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Cultura

La parola e la cosa

Il potere della parola mi fu disvelato dalla poesia di J.L.Borges “El Golem” che ha avuto il merito di farmi intuire la forza magica del verbo, in grado di spazzare via ogni interpretazione esclusivamente razionalista della realtà e della storia e di indicare una strada più giusta per una possibile comprensione del reale.

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“In principio era il verbo”. Da piccola facevo fatica a comprendere il senso di questa frase, essenzialmente a causa di una componente razionalista che ha sempre albergato in me. Mi immaginavo un dio che fosse esclusivamente parola e del quale però, stando così le cose, non riuscivo a comprendere le prerogative, perché nel mio immaginario la parola era priva di alcun potere ed invece la divinità è il potere su cose e persone per antonomasia. 

Molti anni più tardi il potere della parola mi fu disvelato dalla poesia di J.L.Borges “El Golem” che ha avuto il merito di farmi intuire la forza magica del verbo, in grado di spazzare via ogni interpretazione esclusivamente razionalista della realtà e della storia e di indicare una strada più giusta per una possibile comprensione del reale. Borges infatti, attraverso la sua poetica è riuscito a veicolare una complessità dei saperi, capace di offrire direzioni valide a chi cerchi risposte non prive di senso per avvicinarsi all’uomo. 

Aldilà comunque dell’intento specifico che il poeta argentino si proponeva e discostandoci dal legame tra parola e divinità, non è difficile da comprendere come tutta la civiltà parta da un attribuire un nome alle cose: è quel nome che consente lo sviluppo del linguaggio, senza il quale non esisterebbe la storia dell’uomo come suo racconto, nonché ogni relazione e conoscenza. 

Una trasfigurazione di questo meccanismo sta in quel già citato “In principio era il verbo”, benché a questo punto immagino che si biforchi la strada tra coloro i quali accolgono una spiegazione religiosa per la nascita del mondo e quanti invece preferiscono mantenersi entro una sua narrazione laica. Nell’un caso e nell’altro però, il mondo per come lo intendiamo, senza la parola non avrebbe avuto avvio.

Nella letteratura greca arcaica omerica, ma anche esiodea, il legame tra la parola e la cosa è ancora fortissimo: esiste una parola ed una soltanto per indicare la cosa. Questo legame vacilla in Euripide (480 a.C.), per il quale esiste una discrasia tra onoma ed ergon e le parole, non aderendo alla realtà, non riescono più ad esprimerla. 

Che a ciò si dovesse giungere era peraltro inevitabile mano a mano che la civiltà si faceva più complessa, aprendo spazi ad interrogativi poi accolti dalla tragedia e dalla filosofia. 

In tempi più recenti l’obiettivo di sanare questa frattura è stato l’intento dichiarato di molti statuti poetici. La poesia moderna ha infatti di frequente rivendicato il recupero quasi magico del senso autentico delle parole, non di rado riuscendovi. Risultati analoghi sono stati ottenuti peraltro anche attraverso il rigore scientifico della ricerca etimogica. Persino il linguaggio quotidiano che comunemente usiamo, ci offre di continuo esempi di ricerca, spesso rapidissima, tra vocaboli che possano risultare più aderenti al discorso che ci stiamo sforzando di imbastire, o alla poesia o a qualsiasi testo che siamo in procinto di scrivere, perché  abbiamo la sensazione che un solo  vocabolo sia in grado di esprimere quanto vogliamo dire. 

Personalmente, mi lascio spesso guidare da tale urgenza di selezione, tanto nel linguaggio parlato quanto in quello scritto, sebbene questo sottragga del tempo di cui non sempre si dispone a sufficienza. 

La parola dotata di forza magica espressiva è comunque da sempre presente in un modo o in un altro nella nostra cultura e come sempre, solo in parte riusciremo ad indagarne le ragioni profonde approdando a risultati apprezzabili, in modo tutto sommato non dissimile da quanto accade agli studiosi di fronte alla veridicità storica dei fatti narrati nell’ Iliade e dell’Odissea o dell’esistenza in vita dello stesso Omero. 

La lingua è dinamica come la vita e come la vita complessa e in mutamento, ma lascia sempre traccia dentro di sé di ciò che la ha attraversata, forse solo per suggestione, come quando ci pare di sentire il profumo della persona amata che è invece lontana da noi  chilometri di distanza o come quando abbiamo l’impressione che, pronunciando il suo nome, qualcosa di magico avvenga nell’aria. 

Se vi state chiedendo se l’articolo che state leggendo è scritto da una donna di fede oscurantista, potete tranquillamente rispondervi che no, l’autrice di questo testo è di fede razionalista, ma sa  di non disporre dei mezzi necessari a rispondere al perché di tutte le cose, convinta com’è da un lato della necessità della conoscenza, dall’altro dell’obbligo dell’accoglimento di un sempre virtuoso dubitare. 

 Rosamaria Fumarola. 

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano