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Cultura

DAD universitaria: male assoluto o strumento prezioso del quale fare tesoro?

Le ultime disposizioni in materia di DAD, ad esempio nelle facoltà del capoluogo pugliese, sembrano andare verso il ritorno indiscriminato alla presenza in aula degli studenti per la fruizione delle lezioni, non tenendo conto di un’applicazione virtuosa della didattica a distanza, anche in assenza dello stato di emergenza imposto dalla pandemia.

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di Rosamaria Fumarola

La didattica a distanza che il Covid 19 ci ha costretto a sperimentare è stata sin da subito sottoposta ad un giudizio che l’ha condannata senza alcuna possibilità d’appello. 

Nessuno  desiderava rinunciare alla scuola in presenza: docenti, genitori di giovanissimi studenti ed alunni, sia pure per ragioni differenti, chiedevano il ritorno nelle aule scolastiche, ritorno che ovviamente non poteva avvenire prima che la situazione da un punto di vista sanitario fosse ritornata sotto controllo. 

Più o meno la stessa cosa è accaduta in ambito universitario. I media hanno dato voce esclusivamente al disagio che la pandemia è stata in grado di creare, impedendoci di vivere nei tempi e nei modi ai quali eravamo da sempre abituati. Eppure è indubitabile che lo stato di profonda crisi che ci ha coinvolti nostro malgrado, abbia spinto la ricerca a trovare soluzioni ai nuovi e numerosi problemi in tempi brevissimi. Gli stessi vaccini sono il frutto di questa scommessa contro il tempo ed è indubitabile che, la valutazione degli strumenti messi in campo in una fase tanto difficile non possa che essere positiva. 

Abbiamo imparato ad esempio che è possibile velocizzare e semplificare quanto più possibile la burocrazia, informatizzandola completamente. Che i medici di base possono utilizzare Internet per la ricettazione dei medicinali, condividendone le prescrizioni direttamente con le farmacie, senza che pazienti anziani e malati si rechino nei loro studi. La rete era uno strumento a disposizione di tutti da ben prima dello scoppio della pandemia, ma solo con essa se ne è potenziato l’uso a fini utili per le esigenze fondamentali dei cittadini. Si obietterà che questo è accaduto perché il morbo ci ha costretti a vivere in casa per la maggior parte del tempo e questo è innegabile, ma se uno degli scopi che la tecnologia ha sempre avuto è appunto semplificare la vita degli esseri umani, perché privarsi dei suoi usi più virtuosi? La pandemia ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo, ha messo in ginocchio le economie di ogni paese, costringendo alla povertà un numero infinito di individui e di famiglie ed il peso reale e drammatico di quanto è accaduto ci sfuggirà per molto tempo ancora. Oggi siamo tutti concentrati a recuperare quanto abbiamo perso, perché ognuno di noi ha perso qualcosa o peggio qualcuno in quest’ultimo anno e mezzo e corriamo senza voler guardare indietro. È più o meno, mutatis mutandis, quanto successo al termine dell’ultimo conflitto mondiale: nessuno desiderava più parlare della guerra, tanti preferirono tacere persino dei campi di sterminio nazisti ed a farlo furono spesso proprio gli internati che riuscirono a far ritorno a casa. Eppure, persino allora vi furono decine, se non centinaia di scoperte dovute alla guerra, che trovarono applicazione quando essa ebbe finalmente termine. Turing sviluppò proprio nella seconda guerra mondiale “Enigma” ad esempio, che è considerata il primo computer, per decriptare i messaggi in codice nazisti.

Ed ancora: Internet è un portato dello scontro tra USA ed URSS durante gli anni della “guerra fredda” in seguito utilizzato in ambito e per fini non più militari.

Viene da chiedersi se gli strumenti messi in campo per resistere al Covid debbano essere indiscriminatamente e senz’appello accantonati.  Tornando all’esperienza della DAD è notizia di queste ultime ore che dai primi di novembre sarà obbligatorio tornare nelle aule delle facoltà universitarie baresi per seguire le lezioni, sebbene queste abbiano avuto inizio per l’anno accademico 2021-2022 in modalità mista, con l’assicurazione da parte delle autorità accademiche che così avrebbero continuato ad essere per l’intero semestre. Molti sostengono che si voglia far ripartire prima possibile il mercato degli affitti, crollato durante il periodo del Covid. Tanti però si domandano però perché ci si preoccupi esclusivamente dei proprietari di immobili e non del diritto allo studio di chi paga  regolarmente tasse universitarie già alte. Peraltro non si comprende la ragione per la quale si corra a demonizzare l’ ascolto da remoto delle lezioni universitarie, che a differenza di quelle scolastiche avevano incontrato il favore di pendolari e studenti fuori sede e che non intaccavano in nessun modo l’apprendimento, facilitando al contrario il rapporto diretto e di collaborazione tra studenti e docenti che, nelle aule gigantesche di molte facoltà era pressoché inesistente. Per la medesima ragione persino la fruizione di contenuti integrativi delle lezioni, quali quelli multimediali o le semplici slides, era senz’altro più intuitiva ed agevole da remoto. 

Le prove d’esame non risulta poi che abbiano risentito granché della modalità non in presenza: chi studiava le ha superate, tutti gli altri, come sempre è accaduto, hanno dovuto dedicarsi di più alla propria preparazione ed affrontarle nuovamente nelle successive sessioni. Non si può dunque affermare che si sia reso inefficace o peggio che si sia vanificato lo studio dei programmi. Al contrario la DAD in ambito universitario ha reso ancor più sostanziale l’applicazione del diritto di tutti allo studio. Evidentemente però l’obiettivo primario non è mai stato questo. Con una superficialità sorprendente si è ritenuto che chi non è disposto a seguire le lezioni in presenza sia uno svogliato o un pigro, senza domandarsi se il diritto allo studio non sia attraverso la DAD garantito meglio a chi già per esso paga tre volte l’anno tasse che, come sopra scritto non sono poi così leggere. Per queste ultime gli strumenti messi in campo in sostegno dei più meritevoli, quali le borse di studio e le agevolazioni fiscali, sembrano essere più coerenti col dettato costituzionale e se ne comprende il fondamento più facilmente dell’imposizione indiscriminata della presenza in aula a tutti gli studenti. 

A prescindere dalle ragioni che hanno spinto chi ha facoltà decisionali a redigere le ultime disposizioni, le nuove misure appaiono agli studenti punitive, non tenendo conto delle loro effettive esigenze o bollandole come tentativi volti a studiare il meno possibile, a rendere cioè meno “sudate” le famigerate “carte”. 

Sarebbe a questo punto opportuno domandarsi “cui prodest” nei fatti l’ orientamento delle nuove disposizioni. Potrebbe emergere che a pagare il prezzo più alto saranno gli studenti che dispongono di possibilità e mezzi limitati e che in ultima analisi si è voluto confondere l’allargamento della platea di quanti desiderano avere accesso allo studio universitari,  con una presunta e tutta da dimostrare frode all’impianto generale degli studi. La verità è infatti sempre la stessa: per essere un potere il sapere deve rimanere saldamente nelle mani di una ristretta cerchia di detentori ed  apparire occulto ai più. Aspettarsi che tali detentori si mostrassero illuminati una volta superata l’emergenza imposta dalla pandemia è stata anche stavolta nè più nè meno che la solita pia illusione.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano