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Cultura

Quegli occhi che urlavano: la vita e la morte di un uomo e del suo corpo sequestrato.

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di SERGIO TATARANO

Intervista a Maddalena Soro

Maddalena Soro, autrice del libro “Quegli occhi che urlavano”. Un libro toccante che racconta la storia di un uomo, Giovanni Nuvoli, costretto a fare i conti con una malattia gravemente invalidante, la SLA, la malattia che fu di Luca Coscioni.

Quella di Nuvoli, raccontata dalle parole crude e amorevoli della moglie, è una storia con un epilogo terribile:la morte per fame di fronte al diniego della sospensione della ventilazione polmonare.

Ci racconti la storia personale, sua e di suo marito.

Mio marito era una persona sana, non è mai stato malato. Ad un certo punto della sua vita, iniziò ad accusare un po’ di stanchezza. A volte inciampava. Diceva “che strano, sono un po’ distratto!”. Poi invece andammo da uno specialista che ci diede questa “sentenza”: Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Qual è stata la prima reazione alla notizia?

Io pensai “se è laterale amiotrofica significa che investirà solo una parte del corpo”. Lui disse di non fasciarci ancora la testa. Il problema era che non conoscevamo assolutamente questa malattia. Quando i disturbi iniziarono a progredire, ci informammo e capimmo la gravità della situazione.

Ho avuto modo di leggere il libro e devo dire che la storia di suo marito mi ha colpito più di altre vicende maggiormente note. Ciò che mi ha scosso molto è l’idea di un uomo intrappolato nel suo stesso corpo, con un ostruzionismo da parte delle istituzioni e della politica…

…asl, medici, Comune…Io ho sempre lavorato con i disabili, ma non conoscevo assolutamente la SLA.

Vista la scarsa privacy e la mancanza di delicatezza sulle persone da parte del personale, ad un certo punto ci interrogammo sul che fare: impuntarci o lasciar perdere? Col passare del tempo eravamo sempre più in balia di medici e infermieri e mio marito finiva col non contare nulla. Era un numero di letto, loro non vedevano un uomo. Nessuno si curava di come stesse, se avesse freddo o caldo, se avesse bisogno di qualcosa. Nulla! E lui fermo lì a guardare questa gente che gli passava davanti.

Nel libro si parla di questa escalation in cui suo marito chiedeva la fine delle terapie ma nessuno gli credeva, nonostante lo facesse con mezzi sempre più attendibili.

Al presentarsi del suo primo problema respiratorio, fu portato ad Oristano, ormai in coma. Poi si riprese un po’ e disse che non voleva assolutamente essere attaccato alle macchine. Io lo tranquillizzai che tanto non gli avrebbero mai fatto nulla contro la sua volontà. Dopo un paio di giorni era invece attaccato alle macchine. Chiesi ai medici il perché e loro mi dissero che lo avevano fatto in quanto avevano visto che c’era un’insufficienza respiratoria. Sbottai e dissi “E le carte che ha firmato non contano nulla? Ma cosa pensate, che mio marito sia una pallina?!”. Fu una decisione del primario e mi meraviglio di come sia stata consentita impunemente una scelta contro la volontà di Nuvoli.

Cosa feriva suo marito?

L’essere considerato un numero. I medici mi dicevano “Signora, si rassegni. La malattia lo rende egoista, lo lasci perdere”.

Qual è l’aneddoto più spiacevole?

Una volta chiesi al primario di poter portare mio marito a casa, e lui “Signora, noi le daremo un’ora (di assistenza, ndr), però lo smerda lei!”. Gli risposi: “ma quando i suoi bambini erano piccoli, lei diceva a sua moglie di smerdarli?!”. Questa cosa mi ha toccato molto. Ecco, nel libro non c’è una parola in più di ciò che mi è stato detto, piuttosto ce ne sono molte in meno.

Di notte lui spesso mi diceva “ora che non ti vede nessuno, staccami dalle macchine” oppure ”sparami”. Io cercavo di sdrammatizzare, ma lui continuava a parlarmi con quegli occhi da cui cadevano le lacrime a cucchiaiate. Mi diceva “sono stanco, lasciatemi andare”.

E cosa gli procurava sollievo in quel periodo straziante?

Un giorno Nuvoli inviò una lettera ad un giornale e subito dopo gli si presentò il dott. Tommaso Ciacca; allora Nuvoli mi disse “lui sarà il mio grande aiuto, mi aggrapperò a lui finché farà qualcosa come qualcuno ha fatto con Welby”. Giorni prima, invece, ricevetti una telefonata: “Ciao, sono Marco Cappato. Noi vorremmo venire ad ascoltare Nuvoli, per vedere come possiamo aiutarlo”. Cappato non voleva staccarlo dalle macchine, ma solo capire qual era la situazione. Quella sera, diluviava, persi l’ombrello… tornai a casa e comunicai telefonicamente a mio marito la bella notizia. Il giorno dopo lui era felicissimo e mi disse “Tu sei la grande mia signora!”.

Come sa, si discute in questi giorni di una legge sul testamento biologico. Come avrebbe commentato suo marito questa legge, per come è stata formulata oggi?

L’avrebbe pianta. Io credo che andrebbe preparata una legge da gente competente, questa gente non sa neanche cos’è una macchina. Ricordate cosa diceva il Presidente del Consiglio su Eluana? E allora di cosa ci meravigliamo. La vita è fatta di nascita e morte. Nuvoli diceva: “Non vogliono manipolare l’embrione…ma allora perché manipolano me che sono un uomo?!”.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo