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Cronaca

A che punto è la notte?

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di MICHELANGELA BARBA

A che punto è la notte di Napoli dove ragazzini minacciano e ragazzi rispondono al fuoco, dove una famiglia esplode di dolore e rabbia e una donna dagli organi interni esplosi per le botte del compagno spira dimenticata e in solitudine, suoi parenti allontanati perché travolti dalla furia dei primi?


A che punto è la notte di Milano dove da due anni Jessica Faoro giace e chi vive, come da tradizione, si dà pace e finanziamenti fine a sé stessi?

A che punto è la notte a Roma dove per il figlio di Laura Massaro è iniziata un’altra tappa di una Via Crucis in salsa (pseudo) scientifica di test e camici e relazioni e Tribunali?

Non si sa, non ci è dato sapere.

In questa notte senza Luna brancoliamo nel buio della civiltà ma ahimè non in silenzio.

E così si sprecano fiumi, laghi, oceani di parole.

Sempre inutili, spesso anche insensate.

E così, come sempre, abbiamo le fazioni, le tifoserie del macabro derby del dolore:

#iostoconugo, era un bambino, era una marachella, era il legittimo desiderio di un bene imposto dalla società consumista che gli è stato impropriamente sventolato davanti.

No, sono moglie/figlio/fratello/vicino di casa di un carabiniere. Io sto con i nostri angeli con la divisa che difendono valorosamente la patria a sprezzo del pericolo. E in fondo meglio un delinquente in meno che uno in più.

Negazione o retorica? Di che cosa ci vogliamo nutrire in una notte in cui non ci sono Angeli ma solo violenza che chiama violenza che chiama violenza?

Intanto nel silenzio che le è proprio, in quanto donna, Irina, percorsa a morte dal compagno, subisce anche lo sfregio di morire sola.

Le è negato il conforto di avere familiari vicino, in nome dell’ordine e della sicurezza già abbondantemente perduti e sconfitti, nello sfacelo di cose e persone.

Non c’è pietas. Non c’è nulla se non l’ennesima violenza reiterata ancora e ancora e ancora.

Cosa ce ne vogliamo di questa notte dove vince solo il peggio dell’umanità? Coniamo hashtag che raccontano una rappresentazione dei fatti che vorremmo ma che ahinoi non è. Ci affannano a spargere indignazione e giudizi di valore e poi?

Speriamo che le punizioni esemplari (Ma per chi?) ci salveranno dalla prossima puntata?

La prossima puntata, per la cronaca, è già in corso, corre in silenzio verso l’epilogo clamoroso.

Anzi mille prossime puntate.

Siamo pieni di minori tartassati di inutili ctu e valutazioni nel tentativo aberrante di trovare una patologia che non c’è e dare un carattere di malattia a ciò che regge il mondo: il legame materno.

Siamo pieni di altri minori allontanati da casa e cresciuti dalle Stato, dai servizi, dai progetti, ectoplasmi non propriamente felici che si trascinano verso la maggiore età in attesa di esplodere.

Siamo pieni di altri minori ancora, invisibili, figli di genitori invisibili, che balzano agli occhi solo quando emerge con qualche atto, il cosiddetto stile di vita “illegale”, che crescono nella terra di nessuno delle periferie, dove lo Stato e i suoi servizi rinunciano ad andare. Sono “abusivi”, occupanti senza titolo e perciò senza residenza e senza diritti, in larga parte italiani ma stranieri in patria.

Ricompaiono, maggiorenni, nel sistema penale, a volte dopo essere inutilmente transitati nel penale minorile, delinquenti fatti “da rieducare”. Entro una manciata di mesi ovviamente.

Dov’è la società nel frattempo? A comprare mascherine, si dice anche inutili, per difendersi da un virus debellabile in un tempo circoscritto.

Oppure a tuonare sui social. Oppure a discutere altri e più interessanti argomenti come lo sport, le influencer, i nuovi diritti. Dove siano finiti quelli vecchi, non si sa.

Dov’è la scuola nel frattempo? A proiettare slide di risultati di prove invalsi per convincere i genitori ad acquistare il prodotto iscrizione e inventare laboratori e gite originali quanto inutili e a mandare avanti la baracca della scuola impresa che nessuno più dice di volere ma che nessuno ha il coraggio di sopprimere.

E gli esclusi esclusi da subito, che non si facessero illusioni.

Dov’è infine la famiglia? La famiglia rinnega sé stessa. Legame = dipendenza = patologia = oddio una cura presto, meglio se di stampo cognitivo comportamentale.

Chi salverà quindi i nostri bambini? Le donne, quando ci provano, fanno una brutta fine.

Bruttissima. In solitudine e con la damnatio memoriae perché avrà l’assassino il diritto a rifarsi una vita?

Diritto all’oblio appunto. L’oblio di un delitto è l’oblio di una vittima già silenziata dagli eventi

Chi li salverà? Ci penseranno da soli, una volta cresciuti a fare la rivoluzione? O si perderanno nella fragilità di chi è cresciuto al buio e non conosce spiraglio di luce?

Questo vogliamo per loro?

E allora che fare?

Forse iniziare da una pratica semplice eppure rara: l’empatia, l’abilità di comprendere e rispettare il dolore. Ogni dolore, anche quando non è urlato, anche quando non si vede. Senza negare niente a nessuno.

Riconoscere la debolezza, la paura, la rabbia che diventa arroganza.

Riconoscere la solitudine, il bisogno di legame.

Riconoscerci in tutti questi bambini martoriati e riconoscerli prima che si trasformino nei mostri che abbia loro chiesto di essere.

E poi, da qui, iniziare a riflettere.

La notte a volte porta consiglio. Oppure no.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo