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di IGOR SANTOS

Nove ore in treno da Vitoria a Santiago di Compostela (V)


*** Continua con queste righe una serie di tredici puntate per raccontare un viaggio in treno da Vitoria, nei Paesi Baschi, a Santiago di Compostela, nella Galizia, che percorre buona parte del nord della penisola iberica ****

Burgos, stazione e Cammino

Il treno rallenta mentre si entra nella stazione di Burgos, forse l’unica vera innovazione dell’intero viaggio. È di linea sobria e funzionale, senza derive da archistar. Calatrava è lontano. Il capotreno mi racconta che fu inaugurata nel 2008. Da allora i treni non tagliano il centro storico della città, come ero abituato a fare in altri viaggi del passato, quando vecchi convogli portavano altro me a spasso. Devo perciò rinunciare all’istante in cui l’orizzonte, intrappolato tra le case, si apre, fugacissimo, sulle torri della cattedrale; sogno gotico iniziato otto secoli fa dal re di Castiglia Fernando III.

Il capotreno mi guarda come se avesse davanti un pazzo, quando chiedo se il nome della nuova stazione, Rosa de Lima, rende omaggio alla patrona del Perù, la mistica domenicana di quel nome. «Guardi, non sapevo nulla del Perù, ma il nome è stato scelto per ricordare una dirigente socialista nata nella provincia, morta in un incidente di elicottero tanti anni fa». Chiedo scusa e ringrazio per l’informazione. Sono i rischi dell’omonimia, gli errori che provoca la somiglianza e, forse, la mia passione per le canzoni di Joaquín Sabina, i romanzi di Vargas Llosa, la voce di Juan Diego Flórez, che vibra tra Rossini e Chabuca Granda, e il ricordo di una ‘verónica’ di Roca Rey.

Partiti da Burgos non rimane nella carrozza nessuno del gruppo dei pendolari saliti a Miranda. Se per me questo è un viaggio verso Santiago, per altri è un semplice spostamento locale. Ora regna il silenzio, e un po’ temo che sia la forma con cui i miei nuovi colleghi, pochi per la verità, cercano di rimproverarmi l’aver sbagliato Rosa. La situazione peggiora perché ho fame e ho soltanto pochi biscotti. Ma ho tanto tempo e tanto paesaggio.

Il treno scorre verso il mezzogiorno e lo sguardo giunge più lontano e affonda nel nome di Castiglia. Qua e là, villaggi con le loro case strette attorno alla chiesa; architetture di dimensioni sempre stupefacenti, molto più grandi dei volumi costruiti attorno. Ai margini dei binari si trovano lunghi tratti di autostrada e anche i mulini, memento di modernità in una terra di gerarchie insediative cristallizzate nel tempo. Posso osservare con dettaglio il grano verde e l’albero nudo, secco, già morto, mentre il treno muove a passo d’uomo poco prima di Celada del Camino, luogo dal nome bellissimo. Esso ricorda come il villaggio sia nascosto agli occhi di chi cammina. Ma il Cammino non è uno. Sono tanti, almeno quante le persone disposte a intraprenderlo. Poco prima di Celada, se il treno avesse imboccato il cosiddetto Camino Francés, avremmo dovuto volgere a occidente, verso Melgar e Carrión de los Condes, luogo di tanti echi legati al Cantar del Cid…

All’orizzonte vediamo una linea dell’alta velocità. Stretti dunque tra l’autostrada e quella nuovissima ferrovia sembra che qualcuno si voglia prendere gioco di noi, che muoviamo piano sopra una luce trasparente e un sole caldo. All’improvviso, dopo Magaz, si gira a destra. Si scarta cosí la strada verso Valladolid e si spera di giungere a Palencia. E si dimentica il sud, errore azzeccato (Santiago! Santiago!) per seguire il corso del Pisuerga e il suo paesaggio languido. I mulini fermi, nel silenzio della carrozza, sono gli unici compagni di viaggio fino alla città di Palencia, dove il treno si arresta con un vagito alle 13.30.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo