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Perché è indegna una campagna contro il reddito di cittadinanza

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Anche questa settimana non ha fatto sentire la sua mancanza il dibattito mediatico sull’opportunità del mantenimento del reddito di cittadinanza. 

Quando si muovono delle critiche ad una misura di sostegno ai cittadini economicamente vulnerabili, la pioggia di critiche si sostanzia in genere nel trito e ritrito “ma così non cercheranno mai lavoro!” ed anche nel “e col nostro sudore manteniamo chi non fa sforzi per prendersi cura di sé e della comunità!”. A dire il vero l’elenco è molto meno sintetico  ma ciò che comunque lo caratterizza è il considerare i disoccupati degli irredimibili fannulloni, la cui irresponsabilità più che incentivata andrebbe sanzionata. 

Il lavoro si sa, in Italia non è un diritto effettivo (ad onta di quanto sancito dalla nostra Carta Costituzionale)  ma un bene prezioso e raro e soprattutto in alcune zone del paese si ottiene ancora tramite raccomandazione, esattamente come negli anni della tanto odiata prima repubblica. Sono in parecchi perciò quelli che scelgono di abbandonare l’Italia. 

Si tratta di uomini e donne intraprendenti e coraggiosi, ma purtroppo non tutti trovano la forza o hanno fiducia nei propri mezzi al punto tale da lasciare il luogo in cui sono nati ed hanno studiato ed in cui hanno amici e familiari, per trasferirsi in posti nei quali ricominciare da zero. Chi resta nutre una speranza, il più delle volte vana. Il lungo calvario a cui va incontro, da scolarizzato o meno, è una quotidianità fatta di umiliazioni che minano nel profondo la progettualità e quello che la Costituzione chiama “lo sviluppo della persona”. Non è un essere umano infatti chi non realizza se stesso, chi vive nella propria famiglia d’origine perché non ha ancora un reddito che gli garantisca almeno la sopravvivenza,  chi non ha figli perché non potrebbe fare in modo che vivano un’esistenza dignitosa. Certo, per alcuni avere un compagno/a e dei figli è solo una delle opzioni tra cui scegliere e non l’unica, ma per la maggior parte degli esseri umani vivere da adulti è soprattutto questo e che si tratti di una componente fondamentale per la nostra realizzazione lo testimoniano i millenni di storia degli uomini e delle donne che ci hanno preceduto. 

In un’epoca poi caratterizzata dalle infinite possibilità offerte dal progresso tecnologico e dalla tutela di norme che difendono ogni aspetto della vita umana, l’effettiva garanzia del rispetto della dignità della persona resta una questione drammaticamente irrisolta, soprattutto perché è impossibile che si realizzi in assenza di misure che garantiscano la soddisfazione dei bisogni umani primari. 

Ho cinquantatre anni ed in nessun momento della mia vita il lavoro in Italia è stato un bene raggiungibile da quanti lo cercavano. La condizione di progresso tecnologico a cui ho fatto cenno, rende necessaria l’introduzione di misure che diminuiscano l’intollerabile divario tra chi è nato e vive in una condizione più fortunata, o è riuscito col proprio lodevole impegno a raggiungerla e chi no e tale inserimento deve avvenire nel rispetto di un valore, che è quello della civiltà e che è stato ed è continuamente ignorato in nome invece della rincorsa al diktat del profitto imposto dall’economia e dalla finanza globale. Strumenti politici che restituiscano dignità a chi non ha mezzi per “comprare” ciò che di fatto acquistiamo anche col lavoro e cioè la rispettabilità,  non sono da considerarsi “regali” fatti a chi non ha voglia di lavorare, ma misure ragionevolmente necessarie in società complesse ed evolute quali la nostra. 

Eppure molte sono le voci contrarie a strumenti quali il reddito di cittadinanza, che nel nostro paese non è il solo,  ma è il più efficace strumento a sostegno di soggetti e famiglie che vivono in condizioni di disagio economico. Prima della sua introduzione in tanti lamentavano che lo stato non disponesse di mezzi sufficienti a garantire un reddito a tutti coloro che non lo avevano ma i mezzi sono stati poi trovati. Dopo la sua introduzione gli strali dei contrari al reddito di cittadinanza hanno portato avanti una campagna che lo ha dipinto come un mezzo per delinquenti abituali di arricchirsi illecitamente senza avere diritto al godimento del beneficio. È stato dimostrato che i furbetti del bel paese anche in questo caso hanno giocato la loro partita,  la stessa che giocano da sempre (era da ingenui pensare che non lo facessero!) ma che l’entità delle illecite appropriazioni non è stata importante al punto tale da mandare in default le finanze dello stato. 

Dunque la bontà della ratio della legge introduttiva del reddito resta oggi indiscutibile, soprattutto dopo tre anni di pandemia che hanno reso critiche anche le condizioni di vita di chi un lavoro prima lo aveva. Resta incomprensibile poi perché non possano esserci anche interventi politici volti alla creazione di nuovi posti di lavoro sebbene il tentativo sia stato fatto da più di un governo in passato senza essere mai nemmeno lontanamente risolutivo della problematica. Ricordo ancora con imbarazzo le promesse firmate da Berlusconi in tv di creare nel più breve tempo possibile un milione di posti di lavoro, salvo poi accorgerci che i lavori offerti erano sganciati totalmente dalla realtà sociale e culturale del paese (un dottorando cerca un impiego congruo alla sua preparazione e non un lavoro purché sia!). È evidente che la problematica relativa alla ricerca di un impiego è ben più complessa delle furbe campagne elettorali di Berlusconi ed è legittimo aspettarsi che la questione sarà destinata ad accompagnarci per molti anni ancora a venire, proprio a causa della complessità dei fattori che caratterizzano la nostra società, tanto diversa da quella dei nostri padri. In tale condizione, ben difficile nell’immediato da mutare, diventa necessario creare o mantenere misure che sebbene non risolutive, recuperino almeno il principio che è intollerabile che scienza e tecnologia raggiungano vette volte a semplificare al massimo le nostre esistenze, ma non vi sia invece un salto di qualità della politica che con esse si metta in pari, restituendo ai cittadini ciò che la tradizione della cultura occidentale e delle sue leggi, considera il minimo affinché i cittadini non siano esseri umani solo sulla carta.

Rosamaria Fumarola 

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano