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Cultura

È guerra culturale in difesa della lingua italiana

Intervista a Massimo Arcangeli, linguista, scrittore, saggista, professore all’Università di Cagliari, per parlare dell’uso dello schwa nella lingua italiana.

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Immagine presa da Wikimedia Commons, pertanto di dominio pubblico.

di Alessandro Andrea Argeri.

Il dibattito alimentato in merito all’uso dello schwa nella lingua italiana si è ormai tramutato in una “guerra culturale”, ne parliamo in questa intervista al prof. Massimo Arcangeli, docente di linguistica all’Università di Cagliari, tra i principali promotori della petizione intitolata: “Lo schwa? No grazie”.

  • Come procede la petizione?

I numeri ci sono, abbiamo superato le 21.000 sottoscrizioni, quindi sta andando bene. Adesso il prossimo passaggio sarà quello di inviarla al ministero dell’università perché il punto centrale del discorso da cui siamo partiti è rappresentato dalla presenza dello schwa e dello schwa lungo in ben sei verbali prodotti dalla pubblica amministrazione. Oltre ad essere il tema centrale, l’uso dello schwa e dello schwa lungo in un atto ufficiale è ovviamente uno dei grandi problemi da affrontare in merito alla recente questione apertasi sulla lingua.

  • Una delle argomentazioni più frequenti per screditare la petizione è quella di sostenere che “non abbia scopo”, infatti molti hanno scritto che: “anche se la petizione arrivasse a un determinato numero di firme, poi non accadrebbe comunque nulla”. Come ha già spiegato, la finalità della petizione sarebbe quella di mandarla all’università, per poi abolire lo schwa?

L’idea sì, è quella di abolirlo, tuttavia, siccome fino ad ora non si sono mai verificati casi precedenti simili a questo, bisogna soppesare bene quelli che potrebbero essere i possibili risvolti della faccenda, per questo sono al lavoro alcuni legali, per valutarne gli effetti. Però l’intento, se ovviamente dovessimo riuscire, sarebbe quello di dichiarare nulli i documenti ufficiali contenti lo schwa. In merito alla petizione, qualcuno ha osservato che per poter lanciare il testo saremmo potuti partire proprio dalla presenza del segno in ben sei verbali prodotti da una commissione abilitante nazionale. Però comunque il riferimento c’è, e a noi sembrava e sembra tutt’ora fondamentale il fatto che in un atto pubblico non si possa usare la lingua italiana in questo modo scorretto, quindi puntiamo a rendere nulli quegli atti.

  • “Italia paese di retrogradi”, “in Europa sono più inclusivi di noi”, queste sono state altre argomentazioni messe in piedi per screditare la petizione. Però in Europa in realtà stanno appoggiando la petizione, i più importanti giornali esteri, cito ad esempio il “Times”, si sono espressi positivamente in merito. È la solita narrazione per la quale si idolatra il vicino senza fondamento?

La questione è molto più generale di quanto si crede, poiché non investe solo noi ma anche tanti altri paesi che si sono già confrontati con questo problema. Sulle prime mi viene in mente la circolare inviata dal ministro dell’istruzione francese l’anno scorso perché in un atto pubblico non comparissero segni che potevano generare problemi di comprensione. Da noi in Italia c’è lo schwa, da loro c’è soprattutto il punto mediano, mentre in Spagna l’Accademia spagnola ha detto che lo spagnolo normativo non può accettare la “e” o una “x” come forma inclusiva per ovviare l’alternanza di genere. Anche in Italia da mesi l’Accademia della Crusca ha detto “no” allo schwa. Per tutte queste ragioni il problema va considerato da un punto di vista molto più ampio di quanto tende a pensare, oltretutto la grande risonanza internazionale che ha avuto la petizione conferma che non stiamo parlando “della provincia dell’impero”, ma di un tema riguardante l’intera Europa, pertanto speriamo possa essere questa l’occasione per ampliare il dibattito correttamente.

  • Secondo lei, come si è arrivati a dover letteralmente “combattere per difendere la cultura”?

Intanto il problema è puramente tecnico perché lo schwa non è soltanto un simbolo che possiamo apporre a un nome per rendere quel nome più inclusivo. L’italiano è una la lingua che funziona in base all’accordo grammaticale, pertanto fa sì che se io uso il sostantivo “filosofo”, o “filosofa”, poi quel “filosofo” lo devo accordare con gli articoli, con le proposizioni articolate, con gli aggettivi, con i participi. C’è chi pretende anche che i pronomi personali, come ad esempio “lei”, siano scritti con lo schwa per renderli inclusivi. Quindi il problema è intanto tecnico oltre che di altro genere, mentre chi cerca di spostarlo sul piano ideologico-culturale non è affatto un eroe. In ogni caso lo schwa è solo l’ultimo elemento che ha acceso il dibattito sulla necessità di riflettere sugli eccessi ormai intollerabili del politicamente corretto, infatti è la deriva più recente di un fenomeno che ormai ben conosciamo. Gli ideali professati in merito alla parità e all’inclusività magari saranno pure “alti” sotto l’aspetto ideologico, ma quello che mi preoccupa da linguista è la lingua e la pericolosità dell’uso di questo simbolo se viene speso, perché danneggia dall’interno le strutture e l’ossatura della lingua italiana: non va bene. Il problema quindi è essenzialmente strutturale, mentre i riferimenti genericamente ideologici e culturali non mi interessano non più di tanto per questo aspetto.

  • Se volessimo comunque considerare la questione da un punto di vista etico, oggi le parole più in voga sono “democrazia”, “dittatura”, “inclusività”, “diritti”, ma la lingua innanzitutto avrebbe bisogno di essere più democratica e soprattutto ci sarebbe un modo per renderla più democratica, ovvero: ci sarebbe un’alternativa allo schwa per rendere contenti tutti?

Intanto la lingua si evolve e dobbiamo prenderne atto attraverso fenomeni che confermano che ogni lingua si modifica, pertanto se milioni di parlanti e di scriventi decidono di farla andare in una direzione non possiamo farci nulla. Ma non è questo il caso, così come non è questo il problema, perché è rappresentato da una minoranza. Ovviamente ci tengo a ribadire che le ragioni etiche alla base della questione legata all’inclusività sono giuste e legittime, perché chiunque ha il diritto di poter rappresentare la propria identità come meglio crede indipendentemente dagli altri e deve farlo per rispetto di quell’identità, ma la lingua non può cambiare a causa della prepotenza e dell’arroganza di pochi che decidono un bel giorno di imporre le loro scelte a un’intera comunità nazionale. Saremo ovviamente tutti contenti di trovare di volta in volta le soluzioni migliori conformi agli ideali e rispettosi di tutte le differenze, dopotutto è ciò che una lingua democratica deve fare senza pretendere di generalizzare un’intera gamma di fenomeni che invece non possono essere generalizzati. Questo ragionamento investe anche la scuola e l’università. Per riassumere: una lingua davvero democratica dovrebbe tenere conto delle diversità, ma non imporre a chi la parla di sottostare a una scelta dettata dalla minoranza, oltretutto parleremmo una lingua ridotta a malapena ai suoi usi essenziali.

  • Le varie critiche che sono state mosse a lei e agli altri firmatari provengono da persone che da quello che hanno scritto mostrano chiaramente di non avere le competenze grammaticali per legiferare sulla lingua. Mi riferisco ad esempi a commenti dove si può leggere “chiunque linguista”, giusto per citarne uno… C’è il rischio che possa vincere l’ignoranza se veramente la schwa dovesse diventare predominante?

Io credo che milioni di persone siano molto più intelligenti di quanto si tende a credere, infatti milioni di italiani ed italiane sanno perfettamente come stanno le cose in materia di lingua, quindi l’ignoranza non prevarrà. Purtroppo però la possibilità è comunque da mettere in conto perché nonostante tutto resta chi pretende di sostenere che lo schwa si possa applicare sistematicamente alla lingua e ovviamente sa perfettamente che non è così, o appunto sa che non è così e quindi mente sapendo di mentire, oppure non lo sa e allora è un incompetente. Ovviamente, come un virologo in pandemia fa il suo mestiere, io credo che anche un grammatico, un linguista, debba fare il suo, quindi pretendere di affermare che lo schwa risolva tutti i problemi relativi all’inclusività se in realtà non è così è doppiamente più grave, oltre che da perfetti incompetenti in materia di lingua, dopotutto se lo applicassimo in modo sistematico distruggeremmo dall’interno le strutture linguistiche dell’italiano.

  • Ecco, “incompetenza”. L’ignoranza va di pari passo con l’arroganza. La cultura invece riporterebbe l’umiltà e quindi un rispetto dei ruoli?

È una domanda molto importante. Personalmente credo che l’unico vero cemento sociale in questi casi sia proprio la cultura, che dovrebbe fare da collante non solo tra le varie persone ma anche tra tutti coloro che sono investiti di ruoli particolari in cui magari si può fare la differenza, siccome influenzano centinaia di migliaia di persone. Quindi Io credo che solo in nome della cultura ci possa davvero intavolare un dibattito serio. Prendersi “a randellate” a suon di offese non serve affatto, se poi qualcuno pensa di potermi di intimidire con accuse di ogni tipo casca male. Dobbiamo considerare inoltre che tra i promotori della petizione figurano nomi di studiosi, di intellettuali e di persone che hanno dedicato l’intera esistenza a determinati problemi. Come si può pensare quindi di attaccarli sulla loro materia, o di dare loro degli incompetenti? Senza leggere le argomentazioni sono riusciti persino ad attaccare una studiosa molto brava, Cristiana De Santis, che ha dimostrato in un saggio bellissimo sul sito della Treccani che lo schwa non era l‘invenzione giusta per la lingua. Eppure sono riusciti ad attaccare anche lei, sebbene avesse scritto non una petizione ma un saggio argomentato in cui la profondità culturale si tocca con mano. Ovviamente è stata attaccata solo perché rappresenta un punto di vista contrario, “la parte avversa”, nonostante la solidità delle argomentazioni, mentre le critiche che le sono state poste non trovano fondamento. Quindi la cultura è il terreno fertile su cui si dovrebbe sviluppare il dibattito, di cui si sa molto ma non si affronta mai in modo tecnico, l’obiettivo principale è che chi legge un testo capisca cosa ci sia scritto. Sicuramente se applicassimo il fenomeno in modo sistematico la lingua sarebbe distrutta internamente. I commissari della commissione universitaria poi hanno anche sbagliato ad applicare lo schwa, perché lo hanno applicato anche a loro stessi, ovvero a tutti i candidati, come se chiunque fosse portatore di identità binarie e questo è generalizzare, quando in realtà si potrebbe adottare lo schwa soltanto quando siamo in presenza di identità non binarie, quindi torniamo alla conclusione che tutto questo gran caos è generato proprio dalla volontà di pochi di imporre il loro volere, in questo caso grammaticale, sui molti. Ovviamente questo non può andar bene, ma credo che alla fine prevarrà la ragione e la percezione culturale di milioni di persone che perfettamente consapevoli della necessità a fin di bene di operare in difesa della lingua.

  • Io personalmente in questa situazione, ma più generalmente in questo periodo dominato dal “politicamente corretto”, leggo una contraddizione anche molto evidente, ovvero: perché c’è tanto ardore nell’indignarsi sui social in un dibattito sterile, per molti versi addirittura cancerogeno, però nessuno si concentra su temi che sono veramente preoccupanti come ad esempio gli studenti che protestano in piazza pacificamente, che però poi vengono massacrati a manganellate?

Questo tema l’ho sollevato pochi giorni fa quando non riuscivo a credere che studenti scesi in piazza a Milano, a Torino, a Roma, potessero essere presi a manganellate come abbiamo visto tutti dai vari video che circolati. Io uno in particolare ancora lo ricordo: tremavo dopo aver visto quelle scene raccapriccianti. Purtroppo questo accade anche a causa dei troppi leoni e leonesse da tastiera che dietro uno schermo sono bravissimi a schierarsi da una parte, ma in molti casi lo fanno solo per soddisfare gli istinti del momento o magari semplicemente per sfogarsi. Quei ragazzi volevano solo esprimere solidarietà per i compagni morti durante l’alternanza scuola-lavoro, in questi casi noi tutti dobbiamo considerarci parte dell’insieme e della società, anche se tante volte non tutti comprendiamo davvero cosa ci sia di più rilevante rispetto ad altro, per cui talvolta ci si concentra su altre questioni comunque rilevanti e centrali come lo schwa, però poi quando assistiamo alle scene incredibili di decine e decine di studenti presi a manganellate solo perché protestano e vogliono manifestare dovremmo capire quanto è importante in quei casi proprio scendere in piazza e non limitarci soltanto alla polemica culturale scrivendo post sui social, perché quello lo sappiamo fare tutti. Bisognerebbe dunque capire che non basta la polemica a mezzo stampo o la dichiarazione pubblica, ma è necessario proprio mobilitarsi e scendere in piazza.

  • Questa inclusività “ipocrita”, oltretutto fortemente esclusiva, è a sua volta un tipo di estremismo?

Sì, nei casi peggiori. Infatti stiamo parlando proprio di fanatici, persone che in molti casi, purtroppo senza ragionare adeguatamente, prendono partito per una scelta senza valutare da che parte si stanno schierando. Con loro non si riesce sempre a mediare in un dialogo, per quanto ci si possa sforzare con le argomentazioni e cercare di sollevare la qualità del dibattito. Questa estremizzazione dei punti di vista è uno degli eccessi causati dal politicamente corretto, che per questo va combattuto con la forza dell’argomentazione e della persuasione, però, ahimè, non sempre è possibile. Per quanto uno si sforzi di spiegare, di sottolineare, di approfondire o di far riflettere, spesso molte di queste persone nemmeno leggono, siccome credono di sapere già tutto. Questa incomunicabilità che si crea, oltre ad essere molto grave, nuoce all’impatto del dialogo, il quale alla fine nemmeno nasce.

  • La nostra classe politica ha colpe di questa situazione?

Sì, la classe politica ha certamente le sue responsabilità, anche se ormai una “classe politica” è di fatto azzerata dallo strapotere di un’economia che ha messo da parte la politica riducendola ai suoi fini. Lo vediamo anche dal ricambio dei governi, che è stato talmente rapido da lasciarcene a malapena rendere conto. Ormai i leader nascono e muoiono in men che non si dica, quindi chi è in vetta rimane in vetta poco perché in molti casi parliamo di pedine immischiate in giochi molto più grandi di quelli che poteva fare la politica anche solo 20 e trent’anni fa. Credo che purtroppo la classe politica risenta sia di ignoranza culturale sia di ignoranza politica in termini di inesperienza politica, il ché ha prodotto danni notevoli, almeno nell’ultimo decennio. Quindi bisognerebbe pensare seriamente a come provare a ridare ossigeno a una classe politica. Oggi questo possiamo farlo noi cittadini nel momento in cui, come comunità nazionale, ci rendiamo conto che è necessario attuare un ricambio, che ovviamente ci sarà anche grazie alla nuova legge elettorale, la quale prevede una minore rappresentanza già a partire dalle prossime elezioni, tuttavia non credo che basterà. Bisogna piuttosto fare una riflessione seria che parta dalla meritocrazia, dalle competenze reali, da tutto ciò che è necessario oggi per esercitare al meglio l’attività politica, anche solo di “semplice” parlamentare.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).