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Cultura

Sulla mancanza come origine dell’arte

Se la migliore poesia d’amore o gran parte di essa nasce da una relazione infelice o mai nata, ci sarebbe da auspicarsi che di amori non corrisposti tanti ancora ve ne siano e di fatto la maggior parte degli amori vede spesso un soggetto indifferente ed uno che invece patisce un sentimento che non vede corrisposto. La mancanza sembrerebbe essere dunque una componente formidabile dell’atto della creazione artistica.

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Che si sia poeti o no, che si sia romantici o meno, che si sia amanti dell’arte o no tutti noi prima o poi ci siamo imbattuti in qualche poesia d’amore e ne siamo rimasti folgorati, sentendo fotografato qualcosa anche del nostro sentimento e magari immaginandoci  l’autore  al cospetto dell’amata, mentre ne esalta la bellezza o descrive le sensazioni o i momenti vissuti assieme a lei. È in verità molto più  probabile che il poeta abbia descritto la propria esperienza amorosa mentre era in una condizione di mancanza, di assenza della persona amata o in quella dolorosa di amante e non di amato. Dunque, se la migliore poesia d’amore o gran parte di essa nasce da una relazione infelice o mai nata, ci sarebbe da auspicarsi che di amori non corrisposti tanti ancora ve ne siano e di fatto la maggior parte degli amori vede spesso un soggetto indifferente ed uno che invece patisce un sentimento che non vede corrisposto o non alla stessa maniera o con la stessa intensità del proprio. 

Della potenza assoluta e feroce dell’amore tutti hanno esperienza, come anche, magari senza esserne consapevoli, della sua forza creatrice da un punto di vista psicologico ed  anche artistico. L’amore infatti è capace, nella sua assoluta volontà d’essere, sempre alla ricerca di uno spazio al di fuori di sé verso l’altro, di creare, di inventarlo qualora questi non sia presente o non voglia esserlo, come interlocutore e questo per garantirsi il necessario luogo per la propria esistenza. Per quanto tutto ciò possa apparire azzardato e fantasioso in termini interpretativi, in realtà è quanto più di frequente accada quando si parla di arte, che ovviamente non è solo lo spazio dell’amore ma è senz’altro il luogo nel quale l’artista dà forma ad una sua creatura. L’idea che il poeta, ma anche il  pittore, il musicista etc. opponga la sua creazione a quella della natura non è una novità, non lo è nemmeno nell’archeologia se si pensa che taluni ritengono che i graffiti ritrovati in tante grotte preistoriche potessero svolgere questo ruolo e non lo è nemmeno per la scienza che rileva che a distinguere gli esseri umani dalle altre specie animali sia questa sua peculiare prerogativa creatrice. Benché i dati che la scienza propone, come quelli dell’archeologia, siano per loro stessa natura soggetti a variazioni e talvolta radicali ridimensionamenti, disponiamo comunque di una moltitudine di opere d’arte che confermano quanto sopra esposto, magari perché sono gli autori di esse che ce ne hanno dato conferma.

Ma allora è il nulla, il vuoto che fa orrore all’uomo, tanto da sentire il bisogno di riempirlo creando? E perché l’essere umano subisce questa sorta di horror vacui? La mia impressione è che l’uomo esista sempre in relazione a qualcosa: un ambiente, una persona, più persone, rispetto a cui misurare e modellare non solo il proprio agire ma il proprio essere, per  adattarsi e non soccombere, che cioè sia “programmato” per questo, che tutto ciò che lo riguardi sia sempre relativo ad altro e che infrangere questo legame col resto che lo circonda produca in lui una sofferenza, insostenibile al punto tale da ricreare quel “resto” di cui ha bisogno. Tutto ciò è tanto più banale se si pensa che la condizione di solitudine è da sempre e da tutti  intesa come situazione innaturale e per lo più associata all’esperienza del dolore. A conferma di questa tesi vi sarebbe ad esempio l’idea che la Cantica meglio riuscita della Commedia di Dante sia l’Inferno e non il Paradiso, come invece ci si aspetterebbe, proprio perché contenutisticamente collegata alla sofferenza che è sempre più facile da descrivere di quanto non lo sia la felicità, tantomeno quella perfetta e sconosciuta all’uomo del Paradiso. Si potrebbe concludere che la maggior parte di ciò che chiamiamo arte sia legata all’esperienza del dolore, che anzi quella migliore sia legata all’esperienza di esso: il novanta per cento della musica prodotta, della poesia, dei dipinti sembrano avere questa specificità e non di rado ci sarà capitato di sentire che la migliore letteratura degli ultimi anni proviene dall’America Latina, area geografica nella quale è ancora diffusa  la condizione di indigenza unita all’esperienza di governi dittatoriali e liberticidi. 

Ora, la tesi che ho esposta è come ogni altra solo una tesi, un’ interpretazione, una delle tante e peraltro non esaustiva. Proprio in questa incapacità di qualsivoglia interpretazione di poter  essere esaustiva risiede  però la chiave per comprendere la natura più profonda dell’essere umano …o della mia stupidità!

 Rosamaria Fumarola.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano