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Cultura

La ragazza di Oslo:

Pillole su “The Girl From Oslo”, una co-produzione norvegese-israeliana stimolante, ricca di suspence e di grande tensione.

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ovvero la pace dissolta dell’utopia borghese.

Un film-metafora sull’ impotenza politica?

Di Maddalena Celano

Dopo la saga proletario-statunitense “Damnation”, non ho individuato niente di meglio che seppellirmi con un altro bel thriller di suspense, durante un inverno sempre più freddo. E Netflix ha lo spettacolo perfetto da guardare, se desideri rintanarti in casa tutto il giorno:  The Girl From Oslo, una co-produzione norvegese-israeliana stimolante, ricca di suspence e di grande tensione.

La serie è stata creata da Kyrre Holm Johannessen e Ronit Weiss-Berkowitz, con l’aiuto di Tal Miller e Stephen Uhlander nella sceneggiatura.

Dopo averla guardata, prima, o durante, ti chiederai se questa avvincente serie fosse tutta basata su eventi reali e noi abbiamo alcune risposte.

The Girl From Oslo  è ambientata sia in Norvegia che in Israele. La protagonista principale è una ragazza adolescente, Pia, figlia di due diplomatici. Pia ben presto scoprirà di essere nata da una relazione extraconiugale: sua madre, in missione diplomatica, con il marito (anch’egli un diplomatico), durante gli accordi di Oslo sulla soluzione della questione israelo-palestinese, avrà una storia extraconiugale con un diplomatico israeliano. Ebbene: Pia si reca dalla Norvegia in Israele, con due amici (anche per incontrare e conoscere suo padre biologico) ma vengono rapiti da militanti  dell’ISIS. Dopo il rapimento, la serie segue le peripezie delle rispettive famiglie, dei loro amici, dei politicanti di turno (sia israeliani che palestinesi) e degli investigatori che cercano di salvare i ragazzi rapiti dal pericolo. La serie, piuttosto frenetica, offre uno spaccato piuttosto desolante sul “modus-operandi” delle agenzie di intelligence all’estero, su una politica fatta di grandi proclami retorici ma, a conti fatti, permanentemente piegata da interessi particolaristici e dai “conti della serva” che inibisce e intralcia qualsiasi riconciliazione, tra le parti, o cambiamenti positivi, per una reale soluzione del decennale conflitto israelo-palestinese. La serie, biasimata piuttosto superficialmente dalla critica italiana, è stata paradossalmente ben accolta sia dalle comunità ebraiche (a livello internazionale), sia dagli attivisti pro-Palestina. La serie è riuscita a “trascendere”  lo storico conflitto tra le due parti giacché, come scritto sopra, in realtà non parteggia per nessuna delle fazioni. Piuttosto la serie attacca il “modus operandi” dei politicanti mediorientali, dei corpi diplomatici e dei servizi di intelligence che, più che interessati alla tutela e salvaguardia delle proprie comunità, preferiscono azzannarsi per la conservazione del  proprio prestigio personale, mostrando miopia e assenza di un reale e concreto progetto politico che sia a lungo termine. Visione miope e ristretta che non fa altro che sacrificare le fasce più deboli sull’altare di un meschino “realpolitik”e il futuro, rappresentato dalle giovani generazioni.

The Girl From Oslo potrebbe essere, in parte, basato su una storia vera.

In gran parte la storia è composta da drammatizzazioni di fantasia che si somma a un guscio più realistico. Vi sono alcuni aspetti di realismo nella serie – come, ad esempio, la voce fuori campo di Bill Clinton, durante gli Accordi di Oslo del 1993 all’inizio – ma i personaggi non derivano da persone reali. Tuttavia, lo spettacolo riporta riferimenti ad avvenimenti del mondo reale: come le sentenze del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

La storia più ampia sembra riflettere gli eventi del 2013, anche se i personaggi non sono persone reali. Circa un decennio fa, si temeva che turisti israeliani e norvegesi venissero rapiti, in Egitto, dall’Isis. Questo rispecchia la trama di  The Girl From Oslo, sebbene la serie non sia ufficialmente basata su questa notizia.

Le donne del cast ci offrono un’interpretazione straordinaria: Anneke von der Lippe (Alex) nei panni di una madre tormentata che si confronta con i segreti del suo passato; Andrea Berntzen (Pia) e Shira Yosef (Noa) nei panni di ostaggi terrorizzati e disperati; e Adon (Layla) che trasuda angoscia materna e disperazione, per la dura vita quotidiana a Gaza.

Il personaggio maschile Arik, Amos Tamam (di  “Juda”  e “Srugim”), sfoggia capelli scolpiti e una barba distrattamente grigia, offre una performance molto intensa, attraverso un respiro cauto e un costante aggrottare le sopracciglia (e praticamente ogni ruga sulla sua faccia). Anche quando le cose stanno crollando, Arik sembra imperturbabile e mantiene un atteggiamento di stabilità politica.

Il collegamento con la conferenza di Oslo – in cui i funzionari palestinesi si sono incontrati con gli israeliani per i colloqui di pace  – sembra per lo più una risposta a un suggerimento di improvvisazione: “Si nomina un luogo in cui persone di tre nazioni diverse potrebbero incontrarsi”.

Mentre le esperienze politiche di Oslo non entrano spesso in azione, c’è una corrente sotterranea di approcci inconciliabili e dissenzienti e mutevoli alleanze sociali e geopolitiche. Le lealtà sono ingannevoli e cedevoli, la cooperazione si frantuma, l’estremismo diventa la tattica prescelta da tutti i protagonisti.

I piani per il rilascio degli ostaggi a volte sono confusi e incontrano molti ostacoli (sia tra gli israeliani che tra i palestinesi). I prigionieri vengono trascinati attraverso i deserti e brutalizzati, ancora e ancora, finendo a Gaza.

Incontriamo anche gli errori politici dell’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e gli accenni sulla corruzione del governo, gli echi degli sforzi passati degli israeliani per liberare gli ostaggi e una domanda costante: quanto lontano potrebbe andare, ciascuno di noi, per salvare qualcuno che amiamo?

Al momento non abbiamo notizie su una seconda stagione della serie. The Girl From Oslo non è stato ancora cancellato e, con abbastanza popolarità, si desidera vedere altri episodi in arrivo su Netflix.

Trama del film

La storia, in dieci episodi, è incentrata su tre giovani turisti rapiti, durante la loro vacanza, nel deserto del Sinai in Egitto, dallo Stato islamico (ex Isis) e sui negoziati che seguono tra Israele, Norvegia e i terroristi. Il titolo norvegese della serie, “Bortført”, significa “il rapito”. In ebraico, questo sarebbe stato “Hatufim”, che è già il nome di una serie israeliana distribuita in inglese come “Prigionieri di guerra”.

Due degli adolescenti rapiti sono fratelli israeliani; la terza è Pia, la “ragazza” di Oslo scappata in Israele dopo una lite con la madre. Seguendo le tracce di sua figlia in Israele, Alex implora il suo vecchio amico Arik (un politico israeliano) di farsi coinvolgere; si sono incontrati durante i colloqui dell’Accordo di Oslo, nel 1993, e ora è in una posizione di governo di alto livello. Quando gli sforzi di Arik non danno i risultati desiderati da Alex, lei decide di chiedere aiuto alla sua amica palestinese Layla, che ha anche incontrato durante i negoziati che hanno portato al primo accordo di Oslo. Alex chiede a Layla di far intercedere l’organizzazione Hamas, affinché  mandino un loro commando per la liberazione i ragazzi. Ma Layla, una dottoressa che vive a Gaza, lavora in silenzio con Hamas già da diverso tempo, cercando di salvare suo figlio dall’estremismo islamico. Hamas cede all’ accordo solo dopo lunghe ed estenuanti trattative (…).

Mentre Pia e Nadav finalmente (dopo una lunga odissea) si riuniscono alle loro famiglie, lo stesso non si può dire per gli altri ragazzi. Yusuf (il figlio di Layla), che è solo un ragazzo che desiderava combattere per il suo paese, in quella che considerava ingenuamente una buona causa, attraversa una grande disillusione che termina con una nota molto tragica. I bombardamenti sono stati fermati per 4 ore dal governo israeliano, come modo per riunire in sicurezza Pia e Nadav, con le loro famiglie, e per concludere ingannevolmente un accordo con Bashir (un leader di Hamas).

Verso la fine di “The Girl from Oslo”, vediamo che Layla ha registrato un video di Arik che afferma che fermerà completamente i bombardamenti. Il video è stato inviato da Bashir a Arik. Quindi, possiamo solo presumere che hanno negoziato la pace dell’area sulla base di questo accordo. E questo è il vero messaggio del film: sebbene una missione temporanea abbia avuto successo, il panorama politico continua ad essere altrettanto turbolento giacchè i giochi di potere hanno la precedenza sulla vita delle persone.

Il contesto storico e politico

Il film ricorda  Yasser Arafat, Bill Clinton e Yitzhak Rabin passeggiare sul prato della Casa Bianca nel 1993, e l’esitazione della stretta di mano tra Arafat-Rabin. Il film ricorda il dramma della HBO del 2021 “Oslo” (sulla squadra norvegese di marito e moglie che ha riunito le due parti all’inizio degli anni ’90) e il documentario del 2018 “ The Oslo Diaries” (con interviste ai membri sopravvissuti della squadra e i politici coinvolti, incluso Shimon Peres nella sua ultima intervista prima della sua morte nel 2016).

Dopo 10 episodi di “The Girl From Oslo” (ciascuno di circa 35 minuti), 118 minuti di “Oslo” e poi 97 minuti di “The Oslo Diaries”, ho iniziato a pensare al titolo inglese della serie. Avrebbero potuto chiamarla “The Norwegian Girl” o “The Girl from Norway”. Ma Oslo è importante, non solo per il luogo da cui proviene Pia, ma perché il trio che sta negoziando il suo rilascio – sua madre, Arik e Layla – si è incontrato nel contesto dei colloqui di pace di Oslo. Inoltre, Pia stessa è un sottoprodotto dell’esperienza di Oslo, un tentativo di unire forze politiche opposte per il bene della pace.

Per i visionari che l’hanno immaginata, sentire quel ritmo potenziale deve essere stato esaltante. Com’è straziante vedere che quell’opportunità sia stata dissolta! Come si esce da un sogno dilaniato di pace e ottimismo? Scoraggiati per il futuro o convinti che i colloqui, che sono avvenuti una volta, potrebbero ripetersi?

Queste tre opere a tema “Oslo” non trasmettono, in realtà, alcun ottimismo sul futuro del processo di pace che rimarrà, purtroppo, un conflitto tra nazioni. Tuttavia possono indicare che il percorso da seguire è attraverso il dialogo, da persona a persona, e il riconoscimento dell’umanità individuale.

Nell’ iniziare un nuovo anno che è afflitto dal conflitto in Medio Oriente e in vari altri spazi del mondo polarizzati, sia on-line che per le strade delle nostre città, forse questo è l’autentico messaggio da seguire: la chiave è offrire la priorità alle persone (ma in chiave collettiva), sugli interessi politici di tipo personalistico e individualistico, la priorità andrebbe alle relazioni personali forgiate sulle conversazioni in una stanza lontana dai media, per punti di comunanza e di impegno reciproco.

Non mancano gli spettacoli grintosi e di forte impatto su Netflix.

Onestamente, è uno dei generi più interessanti dall’avvento delle piattaforme online.

La serie norvegese, The Girl from Oslo (intitolata anche Bortført), appartiene a un genere emergente in cui la realtà è radicata e senza dramma. Questo è un genere che non cerca di eterodirigere le emozioni o le opinioni dello spettatore. Presenta i fatti della storia per quelli che sono, in modo lineare, e lascia che sia lo spettatore a decodificarli.

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