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di IGOR SANTOS

Nove ore in treno da Vitoria a Santiago di Compostela (IV)


*** Continua con queste righe una serie di tredici puntate per raccontare un viaggio in treno da Vitoria, nei Paesi Baschi, a Santiago di Compostela, nella Galizia, che percorre buona parte del nord della penisola iberica ****

Nei campi della Castiglia

Dentro alla carrozza la vita continua. Alcune signore leggono (sono pochi i maschi adulti), mentre i giovani guardano i telefoni e altre tavolozze di dimensioni diverse. Per loro è un trasferimento corto, da pendolari, destinato a finire a Burgos. C’è chi dorme, chi attende, chi guarda incantato oltre il vetro. Viaggiamo tutti in parallelo a quel Cammino dove tanti altri, nel Medioevo e oltre, compirono il loro pellegrinaggio. Le torri della collegiata di Briviesca svettano appena tra le case nuove, le uniche novità che presenta la vecchia città romana di Birovesca. I silos gemelli appena fuori dalla stazione ricordano il destino di queste terre come granaio.

La strada sale, mancano meno di quaranta kilometri a Burgos, che ci attende ancora lontana, adagiata sotto le torri della sua cattedrale, dove brilla la stella di pietra che adorna il cielo della cappella dei Velasco, Condestables de Castilla, la famiglia che fu in grado di definire il destino di un’intera terra con minor cura di quella impiegata dalle cicogne nella scelta della loro dimora (rami intrecciati in un ricamo vegetale) nelle torri e nei campanili.

Talvolta, quando si corre accanto all’autostrada Bilbao-Madrid, il treno sorpassa macchine e autobus, ma è un miraggio di rapidità. Questo è un paese che predilige spostarsi su strada, non su rotaia, se si ha l’intenzione di percorrere, con i mezzi pubblici, le grandi distanze che separano le città della Meseta e, forse, per questa ragione è un paese così poco giacobino, nonostante che tanti pensino di vivere in uno stato fortemente centralizzato. Appena il treno rallenta, non importa quale sia la ragione, il leggero vantaggio ottenuto si perde. E il viaggio diventa quasi un manifesto della calma, un viaggiar guardando gli orizzonti di foschia e i cieli velati dove, talvolta, si incrocia il volo elegante di un rapace, il lento fluire di un ruscello, il colpo del vento sugli alberi vestiti già da primavera in questo falso inverno.

A differenza di altri luoghi della Spagna, questa è una zona con infrastrutture fossilizzate. Qui il Franchismo riuscì nell’incubo di rendere ancora più grave l’arretratezza secolare della Castiglia, che nessuno dei viaggiatori romantici (ancora l’Ottocento!) seppe ignorare: esotica povertà che avrebbero modellato i cliché sulla Spagna stampati ovunque: dalla pagina scritta allo spartito, da Carmen a Manet. Ma è pur sempre vero che in queste lande, spesso, la modernità si ferma nel decoro delle strade, nel wi-fi, nel girare stanco delle pale di un mulino altissimo e bianco, nel bruttismo caparbio delle tante villette a schiera che rappresentano l’annuncio della città, ormai prossima. È un handicap che ha, se non altro, il dubbio vantaggio di consentire che il nastro del paesaggio che si srotola nello schermo del mio finestrino non sia – non sempre almeno – devastato, come altrove, da una corsa edilizia irresponsabile. Da una brama finta di modernità che è solo arretratezza estetica e povertà morale.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo