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SERENA MOLLICONE, L’INUTILE CLAMORE

Il soggetto, ad oggi ignoto, lega le mani di Serena dietro la schiena. Con nastro adesivo e fil di ferro. Segno evidente del timore che Serena possa liberarsi. Pensa di averla uccisa ma non è sicuro.
Rimane lucido, non si lascia prendere dal panico. Ha necessità di eliminare ogni rischio, anche solo ipotetico. Arrivato nel bosco lega il corpo ad una pianta.

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Credit foto https://quotidianomolise.com/serena-mollicone-chiusa-linchiesta-fu-uccisa-in-caserma/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il titolo in un articolo di giornale è fondamentale. Deve riassumere l’argomento trattato e attirare l’attenzione del lettore. Nell’epoca del giornalismo digitale il titolo diventa strategico, perché deve portare visualizzazioni

Questo può portare a titoli eccessivamente enfatici. Specialmente quando l’argomento è la cronaca nera.

Dopo l’ultima udienza del processo per l’omicidio di Serena Mollicone, diversi giornali hanno dato risalto a questa notizia, “Serena poteva essere salvata, la sua agonia è durata almeno trenta minuti”.

In realtà non è una news ma un fatto storico accertato da anni. Dal 2001 tutti i medici legali sono stati concordi nell’affermare che il colpo alla testa non era letale e che Serena Mollicone è morta dopo lunga agonia. Soffocata.

Certo che Serena poteva essere salvata. Tutte le vittime di omicidio potevano essere salvate. Ovviamente, però, l’assassino ha interesse ad uccidere.

Ancora oggi è diffusa la convinzione che quando l’assassino colpisce Serena, non ha intenzione di ucciderla. Probabile ma non è l’unica possibilità.

Serena viene colpita una sola volta alla testa. Con un corpo contundente o sbattuta contro una porta. Un solo colpo, nella zona del cranio dove le ossa sono più sottili. Coincidenza o l’assassino voleva colpire proprio quel preciso punto?

L’assassino procede poi a chiudere naso e bocca della vittima con nastro adesivo. Per evitare la perdita di liquidi biologici e per impedire alla vittima di respirare.

Il soggetto, ad oggi ignoto, lega le mani di Serena dietro la schiena. Con nastro adesivo e fil di ferro. Segno evidente del timore che Serena possa liberarsi. Pensa di averla uccisa ma non è sicuro.

Rimane lucido, non si lascia prendere dal panico. Ha necessità di eliminare ogni rischio anche solo ipotetico. Lega con precisione maniacale le mani di Serena. Arrivato nel bosco lega il corpo ad una pianta.

Non è pietà la sua. Non ha esigenze simboliche da seguire ma solo pratiche. Ha necessità di far credere che Fontecupa non è il luogo di abbandono del corpo ma la scena del crimine principale. Deve allontanare i sospetti dal luogo dell’omicidio di Serena Mollicone.

Ci riesce visto che dopo ventuno anni ancora è radicata la convinzione che Serena sia stata uccisa nel bosco di Fontecupa.

Abbiamo capito poco dell’assassino di Serena Mollicone e del suo movente. Non può permettersi che Serena rimanga in vita. Cosa poteva sapere la povera ragazza di Arce? Evidentemente qualcosa di pericoloso e compromettente.

Altro dato certo è che Fontecupa era fondamentale per il piano di depistaggio ideato dall’assassino. Un luogo pericoloso per occultare un corpo. Con una sola via d’accesso, frequentato in qualsiasi orario e per accedervi l’assassino doveva percorrere una strada statale trafficata. Nonostante ciò sceglie Fontecupa. Perché?

Forse era a conoscenza dei presunti avvistamenti di Serena nei pressi del Bar della Valle che dista poche centinaia di metri da Fontecupa. Avvistamenti resi noto solo nel pomeriggio del 2 giugno. Probabilmente sapeva che i carabinieri il pomeriggio del 2 giugno avevano già ispezionato Fontecupa e sperava che non avrebbero controllato nuovamente.  Forse era nei pressi mentre i carabinieri controllavano la radura.

Una persona fredda, meticolosa, maniacale nella precisione. Che probabilmente ha o aveva una posizione sociale da difendere.

Il 15 luglio la Corte d’Assise di Cassino scriverà la prima pagina che porterà alla verità. Perché di verità abbiamo bisogno. La verità non una verità.

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