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Non siamo tutte Carol Maltesi?

Sarebbe stata bella una fiaccolata per Carol, nella quale fosse esibito uno striscione con su scritto “Siamo tutte Carol Maltesi”. Ragazze come Carol sono infatti lasciate sole soprattutto da chi vive e ben conosce la loro condizione ed in questo vi è una torto imperdonabile, in quanto fondato sulla menzogna e sull’emarginazione che essa produce in chi non ha alcuna colpa, a meno che non si consideri una colpa combattere con i mezzi che si hanno a disposizione per resistere, per non soccombere.

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Credit foto Ansa.it

di Rosamaria Fumarola

La situazione nella quale vivono la maggior parte delle donne è complessa, che si sia disposti ad ammetterlo o no. Lo è perché ci vien chiesto di prenderci cura della famiglia, anche quella d’origine, di essere le migliori nel nostro lavoro e per sovrappiù di essere anche bellissime e seduttive.  Questo è quanto tacitamente (e non solo) si pretende da una donna ed è del tutto naturale che rientrare in questi parametri non sia né normale né sano e poiché la maggior parte delle persone è ben lontana dalla perfezione,  almeno da questa, aumenta il numero dei divorzi, diminuisce quello dei matrimoni, per non parlare del numero dei figli che le coppie decidono di mettere al mondo, pari spesso a zero.  Insomma non sono tempi facili per le donne, benché abbiano combattuto e convintamente, per avere il diritto di realizzare tutto ciò che invece da sempre è stato prerogativa degli uomini. In questa corsa frenetica che da noi si esige è peraltro importante che vengano rispettate anche alcune regole, che col sopravvivere in senso stretto non hanno nulla a che fare. Si tratta spesso di regole che attengono alla forma, più spesso alla morale, che sono componenti connaturate con ogni organizzazione sociale che nei secoli l’uomo è stato in grado di creare e che sono evidentemente imprescindibili per la tenuta e la resistenza delle società. Ciò non significa che i consorzi umani non siano stati e non siano in grado di evolversi e cambiare, ma solo che lo fanno nel rapporto di confronto dialettico tra principi vigenti e violazioni degli stessi e che pertanto non esiste una bontà morale assoluta degli uni o degli altri.

Consuetudini del passato, anche remotissimo avevano ragioni antropologiche che ne giustificavano l’esistenza. Nulla è infatti gratuito nella vita umana e nella storia.  Quando un principio perde la sua “funzionalità” e diventa appunto gratuito e dunque inutile, quel consorzio troverà il modo di liberarsene. 

Di recente si assiste ad esempio, ad un atteggiamento di maggiore rispetto verso l’omosessualità e sempre più coppie gay manifestano le proprie preferenze come forse mai era accaduto prima. Sono esistite ragioni che rendevano l’omosessualità uno reato da punire ma, piaccia o meno, quello stigma era funzionale alla conservazione di una data organizzazione sociale,  in un certo momento storico. La nostra società non ha più bisogno di reprimere l’omosessualità per conservarsi e questo per molte motivazioni la cui trattazione non troverebbe spazio in un articolo solo. Vi sono tuttavia tabù dei quali facciamo ancora fatica a liberarci e spesso riguardano proprio le donne, il cui valore sembra non poter prescindere dalla conta del numero di parters con cui scelgono di accompagnarsi. Una donna che cambia compagno di frequente o che non ha relazioni stabili, non potrà essere infatti una brava madre e sarà una vergogna anche e soprattutto per i propri figli.  Per non parlare poi di quelle che decidono di prostituirsi, che rappresentano ancora oggi una categoria dei cui diritti, che sono poi quelli di tutti noi, non è bello parlare. Anzi, a dirla tutta si ha la sensazione che infondo non si tratti di cittadine, ma di esseri la cui individualità resta sfumata, proprio in ragione dello stigma che le affligge e se sul palco di Sanremo nessuno trova disdicevole cantare e manifestare l’amore omosessuale, non mi risulta che vi sia mai stata signora o signorina che abbia dichiarato di essersi prostituita nella sua vita e che questo sia stato dal pubblico accolto in modo normale. Da qualunque punto di vista si guardi la cosa è certo che attenga ad una condizione di fragilità in cui una donna può trovarsi, non lontana da quella che è alla base dei tanti femminicidi che ogni giorno si registrano nel nostro paese. 

È recentissima la notizia della morte di una giovane donna, Carol Maltesi, madre di un bambino di cinque anni, per mano del compagno, fatta poi a pezzi, congelata e lasciata in comuni sacchi d’immondizia tre mesi dopo lungo il ciglio di una strada statale. Aldilà delle valutazioni criminologiche attinenti alla modalità dell’ omicidio, una certa pruderie ha accompagnato la notizia, seguita morbosamente dal pubblico e dai media a cagione del lavoro svolto dalla giovane, che per vivere faceva l’attrice porno. La ragazza desiderava mettere quanti più soldi da parte per acquistare una casa nella città in cui viveva il figlio. Fino a non molto tempo fa Carol era infatti una commessa che a malapena riusciva a sopravvivere ed anche per questo il suo bambino viveva con il padre. Una donna come tante, che faceva fatica a mantenersi, almeno fino a quando non è entrata nel mondo del porno, che non le spiaceva, forse per l’attenzione di cui la vita anonima di una commessa di certo non gode. Lamentava però l’emarginazione che le riservavano soprattutto le altre donne, in particolar modo mamme.

Le poche amiche vere ne parlano oggi come di una ragazza fragile, che aveva bisogno della sicurezza economica per stare vicino a suo figlio, una donna non felice insomma. Ma che fosse o meno orgogliosa e felice del suo nuovo lavoro, qual è la ragione per cui non lo si debba considerare un mestiere come un altro e chi lo pratica una persona e non un essere umano di serie C? Peraltro, l’idea della donna oggetto non mi pare partorita da una mente femminile ed anche se i tempi stanno cambiando, la fruizione del porno è soprattutto e da sempre maschile. La verità è che i rapporti di potere stanno alla base di quelli umani, anche sessuali. Un uomo nella maggior parte dei casi non sposerebbe un’attrice porno, né vorrebbe che fosse la madre dei propri figli, perché oggettivizza ciò che oggettivizzare non si può e cioè un essere umano. La donna da usare, come quella da sposare sono entrambe importanti nell’immaginario maschile, che le vede come incapaci di autodeterminazione. Una donna deve solo scegliere di rientrare in una categoria, da lei non creata, non vivere per realizzarsi in quanto essere umano, con un percorso originale ed imprevedibile. Alla donna si vuole cioè impedire l’esercizio forse della facoltà più importante dell’intelletto e cioè il “crearsi” conoscendosi e così la si vuole ridurre a funzione altrui. In tutto questo le donne non sono solidali tra loro, proprio perché non libere fino in fondo, proprio perché preferiscono la solidarietà di chi ha potere, quasi mai altre donne, che diventano invece nemiche e concorrenti. Anche in questo si coglie il bisogno di sopravvivere, non tanto la volontà della realizzazione del male altrui. Una considerazione finale va fatta: è il nostro un mondo che si evolve rapidamente, aprendo scenari prima inimmaginabili. Sono molte più di quanto non si creda le persone disposte a combattere per cause ragionevolmente giuste ed è per questo che sarebbe stata bella una fiaccolata per Carol, nella quale fosse esibito uno striscione con su scritto “Siamo tutte Carol Maltesi”. Ragazze come Carol sono infatti lasciate sole soprattutto da chi vive e ben conosce la loro condizione ed in questo vi è una torto a mio avviso imperdonabile, in quanto fondato sulla menzogna e sull’emarginazione che essa produce in chi non ha alcuna colpa, a meno che non si consideri una colpa combattere con i mezzi che si hanno a disposizione per resistere, per non soccombere. 

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano