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Cultura

L’anima mistica di Rabindranath Tagore

L’ identità dell’uomo va ricercata non solo nell’ascesi spirituale necessaria a riconciliarsi con Dio ma, soprattutto, nel compimento della passione e dell’amore, sorgenti di luce che lo avvolgono e coinvolgono nel giro di danza del suo tempo felice spesso distratto dai labirinti dell’oscurità mai assoluta, perché rischiarata dal dono del riposo in Dio.

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DI SARA D’ANGELO

Rabindranath Tagore by Cea CCBY2.0

Centosessanta anni dalla nascita, ottant’anni dalla morte.

Ottant’anni fa, il 7 agosto del 1941, moriva il poeta Rabindranath Tagore. Nato a Calcutta il 7 maggio 1861 da nobile famiglia, quattordicesimo figlio di un ricco bramino, Rabindranath Thákhur, questo è il suo vero cognome poi anglicizzato in Tagore, fu un poeta, filosofo, musicista, pittore, innamorato delle tradizioni e consuetudini culturali della sua India ma, a differenza di Gandhi che condivise con lui lo stesso secolo, aperto al pensiero libero della cultura occidentale, tanto da portarlo con sè nel viaggio di ritorno in India dopo la sua permanenza in Europa.
Nel 1877 si trasferì in Inghilterra dove si fermò tre anni per studiare diritto. Visitò l’Italia e la Francia, appartengono a questi anni la stesura di  “Le lettere di un viaggiatore in Europa”, “La caccia tragica”, “Canti della sera”, “Canti del mattino”.
Nel 1901 fondò a Santiniketan, un quartiere della città di Bolpur a cento chilometri da Calcutta, una scuola sperimentale che nel 1921 divenne La Visva Bharati University. Nella “Casa della pace” le sue lezioni di filosofia si fondevano con i profumi della natura, nel pieno rispetto dell’antica tradizione indiana secondo la quale gli alunni acquisiscono la dottrina stando a stretto contatto con l’opera di Dio.
La sua vita fu tempestata da molti lutti; nel 1902 morì la moglie, nel 1904 perse la figlia, nel 1905 il padre, nel 1907 il figlio più piccolo. Nelle sue liriche è manifesta la piaga dell’anima. “Le ali della morte”, “Luna crescente”, “Il nido distrutto“, sono solo alcune raccolte poetiche che testimoniano il tempo del suo dolore. A queste gravi perdite si aggiunse quella della cognata Kadambari Devi, morta suicida nel 1884, a cui dedicò l’ode “Offerta di fiori”.
Rabindranath Tagore fu insignito del titolo di “Sir”, ma vi rinunciò per protesta alla strage di Amritsar in cui morirono migliaia di civili indiani uccisi dalle truppe obbedienti agli ordini del generale Dyer.
Le sue opere scritte in lingua bengali e sanscrito furono tradotte da lui stesso in inglese e, successivamente, tradotte in tutte le lingue europee. Ciò consacrò il poeta indiano come l’autore dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.
La poesia di Tagore è permeata da una cultura orientale assai spirituale, ogni lirica è uno strumento per accrescere la fede religiosa in cui domina l’armonia della linea sinuosa della Natura, anima eterna molto più dell’anima umana. Nel rituale quotidiano l’eternità dell’uomo è plasmata dalle sue azioni perché Dio è Eterno.
L’opera immensa di Tagore naviga sopra chilometri di righe con la leggerezza di una impalpabile cipria per poi annegare nell’anima, nido accogliente di sentimenti ed emozioni stretti in una comunione spirituale elevata a misticismo.
L’ identità dell’uomo va ricercata non solo nell’ascesi spirituale necessaria a riconciliarsi con Dio ma, soprattutto, nel compimento della passione e dell’amore, sorgenti di luce che lo avvolgono e coinvolgono nel giro di danza del suo tempo felice spesso distratto dai labirinti dell’oscurità mai assoluta, perché rischiarata dal dono del riposo in Dio.

“Non abbandonarti, tienti stretto,
e vincerai.
Vedo che la notte se ne va:
coraggio, non aver paura.
Guarda, sul fronte dell’oriente
di tra l’intrico della foresta
si è levata la stella del mattino.
Coraggio, non aver paura.
Son figli della notte, che del buio battono le strade
la disperazione, la pigrizia, il dubbio:
sono fuori d’ogni certezza, non son figli
dell’aurora.
Corri, vieni fuori;
guarda, leva lo sguardo in alto,
il cielo s’è fatto chiaro.
Coraggio, non aver più paura”.

Commuove il suo Canto alla Bellezza la cui posizione è in piena armonia con l’Universo; la ricerca della felicità non può prescindere dalla Verità insita nelle leggi della natura, leggi ben distinte dalla legge morale, ossia la legge dell’uomo.
La Bellezza è Verità, la Verità è Bellezza”. John Keats.
Come fuggire dall’attrazione del bello e al contempo non farsi raggirare dalla distanza pianificata dal brutto? Solo affinando il potere salvifico della conoscenza spesso distratta da desideri vacui, ogni barriera divisoria è destinata a dissolversi nel nulla.
Musica e pittura completano l’universalità del regno poetico di Tagore. Invisibile è Dio, invisibile è la melodia nata volgare suono, il mistico ascolto raggiunge l’illuminazione della carne.
Il Maestro della filosofia spirituale ha consegnato nel “Sadhana”  la sua Luce per poi consacrarla immortale nelle “Upanishad”, una raccolta di testi religiosi in lingua sanscrita, fulcro della saggezza indiana custode della Verità in risposta al viluppo esistenziale dell’uomo.

***

Rabindranath Tagore vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, fu il primo scrittore dai natali al di fuori del continente europeo a vincere il Premio la cui somma destinò alla scuola di Santiniketan, città in cui morì il 7 agosto del 1941. Il prestigioso riconoscimento venne accompagnato dalla seguente motivazione:
“Per la profonda sensibilità, la freschezza e la bellezza dei versi con i quali, con consumata capacità, ha reso il proprio pensiero poetico, espresso in inglese con parole proprie, parte della letteratura occidentale”.

Sara D'Angelo, siciliana, appassionata di lettura e letteratura, è redattrice per diversi giornali on line con cui collabora con passione e dedizione.