Bruxelles, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha proposto di applicare un prezzo massimo alle forniture di gas, tuttavia gli altri stati membri non sembrano molto d’accordo siccome tale provvedimento ridurrebbe il potere d’acquisto di ogni Paese. Si profilano allora due strade: prezzo unico solo per l’Italia, o esclusivamente nei confronti del gas russo, anche se questo violerebbe le regole del commercio internazionale.

Si parla però di diversificare i fornitori, produrre in casa, rivedere le fonti alternative. In questo scenario appare dunque il fallimento della globalizzazione, la quale con una guerra in atto sembra poter avere seguito solo sui social network. Dalle mascherine provenienti dalla Cina, inizialmente introvabili nei primi di pandemia, al blocco del canale di Suez per una manovra errata, causa del calo del Pil mondiale del 12% in appena ventiquattro ore, al fermo dei semiconduttori per il quale le aziende automobilistiche sono andate anch’esse in blocco, per finire con il commercio delle risorse energetiche che ha indotto a riconsiderare le fondi di approvvigionamento utilizzate finora. D’altronde la globalizzazione si regge sulle relazioni internazionali, ma, se quest’ultime vengono meno, muore il commercio: le multinazionali non hanno reso il mondo un posto pacifico.

La domanda da porsi è piuttosto un’altra: come è stato possibile costruire un mondo, una società, un intero sistema produttivo, su fondamenta tanto fragili? Nel 1973, Alfredo Todisco scriveva su un articolo profetico pubblicato sul Corriere della Sera: <<La ristrettezza delle materie prime si farà sentire sempre di più. (…) La crisi di questi giorni è solo un avvertimento, una piccola “prova generale” di ciò che domani potrebbe succedere in proporzioni irreparabili>>, mentre Leonardo Vergani, nello stesso anno, commenta così la prima notte “austera” di Milano: <<Ad una ad una si spengono le luci della città. Già molto prima delle ventuno, quasi tutti i negozi del centro hanno le vetrine buie. Lungo le strade il traffico è rado e frettoloso. Nessuno vuol farsi cogliere lontano da casa dall’ora dell’austerità. Le grandi insegne di piazza del Duomo si smorzano, l’omino del lucido Brill, che chissà da quanti anni si specchia nella scarpa sinistra, svanisce nel nulla, smette di funzionare anche l’orologio elettronico che dà i decimi di secondo. Poco dopo le dieci la Galleria Vittorio Emanuele è vuota. Al centro, una cabina telefonica e una buca delle lettere dovrebbero far pensare a un assurdo angolo di Londra. Come hanno fatto questa notte i nottambuli e gli insonni? A giudicare dall’affollamento delle farmacie, si sono smerciate vagonate di pillole tranquillanti…>>

Attraverso la cooperazione internazionale il genere umano è riuscito a trovare non uno, non due, non tre, ma almeno quattro vaccini, necessari a superare una pandemia, il tutto nel tempo record di un anno. Sembrava impossibile, invece ora abbiamo ciascuno tre dosi. Dunque, vogliamo veramente credere di non essere capaci di attuare la transizione ecologica in tempi brevi, per svincolarci dalla morsa degli speculatori dei combustibili fossili?

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).