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Cronaca

Thomas Bricca, la differenza tra indagini e sentenze

Il 30 gennaio scorso, ad Alatri in provincia di Frosinone, è stato ucciso Thomas Bricca. Giovanissima vittima innocente di una probabile vendetta per una rissa scoppiata nei giorni scorsi. Una notizia che ha avuto e ha l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica.

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Credit foto https://www.agenzianova.com/news/alatri-a-lutto-per-il-funerale-di-thomas-bricca-nessuna-novita-dagli-investigatori/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il 30 gennaio scorso, ad Alatri in provincia di Frosinone, è stato ucciso Thomas Bricca. Giovanissima vittima innocente di una probabile vendetta per una rissa scoppiata nei giorni scorsi. Una notizia che ha avuto e ha l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica.

Non sono passati nemmeno due mesi e le polemiche sono già roventi. Il Corriere della Sera ha titolato “Thomas Bricca, dal mancato stub alle perquisizioni tardive, gli errori nelle indagini della procura”. Senza aver letto gli atti, ovviamente segretati, il giornalista scrive di errori. La Procura della Repubblica di Frosinone ha risposto con due note invitando al silenzio in attesa della conclusione delle indagini che ad oggi hanno portato a due indagati.

Molti sostengono che i famigliari di Thomas Bricca hanno diritto alla verità. Giustissimo ma esattamente cosa intendono per verità? Non sono “la verità” le conclusioni degli investigatori, non sono “la verità” nemmeno le convinzioni della Procura. Per verità si intende quanto accertato con sentenza passata in giudicato. Vogliamo invece illudere i parenti delle vittime con un processo destinato a chiudersi con l’assoluzione?

Dietro le polemiche sulle indagini per l’omicidio di Thomas Bricca si nascondono in realtà due questioni irrisolte. La polizia giudiziaria vive con frustrazione il mancato accoglimento da parte dei magistrati delle proprie tesi. Vivono come mancanza di fiducia il mancato arresto o il mancato rinvio a giudizio. Ovviamente non è così. Il magistrato, sia in veste inquirente che giudicante, deve accertare se gli indizi possano o meno trasformarsi in prove tanto solide da superare il ragionevole dubbio. Non bisogna accontentarsi di andare a processo. Poi bisogna vincerlo. Non possiamo creare la distinzione tra magistratura “buona” che accusa/arresta e la magistratura “cattiva” che assolve.

I giornalisti hanno preso molto male la recente normativa Cartabia che praticamente impedisce l’accesso alle informazioni durante le indagini preliminari. La ratio della normativa è impedire di condannare mediaticamente gli indagati. Ragioni valide ma la normativa ha delle criticità. Giustamente i giornalisti devono lavorare, devono informare. Facendo, però, un esame di coscienza. Quante volte abbiamo letto titoli come “La Procura ha indizi schiaccianti” o “Il cerchio è chiuso”? Salvo poi chiudersi tutto con l’assoluzione o l’archiviazione. Troppi elementi parziali sono stati diffusi, troppe teorie senza fondamento hanno trovato spazio in tv. Troppa “pornografia giudiziaria”. Con il pretesto di dare voce alle vittime sono state emesse sentenze mediatiche. Diversi giornalisti scrivono o dicono “siamo sempre dalla parte delle famiglie delle vittime”. Giusto, fare informazione significa, però, stare dalla parte della verità. Significa avere il coraggio di dire ai famigliari la verità.

Le indagini vanno fatte presto e bene. Soprattutto bene. Non è vero che se l’assassino non viene trovato in quarantotto ore non viene più trovato. Significa che nelle prime ore vanno raccolti a tappeto tutti gli elementi: testimonianze; video di sorveglianza; tabulati; reperti biologici e dattiloscopici, senza trascurare nulla. Lo studio di questi elementi, invece, può durare mesi. A volte anni.

Non serve gettare benzina sul dolore di famiglie che giustamente aspettano giustizia. Non servono illazioni, trasmissioni televisive basate su poco o nulla. Il giornalismo può aiutare gli investigatori facendo meno cronaca e più inchieste. Con la giusta preparazione professionale. Ad esempio l’esame stub perde efficacia con il passare delle ore ed è facile eluderlo. Meglio non farlo che ottenere un negativo che peserebbe durante il processo.

Purtroppo o per fortuna il dolore non costituisce elemento di prova in tribunale. Il processo è asettico e per certi aspetti freddo. Soprattutto da quando la prova scientifica è diventata affidabile. Tutti vediamo in Thomas Bricca un nostro giovane parente, tutti abbiamo spazio nel nostro cuore per il dolore dei suoi genitori. In tribunale, però, questo non basta.

Serve freddezza e logica. L’assassino di Thomas Bricca sarà assicurato alla giustizia il giorno in cui la Cassazione chiuderà il caso. Quel giorno verrà. Senza dubbio. I famigliari hanno espresso, giustamente, fiducia nel lavoro della magistratura e dei carabinieri.

Nell’attesa non dobbiamo dimenticare che la verità è molto gelosa, non tollera di essere tradita con l’ambizione personale o con la faziosità.

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