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La fiera paesana celebrata dagli italiani (Parte prima)

In occasione della morte di Raffaella Carrà siamo stati travolti dalla messa in onda di sue trasmissioni o parti di esse: Raffaella era la televisione ed ancora rappresenta gran parte degli abitanti del bel paese.

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di Rosamaria Fumarola

Pochi giorni fa è venuta purtroppo a mancare Raffaella Carrà, protagonista insostituibile della storia della televisione italiana, storia a sua volta di grande importanza per la comprensione di chi eravamo e di chi siamo diventati. 

Per decenni lo spazio televisivo è stato vivo e ricchissimo e di questa funzione di stimolo, riflessione e spesso crescita dovremmo essergli grati o meglio dovremmo essere grati a chi ha consentito alle nostre migliori intelligenze di esprimersi. Le cose sono però nel tempo cambiate e se l’avvento delle tv private è stato salutato da molti, ricordo per citarne solo uno Enzo Tortora, come luogo di esercizio di legittima libertà, dall’altro ha consentito grazie all’intervento politico l’accumulo nelle mani di uno solo di queste reti, che hanno intercettato e coltivato un certo amore degli italiani per lo svago inteso del senso più disimpegnato possibile, influenzando inevitabilmente anche la tv che privata non era.

Certo e per fortuna le cose umane sono sempre in cambiamento dinamico ed oggi assistiamo alla rivoluzione di internet e di tutti i mutamenti della nostra vita che con sé ha portato. 

La tv nel frattempo, tanto pubblica quanto privata, adeguandosi resiste e partecipa del cambiamento sebbene, quando internet irruppe sulla scena, molti la dessero per morta ed irrimediabilmente. 

Raffaella Carrà apparteneva al mondo della televisione. Se su YouTube si visionano filmati risalenti agli anni sessanta e settanta, la si vede duettare con mostri sacri del calibro di Gassman o Mina, o danzare impeccabile ed in tutto il suo splendore in coreografie magistrali. La Carrà non era solo una ballerina infatti, ma anche una cantante, una presentatrice ed un’attrice, oltreché una donna dall’indubbia intelligenza. 

In occasione della sua morte per più giorni di quanti previsti è stata perciò ricordata con la messa in onda di parti o di intere sue trasmissioni, ad esempio una nella quale intervistava Enzo Biagi o un’altra nella quale chiacchierava con il ballerino Nureyev. Più o meno tutti i divi di certi anni sono stati suoi ospiti nei medesimi appuntamenti di mezzogiorno in cui, col pubblico giocava ad indovinare quale fosse il numero esatto dei fagioli et similia contenuti in un recipiente di vetro. Raffaella dunque era in grado di parlare di cultura, ma anche di essere leggera ed il pubblico l’ha sempre seguita. 

Si è sentito infatti autenticamente parte di qualcosa e questo è  senz’altro apprezzabile. Peraltro Raffaella,  pur non esprimendosi su questioni politiche, non ha mai fatto mistero di una sua apertura nei confronti delle minoranze che, per una ragione o per un’altra in Italia avevano ed hanno subito ingiuste discriminazioni. La sua stessa vita non è stata quella comune alla maggior parte delle donne della sua generazione: Raffaella pensava con la sua testa e rivendicava il  diritto di esercizio  della critica. 

Devo però ammettere che all’epoca come oggi, la sua attenzione nei confronti di personaggi noti della cultura, ma anche dello spettacolo e dell’arte, mi lasciava totalmente indifferente. Io non ho infatti amato Biagi in seguito alla sua intervista con la Carrà, né ho compreso qualcosa di più di un politico o di un certo premio Nobel da quelle chiacchierate. La sensazione che io ne avevo non era nemmeno che l’indovinare il numero esatto dei fagioli fosse invece la parte della trasmissione più per così dire “vera”. L’impressione che io traevo dai format affidati a Raffaella Carrà era che il loro scopo non fosse il gioco e nemmeno le interviste a personaggi noti. La mia impressione era che mi si stesse vendendo qualcosa di inesistente, che con la realtà della maggior parte del pubblico non aveva nulla a che fare. Talune trasmissioni dopo gli anni 80 non si preoccupavano più della bella esibizione di un artista  (non esisteva nemmeno più quello): a Biagi venivano rivolte poche domande ed estremamente superficiali. Quei format avevano come unico scopo l’audience, per il resto erano contenitori assolutamente vuoti. Insomma una fiera paesana in cui ti vendono un aggeggio per pelare le patate che nemmeno funziona. 

La mia non è una difesa dell’impegno e della cultura a tutti i costi: nessuno più di me sa che sorridere è forse la cosa più importante della vita, ma non desidero glorificare chi nella vita altrui ha partecipato di fatto con l’offerta del nulla. Raffaella Carra è stata una venditrice brava come poche e la cosa mi fa venire in mente una frase che la cantante Madonna pronunciò durante un’intervista : “Se il mio talento fosse pari alla mia ambizione sarei Dio”

Ma allora perché questa divinizzazione di una donna di spettacolo capace di far tutto ma tutto in maniera superficiale? Perché è parte del copione anche questo, falso come il resto. In fondo se tale era stata la scelta di un certo tipo di programma da parte di tutti, Carrà compresa, perché aspettarsi l’epifania miracolosa di qualcosa di diverso proprio dalla sua fine?

Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano