Mettiti in comunicazione con noi

Attualità

ELENA DEL POZZO, UCCISA DALLA FOLLIA E DALL’IPOCRISIA

Guerre, disastri naturali, carestie. La morte è compagna delle nostre giornate.
Eppure, quando una madre uccide suo figlio l’orrore ci assale. Non è possibile accettare che una madre possa togliere la vita che ha dato.
Lunedì scorso a Mascalucia in provincia di Catania, Martina Patti ha ucciso a coltellate sua figlia Elena Del Pozzo, una bambina di cinque anni

Pubblicato

su

"Dancer Gertrud Frith in Medea" by ADiamondFellFromTheSky is licensed under CC BY-NC 2.0.

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Siamo abituati a tutto. Ogni giorno scene e notizie di morte arrivano sui nostri cellulari o in televisione. Una gara dell’orrore che a volte ci rende indifferenti.

Guerre, disastri naturali, carestie. La morte è compagna delle nostre giornate. Illustrata con troppi dettagli dalle troppe trasmissioni televisive dedicate alla cronaca nera.

Eppure, quando una madre uccide suo figlio l’orrore ci assale. Non è possibile accettare che una madre possa togliere la vita che ha dato.

Lunedì scorso a Mascalucia, in provincia di Catania, Martina Patti ha ucciso a coltellate sua figlia Elena Del Pozzo, una bambina di cinque anni.

Le indagini sono in corso. Diversi i punti da chiarire. Soprattutto movente e dinamica dell’omicidio.

Una doverosa necessità giudiziaria. Purtroppo, è iniziato anche il processo mediatico. Inutile liturgia che accompagna ogni fatto di cronaca.

Esperti vengono intervistati. Per dire cose che già sappiamo. Una madre che uccide è una donna fragile, con problematiche di carattere psichiatrico spesso aggravate da precarie condizioni famigliari e sociali.

In vent’anni in Italia ben 480 bambini sono stati uccisi dai genitori. In sei casi su dieci ad uccidere è la madre.

Ogni volta indignazione, dolore, rabbia, analisi dei soliti esperti e poi il nulla. Ritorna l’indifferenza e retorica.

Diventare madre è il sogno di molte donne. Per alcune però può diventare un incubo. La gravidanza cambia il fisico di una donna ma anche la psiche. Un figlio assorbe completamente le energie fisiche e psicologiche.

Una situazione impegnativa che può diventare drammatica in presenza di problematiche psichiche, economiche e di relazione famigliare.

Abbiamo l’idea di una donna che quando diventa madre diventa anche un’eroina. Spesso è così ma non sempre. Una donna fragile diventa una madre fragile.

Partorire un figlio non significa automaticamente amarlo. Non sempre il sangue è un legame.

In Italia se una donna decide di adottare un figlio viene sottoposta a controlli e valutazioni. Una procedura lunga. A volte umiliante.

Se invece partorisce, viene soventemente lasciata sola.

Uno Stato laico deve avere anche una visione laica delle problematiche della famiglia. La Sacra Famiglia può essere d’esempio ma noi siamo poveri e fragili mortali. Abbiamo bisogno di sostegno concreto.

Non è rinviabile la creazione di una rete di protezione sociale intorno alle famiglie. I servizi sociali devono avere la stessa importanza delle Forze dell’Ordine, dei Vigili del Fuoco e della Sanità.

Servizi sociali efficienti possono salvare delle vite. Non possono esser gestiti, con scarsità di fondi e personale, dai Comuni e dalle Regioni. Deve essere una responsabilità del Governo, da cui i Servizi Sociali devono direttamente dipendere.

Programmare colloqui specialistici e periodici con le mamme potrebbe essere un primo passo.

Non può esserci l’ipocrita rassegnazione davanti alla morte di un bambino ucciso dal genitore.

È compito della comunità difendere i bambini. Anche dalla follia dei genitori.

RIPRODUZIONE RISERVATA ©