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Cronaca

Graziella De Palo e Italo Toni, 39 anni di mistero

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di PIERDOMENICO CORTE RUGGIERO

“Piuttosto che lavorare faccio il giornalista “, una frase che porta a riflettere sulla figura del giornalista.

Il giornalismo può apparire poco faticoso, poco impegnativo, che sarà mai scrivere un paio di pagine al computer? Ovviamente il giornalismo è molto di più. Trovare la notizia, verificarne l’attendibilità, renderla fruibile al pubblico, questo deve fare e saper fare bene un giornalista. Tutto ciò richiede impegno, fatica, preparazione. Coraggio. Molto coraggio. Il giornalismo è definito “il cane da guardia della democrazia “. Un cane a cui spesso si prova a mettere la museruola o il guinzaglio. Un cane che, troppe volte, viene messo a tacere uccidendolo. Solo nella realtà italiana, sono quotidiane le minacce a giornalisti, alcuni dei quali vivono sotto scorta. Purtroppo nessuno ha potuto o voluto proteggere Graziella De Palo e Italo Toni. Due giornalisti. Due vite spezzate. De Palo e Toni sono due ottimi giornalisti, che si interessano principalmente delle vicende libanesi e palestinesi. Siamo agli inizi degli anni 80, in Libano si combatte una feroce guerra civile. Beirut diventa centro di spionaggio e di traffici. Illeciti. Le guerre si combattono con le armi, per comprare le armi servono soldi,per fare i soldi necessari si vende droga. Questo avveniva a Beirut. Del traffico di armi e droga si interessano Graziella e Italo. La De Palo, aveva scritto diversi articoli sul coinvolgimento italiano nel traffico di armi e droga da e per il Libano, ipotizzando il coinvolgimento del Sismi. L’Italia aveva, verso i paesi arabi, una politica estera “birichina “. Pur essendo alleato degli Stati Uniti, il governo italiano aveva rapporti amichevoli con molti stati arabi nemici degli U.S.A. Rapporti amichevoli, finalizzati  ad ottenere sia vantaggi economici ( appalti, petrolio, vendita di armi) , sia ad evitare attentati terroristici di matrice araba in Italia ( lodo Moro ). La politica della “moglie americana e amante araba “. Con una moglie e un’amante gelose e manesche, possono accadere brutte cose. Il 22 agosto 1980 Graziella e Italo partono per il Libano, passando per la Siria. Il 24 agosto arrivano a Beirut, dove alloggiano presso l’hotel Triumph. Il loro viaggio è organizzato dall’O.L.P. Il 1° settembre si recano presso l’ambasciata italiana di Beirut, per avvisare che si sarebbero recati presso la postazione dell’O.L.P nel castello di Beaufort. Chiedono all’ambasciata di essere cercati, se entro tre giorni non dovessero tornare a Beirut. Evidentemente avevano fondati timori. Il 2 settembre Graziella e Italo, sarebbero dovuti partire su una jeep del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), invece spariscono nel nulla. L’ambasciata italiana a Beirut si attiva solo il 15 settembre, e solo su richiesta della famiglia di Graziella De Palo. Iniziano le indagini del Sismi e della magistratura. Iniziano anche i depistaggi, come in ogni mistero italiano. Interviene anche Arafat che nega ogni responsabilità nel rapimento, ma promette che Graziella sarà liberata. Liberazione che non ci sarà, mai. L’inchiesta della magistratura individua i miliziani del F.P.L.P, come autori materiali del duplice omicidio. Viene chiesto il rinvio a giudizio, per favoreggiamento, del capocentro Sismi in Libano colonnello Giovannone e del direttore del Sismi generale Santovito. La morte di entrambi, impedisce di portare avanti l’inchiesta. Anche perché il governo italiano, appone il segreto di Stato sulla vicenda. Probabilmente gli autori materiali sono arabi, ma i mandanti potrebbero essere italiani. Come nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Come nel caso di Lea Schiavi, uccisa il 24 aprile 1942 nell’Iran settentrionale. Sono trascorsi quarant’anni. I corpi di Graziella e Italo, non sono mai stati trovati. Attendono sepoltura e giustizia. Graziella e Italo non sono morti cercando notizie da pubblicare, sono morti per tutelare quella democrazia di cui spesso, troppo spesso ultimamente, dimentichiamo l’importanza.

Foto tratta dal sito www.iltempo.it