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Cultura

Il Prof. Massimo Memola e la medaglia d’onore in ricordo di suo padre

Nell’ epoca di pandemia in cui viviamo, in molti abbiamo riflettuto su chi siamo e chi vogliamo essere, guardando al futuro con positività senza dimenticare il passato, proprio come ha voluto fortemente il Prof. Massimo Memola, omaggiando l’esperienza di guerra del papà nel suo libro “Il Tenentaki”, editrice L’ Immagine.

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di Maria del Rosso

Il Prof. Massimo Memola, docente di materie umanistiche di scuola secondaria di secondo grado, ci racconta la Medaglia D’Onore ricevuta dal Presidente della Repubblica alla memoria di suo padre, Michele Memola di Molfetta.

Al sig. Michele Memola è stata concessa la Medaglia D’Onore riservata ai militari italiani deportati ed internati nei lager nazisti.

L’ esperienza di guerra è stata narrata nel libro “Il Tenentaki” di Massimo Marino Memola, Editrice L’ Immagine.

È un riconoscimento importante per non dimenticare la nostra Storia e gli orrori del passato, bisogna credere in una società più attenta alla dignità umana.   

Di recente, hai ricevuto la Medaglia d’ Onore del Presidente della Repubblica alla memoria di Michele Memola, tuo padre. Come hai vissuto quest’esperienza?

Questa Medaglia, riservata ai militari italiani deportati e internati nei lager nazisti, mi  ha emozionato in modo particolare facendomi ripensare alle terribili e inutili sofferenze che tutte le guerre  causano.

L’ esperienza di guerra vissuta da tuo padre l’hai narrata nel tuo libro Il Tenentaki, Editrice L’Immagine, Molfetta. Cosa ti ha spinto a volergli dedicare il libro e cosa ti colpisce di questa storia  vissuta con coraggio?

Quando da bambini nostro padre raccontava a mio fratello Manlio e a me i suoi anni in guerra, noi lo ascoltavamo con l’attenzione che i bambini hanno verso i romanzi di avventura, affascinati dai fatti, dalle azioni più che dalle emozioni che erano in quei ricordi; troppo presto per capire che cosa siano, veramente, la fame, la disperazione, l’umiliazione della propria dignità, la paura di morire o il voler farla finita, cercando, giorno dopo giorno, soltanto di sopravvivere.

Alcuni anni dopo la morte di mio fratello, chiesi ai suoi figli, Michele e Nicolò, le carte greche che egli aveva custodito, per far tradurre in italiano un articolo apparso sul giornale Eco di Karpathos nel febbraio del 1978, di cui sapevo l’esistenza ma di cui non conoscevo il contenuto.

Insieme alla fotocopia sgualcita di quell’articolo c’erano molte altre carte, vecchie foto, altri documenti sulla sua vita militare, un Quadernetto, su cui aveva annotato la sua breve esperienza di ufficiale a Karpathos, (isola del Dodecaneso  italianizzata in Scarpanto), e copie delle lettere inviate a guerra finita alle famiglie di Karpathos che lo avevano nascosto e aiutato durante l’occupazione tedesca seguita all’Armistizio del 8 settembre del 1943. Vi erano pagine spesso illeggibili per la minuscola grafia a matita, ma dopo averle ingrandite al computer iniziai a leggerle per la prima volta.

Così entrai in questa storia. Cercavo di immedesimarmi nelle paure, nelle angosce di un giovane di ventisette anni, ma le emozioni  sono sempre incomunicabili, si possono solo…raccontare; da quelle pagine emergeva un padre molto diverso da quello che avrei conosciuto; i padri, si sa, non vogliono che i figli  conoscano le loro paure, le loro debolezze.

Hai avuto l’ opportunità di conoscere le famiglie di Karpathos che aiutarono tuo padre a nascondersi dai tedeschi. Come sei stato accolto da loro e hanno avuto paura di mettere a rischio la propria vita per l’ideale di pace e di accoglienza?

Egli fu sottotenente di Artiglieria  da Posizione Contraerea  prima a Rodi e poi a Karpathos;  da quanto scrive in quel Quadernetto, al suo arrivo nell’isola l’atmosfera era tranquilla e senza grossi problemi, a parte gli armamenti obsoleti e inadeguati; ma tutto cambiò dopo l’Armistizio dell’8 settembre; l’11 settembre l’Ammiraglio Inigo Campioni, Governatore delle Isole Italiane dell’Egeo, diede l’ordine di deporre le armi e di consegnarsi ai tedeschi.

Nei giorni confusi che seguirono, gli ufficiali e i soldati del suo reparto decisero di dividersi e di scegliere, ognuno per conto proprio, o di arrendersi ai tedeschi oppure di darsi alla macchia.

Nella sua latitanza sull’isola, che durò cinque mesi, fu aiutato da alcune famiglie di Mesochorio, che prima lo nascosero nelle loro case, poi in un buco nella terra (un’antica cisterna romana a Lefkos), infine in un casolare isolato nella baia di Makris Gialos; queste gli portavano da mangiare a rischio della propria vita, come racconta Minas Georgiadis nel suo toccante articolo rievocativo del 1978, sull’Eco di Karpathos. Forse in seguito ad una delazione sulla sua presenza nell’isola, la Wehrmacht mise una taglia su di lui di 10.000 lire e di un sacco di farina e intensificò i rastrellamenti nella zona in cui era nascosto. Il 17 febbraio del 1944, sempre più braccato, preferì arrendersi ai Carabinieri di Mesochorio, che lo consegnarono al tenente del controspionaggio tedesco Stolzmann; fu interrogato e imprigionato a Menetes; qualche mese dopo, fu inviato nei campi di detenzione in Germania, prima di  Sandbostel e poi di Bad Sulza; tornò a casa il 14 luglio del 1945.

Egli ritornerà due volte a Karpathos, nelle estati del 1968 e del 1971, accolto sempre con affetto e ospitalità dai figli di coloro che, a rischio della propria vita, lo avevano aiutato.

Quale messaggio vorresti lanciare ai giovani affinché si possa far memoria delle atrocità della guerra ed essere costruttori di pace e di integrazioni tra popoli?

 Per rispondere a questa domanda voglio raccontare l’episodio di solidarietà più emblematico di questa storia che la moglie di un ottuagenario mi ha narrato: mio marito aveva otto anni ed era con suo nonno davanti al casolare isolato dove aveva nascosto il tenentaki, quando il bambino gridò: “Nonno, i soldati tedeschi  stanno  arrivando!”.  Nonno Spiro lo portò in casa, prese alcune olive e un po’ di pane, fece sedere il  nipote e incominciarono a mangiare. La parte superiore della porta  era aperta e, quando arrivarono, i soldati aprirono con un calcio la parte inferiore. Il bambino balzò in piedi, ma il nonno gli fece cenno di sedersi e continuare a mangiare. I soldati guardarono dentro la stanza, videro solo un vecchio e un bambino che mangiavano olive e pane e se ne andarono senza guardare sotto il soufa ( il ripostiglio sotto il letto). Dopo circa un’ora, nonno Spiro aprì il soufa e tirò fuori il tenentaki, che era nascosto nel grano.

Era doveroso da parte mia  ricordare questa esperienza  di umanità, gratitudine e amicizia che è durata tutta la vita dei protagonisti e farne un libro.

Ph. del prof Massimo Memola

©Riproduzione riservata

Classe '91, sono nata in Puglia. Coltivo da molti anni la mia passione per la scrittura, ho collaborato con diverse testate giornalistiche e partecipo agli eventi di poesia. Per me la scrittura è vita, è sogno, è amore, è linfa vitale. E come afferma Luca Doveri : "La scrittura apre le finestre che si affacciano sull' anima del lettore".