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Cultura

Il mito di Roma durante il fascismo

La propaganda fascista contiene continui richiami alla Roma antica. Il regime mussoliniano proponeva infatti una riedizione della gloria di Roma, un ritorno dell’impero “sui sette colli di Roma”. Siccome è stato il fascismo a creare per tutta la sua parabola questo continuo rimando, molti ritengono il regime fascista “l’ultima volta in cui siamo stati romani”, oppure “un periodo in cui siamo assomigliati all’impero di Roma”. Ma è davvero così? Perché durante il ventennio venne ripresa la simbologia romana?

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In copertina, "Aeroritratto di Mussolini aviatore", di Alfredo Gauro Ambrosi, 1930, Collezione privata. (Wikimedia Commons, dominio pubblico)

di Alessandro Andrea Argeri

Tra i vari metodi per ottenere il consenso, il regime fascista ricorse anche al mito della romanità, la quale divenne un culto utile per abbinare i fasti del fascismo a quelli dell’antica Roma. Secondo lo storico Luciano Canfora, il Gran Consiglio avrebbe utilizzato il mito romano per legittimare il carattere antidemocratico delle proprie politiche, nonché per esaltare l’imperialismo coloniale, il concetto di disciplina, il mito del capo carismatico. In realtà, il regime fascista si presentò come la sintesi di tutti i momenti culturali sviluppatisi in Italia, dall’umanesimo al rinascimento, per puntare a un’ideale di rinascita nazionale.

Ovviamente, Mussolini non puntava veramente a un “ritorno al passato”. Piuttosto intendeva progettare un mondo nuovo, moderno, i cui cambiamenti radicali dovevano essere legittimati proprio dalla Storia. L’ideale di romanità era un modello di coesione sociale. Il romano della modernità era un individuo assorbito nel partito, nella società di massa, un cittadino soldato assuefatto nello Stato, entità superiore all’individuo. Ecco come si diffuse il mito della “terza Roma”: dopo i cesari, i papi, venivano i fascisti, arrivati per proiettare l’Impero verso un futuro di gloriosa potenza. Come si può immaginare, non mancarono certi anacronismi. Per esempio, dopo le conquiste in Etiopia venne introdotto nelle parate militari il passo dell’oca tedesco, ribattezzato “romano” sebbene con l’antichità non avesse nulla in comune.

“L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia. Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino”. Queste furono le parole pronunciate dal Duce il 9 maggio 1936, nel discorso di proclamazione dell’Impero. Ma, all’atto pratico, fu veramente così?

Innanzitutto, c’è la grande differenza dell’“uomo solo al comando”. Quando Mussolini marciò su Roma, il Parlamento protestò, o almeno ci provò, con la “secessione dell’Aventino”, chiamata così per un analogo episodio avvenuto nella Roma antica. I partiti credettero di poter arginare la situazione, il re Vittorio Emanuele III invece diede proprio a Benito Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo con a capo il partito fascista, il quale ottenne così il totale controllo della scena politica, senza un’elezione, un dibattito, un Parlamento attivo, delle istituzioni a giustificarne il potere legale. Magari all’interno del Gran Consiglio erano presenti delle correnti interne, però nel complesso il dominio era unico.

Nella Roma antica questo non sarebbe mai potuto accadere. Gli antichi romani hanno avuto “l’uomo solo al comando”, hanno sperimentato sia la monarchia sia il principato, ma con “condizioni” diverse, poiché tutti i poteri dovevano essere affidati in base a precise regole. Durante il periodo Repubblicano le assemblee eleggevano dei consoli, i quali dovevano controllarsi a vicenda. Si poteva nominare un “dittatore”, tuttavia il termine designava un magistrato straordinario incaricato di gestire un’emergenza per massimo sei mesi.

Analogamente, in età imperiale l’imperatore diveniva il garante delle istituzioni repubblicane; pertanto, doveva essere non solo accettato bensì anche controllato dal senato. Gli antichi romani quindi non cedettero mai veramente il comando totale ad una sola fazione, almeno non senza passare prima da una forma di dibattito. Giulio Cesare venne assassinato proprio con l’accusa di ambire al potere assoluto illegalmente. Al contrario, Ottaviano Augusto sopravvisse grazie a una straordinaria opera di legalizzazione della sua figura, con le istituzioni in vigore, sebbene svuotate di significato.

Durante il regime fascista vennero bloccate le libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa, di associazione, di assemblea, di religione. Nell’antica Roma invece esistette sempre una delegazione politica: il cittadino romano non poteva protestare, tuttavia attraverso il sistema clientelare poteva essere rappresentato politicamente, infatti all’interno delle assemblee le gentes, le famiglie, continuavano il dibattito anche molto ferocemente. Tutta la storia romana è stata caratterizzata dal confronto tra leader politici, non a caso culmina nelle guerre civili.

Importante differenza si riscontra pure nell’influenza subita dagli alleati. Mussolini fu l’ispiratore di Adolf Hitler, poi i ruoli si invertirono. Furono le iniziali vittorie della Germania a trascinare l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, benché pagasse ancora i sacrifici della Prima. Diversamente, i Romani mai si sarebbero lasciati coinvolgere da un alleato, né in una guerra né in qualsiasi altra iniziativa. Colleghiamoci quindi a un altro tema: il razzismo. Il fascismo non nasce come movimento razzista, tuttavia anche qui, trascinato da Hitler, il regime impose le leggi razziali.

I Romani al contrario non sono mai stati razzisti, benché ritenessero la propria civiltà superiore alle altre, anche perché se lo fossero stati non avrebbero potuto governare su un impero estremamente multietnico. Possiamo prendere ad esempio i rapporti con le colonie, le quali vennero considerate dai Romani delle vere province del territorio, pertanto dovevano essere gestite adeguatamente, ovvero sviluppate al pari di tutte le altre zone. Bisogna tenere a mente come molti imperatori non furono propriamente di Roma. L’Italia fascista invece considerò le conquiste in Africa delle mere zone da cui attingere ricchezze per rifornire la Madrepatria, senza una volontà di creare un benessere, imporre cultura, costruire infrastrutture, insomma “italianizzare”.

Per tutte queste ragioni l’Italia del primo dopoguerra non è paragonabile alla Roma antica, sebbene provasse ad emulare, almeno nella retorica. Il fascismo ovviamente cercò comunque del consenso su cui poggiarsi, così come molti italiani, non tutti ovviamente, furono convintamente fascisti. È inutile negarlo: la storia della cricca di criminali al governo contro il volere dei poveri cittadini oppressi è una romanzata intellettualmente disonesta. Il fascismo nacque dalla rabbia, dal risentimento, da un senso di malessere diffuso tra più o meno tutte le classi sociali. L’impeto, la furia di rivalsa, si trasformò presto in violenza. Forse per questo a distanza di settant’anni non riusciamo ancora a riappacificarci con la storia, siamo rimasti alla guerra civile del 1945.

Bibliografia:

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Id., Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Bari 2015.

E. Traverso, Totalitarismo. Storia di un dibattito, Ombre Corte, Milano 2015.

M. Pani, E. Todisco, Storia romana. Dalle origini alla tarda antichità, Carrocci Editore, 2 ottobre 2014.

Sitografia:

A. Tarquin, Il mito di Roma nella cultura e nella politica del regime fascista : dalla diffusione del fascio littorio alla costruzione di una nuova città (1922-1943).

D. Messina, Mussolini e Augusto, la romanità nella propaganda fascista.

J. Nelis, Imperialismo e mito della romanità nella Terza Roma Mussoliniana.

N. Lectio, La fissazione di Mussolini per l’Impero Romano.

F. Focardi, La memoria del fascismo e il “demone
dell’analogia”
.

Redazione Archeome, Dietro al fascismo. Il richiamo al concetto di “romanitas”.

R. Trizio, Antica Roma e fascismo. Il grande inganno.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).