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Cultura

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo

A scuola, in un esercizio di aritmetica, due più due fa quattro e se scriviamo cinque l’insegnante non ci premia con un bel voto, perché la risposta, la sola risposta consentita è quattro. Ma in realtà il mondo partorito dall’intelletto umano è cosa ben più complessa e le regole, ammesso che di regole si possa parlare, non sono solo quelle dell’aritmetica.

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Molti di noi sono avvezzi a leggere qualche pagina di un libro la sera prima di addormentarsi.

L’esperienza della lettura, di qualsiasi lettura, di un romanzo così come di un saggio, ci permette ciò che la natura ci nega: essere altro cioè da ciò che siamo, in altri luoghi ed in altri tempi che mai potremmo conoscere. Che ci piaccia o meno e ad onta di ciò che ci sentiamo ripetere continuamente, il mondo non è solo economia e non è governato da regole esclusivamente matematiche. Insomma a scuola, in un esercizio di aritmetica, due più due fa quattro e se scriviamo cinque l’insegnante non ci premia con un bel voto perché la risposta, la sola risposta consentita è quattro. Ma in realtà il mondo partorito dall’intelletto umano è cosa ben più complessa e le regole, ammesso che di regole si possa parlare, non sono solo quelle dell’aritmetica, che pure svolge un suo fondamentale ruolo. Ad esempio lo storico greco Tucidide (Atene 460-399 a.C.) ci riferisce che la guerra del Peloponneso, sarebbe stata senz’altro vinta dalla Grecia sotto la guida di Pericle, ma poiché l’esistenza degli uomini è governata anche dal caso (kata` tyke), a causa  di un’epidemia di peste, Pericle si ammalò e ne morì, rendendo così impossibile la vittoria greca. Tutta la storia degli esseri umani è costellata dal verificarsi di eventi, talvolta minimi, che finiscono però col decretare l’esito finale, le sorti di fatti dalla portata ben maggiore. Perché  ho riportato l’esempio di Pericle  citato da Tucidide (ma si potrebbe  fare quello di Alessandro Magno o di tantissimi altri)? Perché se da un lato il lungo cammino dell’uomo verso condizioni di vita migliori, verso dunque la democrazia, ci insegna che tutti gli esseri umani hanno e devono avere pari diritti e dignità, dall’altro lato sperimentiamo l’assoluta diversità che contraddistingue ciascuno di noi rispetto agli altri, nonostante gli analoghi bisogni che tutti ci accomunano. Questa diversità nasce soprattutto da ciò che risiede nei nostri pensieri, che sono alla base di come operiamo nella realtà ed evidentemente sono un amalgama unico, originale, che fa sì che una certa cosa venga pensata e posta in essere solo da quel determinato individuo e non da un altro. Tale amalgama è anarchico, refrattario a qualunque regola ordinatrice che non provenga da sé medesimo e di esso un individuo non può dirsi fino in fondo padrone.

Ebbene, per tornare al discorso fatto in  partenza, non vi è nulla che in quel crogiolo possa avere facile accesso dall’esterno consentendogli un’esperienza totale, come la lettura di un libro, che non è solo l’acquisizione di informazioni o la conoscenza di una trama, ma è un evento che è in grado di scatenare una serie di imprevedibili reazioni a catena, capaci di cambiare profondamente, di mutare cioè proprio la cosa più difficile da mutare e cioè il nostro modo di vedere e percepire le cose.

Molto probabilmente questo accade perché l’approccio a quanto leggiamo è libero: non indossiamo infatti maschere, né ricopriamo i ruoli che ci impegnano all’esterno, nella vita di tutti i giorni e siamo dunque completamente aperti a ciò che il libro ci veicola, reagendo ad esso per ciò che autenticamente siamo. È pertanto di tutta evidenza come anche solo questo fatto renda la lettura un’esperienza preziosa come poche e come poche capace di penetrarci profondamente, perché non ci trova “settati”, ma in una condizione di naturale apertura, come nella vita reale ben poche volte ci accade. Tale naturalezza consente un’interazione col testo che finisce col cambiarci, anzi, proprio e solo grazie a quella naturalezza cambiamo, poiché nessun altro, mentre leggiamo, ci spinge in una direzione piuttosto che in un’altra.

Insomma, davanti ad un libro non possiamo che essere noi stessi e dunque questo fa della sua lettura il rapporto autentico per eccellenza, forse il più autentico che si possa avere con le cose. In virtù di questa libera interazione, tutte le potenzialità, le risorse intellettuali di colui che legge si manifestano ed entrano in gioco, svelandogli aspetti di sé che neppure sospettava di avere ed i cui sviluppi saranno per lui imprevedibili. Leggere è quindi banalmente un leggersi, creare la propria personalità, la propria identità e per ciò stesso diventare capaci di proiezioni, di progettualità, di investimenti fuori di sé più consapevoli e meno legati all’alea ed alle strumentalizzazioni. Questo processo di creazione alimenta uno spazio senz’altro sano, sgombro dalle problematiche dell’esistenza quotidiana, che non potrà che agire in termini di equilibrio nell’insieme della personalità del lettore. Funzione analoga è quella che gli studiosi attribuiscono al sogno, una funzione cioè riequilibratrice delle dinamiche tra le componenti che coinvolgono la psiche umana e sospetto, non solo umana. In effetti il sogno è alla lettura senz’altro affine per l’anarchia, forse solo apparente, che sembra governarne gli sviluppi.

Certo si potrà obiettare che si tratti di esperienza solipsistica, che mentre si verifica non sia in relazione con il resto del mondo ed in effetti le cose stanno proprio così, ma ciò che accade in quell’atto solipsistico creerà le basi per la successiva partecipazione dell’uomo al consorzio di appartenenza con un quid pluris di fantasia e dunque di progettualità, che diverrà poi anche bene collettivo.

In effetti lo sviluppo della fantasia, di questa capacità di mescolare il vissuto a ciò che è immateriale è, nonostante la sua assoluta incorporeità, necessariamente alla base di ciò che può concretizzarsi, di un progetto, il quale senza il “salto” di ciò che tante volta in termini non proprio positivi, chiamiamo fantasia, non può realizzarsi.

I tempi che viviamo sono quelli nei quali ci si lamenta dell’assenza di una “visione”, anche di un’utopia, ma la ” visione” non può trovare cittadinanza in un mondo nel quale ci insegnano che a governare è solo l’economia e che pertanto solo le sue leggi conviene studiare, senza perdere tempo dedicandosi ad altro.

La complessità di ciò che siamo non può essere letta una volta per tutte dai tempi, dalla storia, perché ne siamo noi gli autori e per varie ragioni lasciamo prevalere le istanze, i valori, i pensieri più funzionali ad un contesto in un periodo, lasciando inevitabilmente alle spalle il complesso mondo di cui fanno parte.

È necessaria dunque un’inversione di marcia: continuare a credere che la “visione” di cui questi tempi hanno bisogno possa essere partorita dalle istanze che a questi tempi appartengono è ingenuo, oltreché stupido. Operazione meno sterile sarebbe invece coltivare la nostra complessità, offrirle cittadinanza, perché da essa sola possono svilupparsi nuove ed inedite progettualità ed una prassi che ritengo essere in questo senso la più utile allo scopo è proprio la lettura, per le ragioni sopra elencate e perché, come scriveva Gianni Rodari, “Il verbo leggere non sopporta l’imperativo”.

Rosamaria Fumarola

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano