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di IGOR SANTOS

La signora delle parole


Convocato a Roma per un concorso pubblico, aspettavo la chiamata seduto in un corridoio di luci pallide, simili a quelle che si è soliti trovare negli ambulatori o negli ostelli di alcune località turistiche. Talvolta l’attesa era interrotta dal passaggio di un impiegato, di una professoressa; dall’arrivo spensierato e chiacchierone di un gruppo di studenti. Dopo alcuni minuti, io e gli altri candidati siamo stati fatti accomodare in una sala piccola, dominata da un tavolo che occupava quasi per intero l’angolo destro della stanza. Poche sedie di plastica e una libreria in legno, quasi sicuramente ottocentesca, riempivano il resto dello spazio in un insieme pittoresco, fatto di relitti di un passato spiaggiato e di uno squallido presente: miscuglio tipico di tante strutture pubbliche nei paesi europei, soprattutto in quelli affacciati sul Mediterraneo. Mi sono seduto, un po’ turbato, pensieroso, come è tipico nei minuti che precedono una prova e sono tornato con lo sguardo sulla libreria. Le coste dei libri occupavano tutte le righe disegnate dagli scaffali, come note sul pentagramma. Allora, ho sentito subito una presenza amica, il lampo confortante del ritrovare tra tanti titoli il “Diccionario del uso del español” composto da Maria Moliner. Immediatamente la memoria mi ha portato via dalla stanza, da Roma e dall’Italia per riportarmi a un altro scaffale dove ero solito fare i compiti e studiare nei pomeriggi di tanti anni fa, sotto lo sguardo severo dei due volumi (dalla A alla G e dalla H alla Z) del Moliner, posti accanto alle grammatiche e al più famoso “Diccionario” della lingua spagnola pubblicato dalla Real Academia.

Tornato nella stanza romana, il pensiero di María Moliner è servito per chetare il turbamento e il suo dizionario per farmi ricordare la centralità del lavoro silenzioso, portato avanti da chi non ebbe mai (perché donna, perché attiva nella periferia dell’establishment accademico della Spagna franchista) sostegni istituzionali al di là di puntuali quanto eroiche difese compiute dai più illuminati intellettuali di un’epoca così lontana dai lumi: Dámaso Alonso, Rafael Lapesa e Laín Entralgo. Il suo capolavoro, quindici anni di fatica portata avanti nel salone di casa, non le valse la chiamata all’Accademia della Lingua Spagnola nonostante il dizionario da lei concepito fosse di una modernità inenarrabile, nonostante la stessa Accademia finisse per includere nel proprio dizionario alcune trovate illuminanti di Moliner, lessicografa esemplare, il cui nome fatica a trovare la strada che porta fuori dall’oblio.

Quando la commissione mi chiama, provo soltanto un lieve senso di sollievo, contento di poter parlare davanti a María, testimone silenzioso e caro di una vita piena di parole, passata davanti ai libri.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo