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Cultura

Inutilità dello snobismo musicale

Ricerche recenti ci dicono che acquistare musica neomelodica finisce col foraggiare la criminalità organizzata. Chi scrive musica a Napoli però, attinge ad una infinita mole di stimoli, ad un melting pot che non conosce compartimenti stagni e distinzioni tra “cultura alta” e “cultura bassa”.

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di Rosamaria Fumarola

Molti anni orsono, nell’ introduzione ad un testo di Pierpaolo Pasolini, lessi di un episodio, uno dei tanti, in cui il poeta si era scontrato con la Chiesa, nel quale lo scrittore aveva stigmatizzato l’ipocrisia cattolica, finendo col suscitare la reazione di un alto prelato che, sulle pagine di un quotidiano si domandava, evidentemente piccato, “chi” fosse Pasolini e chi gli avesse attribuito la “patente” di fine intellettuale. 

Rimasi molto colpita, sebbene non mi meravigliassero affatto le esternazioni reazionarie e conservatrici dei rappresentanti del clero cattolico del tempo, preoccupate sempre di impedire qualunque forma di cambiamento ed anzi attribuendogli una valenza negativa in sé. Il potere politico della Chiesa, anche in assenza di un proprio partito è stato da sempre esercitato attraverso il giudizio morale, l’indicazione ai fedeli di ciò che fosse il bene e ciò che invece fosse il male. Un’altra questione finì però con l’accompagnarmi anche molto tempo dopo la lettura della querelle tra Pasolini ed il prelato e cioè se davvero esistano “patenti” che ci legano ad un ruolo ed eventualmente chi sia  deputato alla loro attribuzione. Rispondere non era e non è oggi facile, così come non lo è stabilire cosa sia cultura e cosa no, quale sia quella “alta” e quale invece quella “bassa”. Negli ultimi anni ad esempio, alcune certezze che si ritenevano granitiche si sono sciolte come neve al sole, lasciando il posto a concetti come quello di cultura immateriale, tutelata da leggi del nostro ordinamento al pari dei quadri di Caravaggio e Botticelli. Interessante da questo punto di vista fu il contributo di storici come il medievista Jacques Le Goff, il quale già molti anni orsono sottolineava come oggetto degli studi storici è la vita di tutti quelli che ci hanno preceduto, non solo di principi e regnanti e di ogni aspetto della loro quotidianità. 

Una questione ad esempio ancora attuale è la distinzione tra musica napoletana “colta” e la cosiddetta musica neomelodica. Esiste un’interessante ricerca di uno studioso americano, che si è trasferito a Napoli ed ha  analizzato i meccanismi che sono alla base della produzione della musica neomelodica. Lo studio ha individuato nella camorra il motore ed il beneficiario dei proventi derivanti dal fiorente mercato e numerose sono le inchieste giornalistiche successive che danno conforto a questa tesi. Scaricare dunque un pezzo neomelodico significa alimentare il mercato della criminalità organizzata. Anche per questo, ma non solo, esiste una sorta di snobismo per il quale è quantomeno improbabile che un pubblico molto scolarizzato sia dedito all’ascolto di questo genere musicale. 

Mi preme dunque sottolineare che le considerazioni che leggerete attengono esclusivamente ad una dimensione estetica della musica e non mettono in discussione gli interessi economici su cui lo studio del ricercatore americano succitato hanno definitivamente e con chiarezza fatto luce. Sono più interessata infatti all’analisi dei fenomeni che attengono alla produzione musicale in sé, legati alla cultura di taluni gruppi, in talune società. Partendo da questo tipo di osservazione non si potrà non notare che una distinzione netta proprio nei luoghi in cui la musica napoletana è nata, tra generi “alti” e “bassi” non può essere fatta. Chi scrive musica a Napoli attinge ad una infinita mole di stimoli, ad un melting pot che non conosce compartimenti stagni. Così come in certe aree geografiche la convivenza di tutte le stratificazioni sociali è un dato inconfutabile, altrettanto inconfutabile è dunque la mescolanza delle loro culture.  Ammesso che una separazione netta si realizzi in luoghi lontani e diversi (e personalmente non lo credo, non credo cioè che essa si possa verificare in termini assoluti, data la totale permeabilità degli esseri umani agli stimoli esterni affinché sia garantita, attraverso l’adattamento, la loro sopravvivenza) a Napoli è di fatto impossibile. Il dialogo tra i vari linguaggi è in questa città da sempre una caratteristica che la connota profondamente e dunque, piaccia o meno, la produzione artistica che pure intende dare un contributo in un ambito colto, a Napoli più che altrove veicola contenuti anche molto lontani e se vi sono capolavori della tradizione musicale napoletana che da sempre si sono manifestati come pietre preziose di bellezza ineguagliabile, la maggior parte di brani notissimi ed amati da tutti è infarcita di quelli che nella musica neomelodica stigmatizziamo come luoghi comuni. Esiste peraltro l’interpretazione che può cambiare la dimensione estetica di un brano musicale, legandolo ad un linguaggio diverso, più articolato e complesso. 

I neri in America negli anni dello schiavismo, durante le funzioni religiose a cui era loro concesso partecipare, cantavano brani scritti dai padroni bianchi, ma attraverso l’interpretazione  attribuivano un senso del tutto differente ai testi loro imposti. 

Da ragazzina trovavo volgare la passionalità con cui venivano cantati pezzi come “O sole mio” eppure non molti anni dopo di questi brani mi innamorai,  anche se il veicolo attraverso cui ciò avvenne fu il jazz, che a mio parere ne aveva amplificato al massimo grado la dimensione poetica. 

Oggi non amo i cantanti e le canzoni neomelodiche ma sono consapevole che una cesura vera e propria tra i linguaggi non esista e che non è escluso che domani qualcuno, per ragioni magari privatissime, individui in questa produzione capolavori degni di un ascolto più attento e di nuove letture. Il principio secondo il quale l’amore, la passione e i sentimenti in genere, in arte siano solo inutili luoghi comuni è infatti inaccettabile e priva di qualunque serio fondamento: il loro racconto in arte è sempre diverso, se di arte si tratta, ma l’arte stessa ha una componente che sfugge alle classificazioni e sposa solo la libertà, sorprendendoci sempre con qualcosa di nuovo, fino ad un minuto prima inimmaginabile.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano