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VINCENZO SANTORO CI RACCONTA LA MUSICA POPOLARE SALENTINA E DELL’ APPELLO ALLA REGIONE PUGLIA

Vincenzo Santoro originario di Alessano (Lecce), affermato studioso della musica popolare salentina, ci racconta del suo appello alla Regione Puglia in difesa della Storia e della tradizione dei nostri nonni dalla mercificazione della musica e dalla deriva commerciale.

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di Maria del Rosso

Vincenzo Santoro è impegnato da molti anni nell’organizzazione di iniziative ed eventi sulle musiche e culture popolari del Mezzogiorno. Le sue pubblicazioni più importanti in questo campo sono: Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento (con Sergio Torsello), Aramirè 2002; Uccio Aloisi. I colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare (con Sergio Torsello e Roberto Raheli), Aramirè 2004; Il Salento di Giovanna Marini, cd doppio (con Roberto Raheli), Aramirè 2004; Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, Squilibri 2009; Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Salento e Sardegna (1973-1975), Squilibri 2017; Rito e passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina, Itinerarti 2019; Il ballo della pizzica pizzica, Itinerarti 2019 (con Franca Tarantino); Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale, Itinerarti 2021. Su questi temi cura anche un blog, www.vincenzosantoro.it

Vincenzo, sei uno studioso e ricercatore della musica popolare salentina. Di recente hai aderito all’appello che ha visto la partecipazione di molti artisti, di intellettuali e di cittadini in difesa della tradizione della pizzica pizzica salentina.

Al riguardo, di cosa oggi ha bisogno la musica popolare salentina per scongiurare il rischio di svenderla per sempre al business e al marketing?   

“Credo che la scena attuale della musica popolare salentina abbia bisogno di tenere comunque vivo il suo rapporto con la sua ‘memoria culturale’, con le fonti, con la ‘tradizione’ che l’ha prodotta. Che non vuol dire – per capirci – riproporre sempre le stesse cose nello stesso modo, ma aver chiaro da dove si proviene. Sapere che questo ambito ha delle sue fortissime peculiarità: modi di canto e modi di suonare, strumenti molto particolari che non si imparano nelle scuole di musica normali ecc. E che anche il movimento della ‘riproposta’ della musica popolare ha una sua storia particolare. Ascoltando molti artisti che si cimentano nei repertori più o meno ‘tradizionali’ su palcoscenici di vario prestigio, si ha spesso l’impressione che questa ‘memoria culturale’, al di là di alcuni stereotipi un po’ banalizzati e del solito striminzito repertorio, non sia conosciuta quanto si dovrebbe. Inoltre, si dovrebbe anche tener presente il fatto che una eccessiva spettacolarizzazione della musica e del ballo di origine tradizionale può forse aprire le porte della televisione commerciale, ma inevitabilmente porta a un ‘prodotto’ completamente avulso dal territorio e dal contesto in cui tali ‘tradizioni’ si sono originate.”

Il 6 novembre hai organizzato l’evento “Tarantule,  quo vadis” presso il Convitto Palmieri nel cuore del barocco leccese per confrontarsi sul destino del patrimonio culturale e musicale del Salento. Raccontaci di quest’esperienza.

“Sulla base dell’appello che in tanti hanno sottoscritto, ci siamo riuniti con molti amici, sia in presenza sia anche con gli strumenti online, per chiedere in primo luogo che ‘La Notte della Taranta’, l’evento emblematico che a nostro avviso più ha spinto su questa deriva commerciale – fino ai veri e propri disastri degli ultimi anni – ritrovi una forma di produzione spettacolare che sia appunto più rispettosa di questa storia culturale.

Inoltre è stata ribadita la necessità che le istituzioni locali, a parte finanziare e organizzare festival grandi e piccoli, mettano finalmente in campo una serie di azioni che consentano ai tanti appassionati e agli artisti – in particolare i più giovani –  che in questo momento riusano tali repertori di conoscere il passato, di documentarsi, di sapere quali erano i canti, non perché li hanno sentiti da altri gruppi di riproposta ma attingendo ai ‘materiali originali’, cioè alle registrazioni storiche, che per fortuna ci sono giunte in notevole quantità.

Tutto questo fa parte di un discorso annoso: della “politica culturale” più ampia che la Fondazione avrebbe dovuto fare, come fu strombazzato quando venne creata e come è scritto chiaramente nel suo statuto, e che evidentemente non ha mai fatto”.

Hai avuto risposte dalla Regione?

“L’ appello era rivolto alla Fondazione e alla Regione e non abbiamo avuto nessuna risposta da nessuna delle due istituzioni. Ma tutto ciò non mi ha certo stupito. Questa vicenda va avanti da tantissimo tempo, da almeno un quarto di secolo, una discussione per me sfinente. Per cui considerato il contesto e l’impostazione generale che in questi anni è stata data, francamente non avevo grandi aspettative. E poi questo andazzo in fondo fa comodo a molti. Il 6 novembre c’è stata una discussione intensa e partecipata, sono venite fuori delle idee interessanti che cercheremo di sviluppare nei prossimi mesi. C’è stata anche una importante partecipazione del Ministero della Cultura nella figura del direttore dell’Istituto Centrale per il patrimonio Immateriale, Leandro Ventura. La prospettiva è di continuare a incalzare con alcune precise proposte le istituzioni locali ma anche di provare a costruire dei percorsi per farcela un po’ da soli, come è successo nel passato, per cui dove le istituzioni non sono intervenute, gli operatori di base hanno fatto da soli, naturalmente con meno mezzi a disposizione e meno forza. ”

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambiamento radicale del concertone finale de “La Notte della Taranta” a Melpignano che punta maggiormente allo spettacolo e offre poco spazio alla musica popolare.

 Al riguardo, quanto sia importante custodire la tradizione e la storia dei nostri nonni e bisnonni dalla mercificazione della musica e cosa ti aspetti degli artisti salentini?

“Sinceramente da molti artisti salentini non mi aspetto granché. A parte alcune lodevoli eccezioni, sembrano in gran parte interessati solo al proprio piccolo orticello. Quella proiezione collettiva che era molto viva nelle prime fasi del ‘movimento’ – diciamo fino a una quindicina di anni fa – e che costituiva una delle sue maggiori ricchezze, sembra essersi quasi del tutto esaurita. Le logiche del divertimentificio e delle carriere personali hanno del tutto prevalso. Lo dico con grande rammarico, sperando sempre di essere smentito dai fatti.”

A quale gruppo di musica popolare sei particolarmente legato e c’è una pizzica che vorresti dedicare alle terre di Puglia ed in modo particolare al Salento?

“Il gruppo a cui sono sentimentalmente più legato – anche per averci intensamente collaborato – sono gli Aramirè: si sono sciolti un po’ di anni fa anche in polemica con la piega che stava prendendo il movimento. Di loro, che sono stati anche una importantissima casa editrice ‘militante’, specializzata nella cultura popolare salentina, continuano ad essere disponibili alcuni bellissimi cd, quindi chi vuol li può ancora ascoltare. Continuo poi a essere affezionato agli Officina Zoè, che hanno fatto la storia della musica popolare salentina.

Di più recente mi piace molto il lavoro del nuovo ‘Canzoniere Grecanico Salentino’, con la loro innovazione intelligente che tiene ben conto della radici tradizionali, in una straordinaria proiezione internazionale. Amo da sempre la voce e le prodigiose qualità interpretative di Maria Mazzotta, e poi apprezzo altri gruppi più di base e ‘schietti’, come ad esempio il ‘Gruppo’ che suonava con il mitico Uccio Aloisi, gli ‘Amanti di Bacco’, belli da ascoltare e da ballare e ‘I Mandatari”, un gruppo di giovanissimi della provincia di Taranto.

Di pizziche, se me lo consenti, ne vorrei scegliere tre.

La prima è la ‘pizzica tarantata’ dell’orchestrina capitanata da Luigi Stifani, quella in qualche modo ‘originaria’, che serviva per la cura rituale del tarantismo ‘vero’, che conosciamo per le registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto de Martino.

Poi, sempre per restare alle registrazioni storiche, segnalerei anche la notevolissima ‘taranta di Lizzano’, che è stata la prima ad essere registrata dal ricercatore tarantino Alfredo Maiorano nel 1950.

Infine, la ‘pizzica dei Cordella’, detta anche ‘pizzica di Copertino’, che ha un ‘giro’ di organetto veramente irresistibile.

Queste tre pizziche le possiamo dedicare al Salento e a tutta la Puglia.”

Durante la tua carriera hai lavorato con Sergio Torsello al progetto “La Taranta nella rete”. Il tuo compaesano  Sergio è stato una figura di riferimento per le scelte culturali e artistiche del Salento. C’è un aneddoto che vorresti raccontarci e cosa manca al Salento della visione della pizzica di Sergio?       

“Questo è per me un tasto doloroso, perché ero molto legato a Sergio, che è andato via troppo presto, a 50 anni, ormai quasi sette anni fa.

Abbiamo iniziato a collaborare su questi temi alla fine degli anni ’90 – molto prima della ‘Taranta nella rete’ – e ricordo con molto affetto le lunghissime conversazioni che facevamo dal vivo o al telefono. Eravamo molto appassionati alla vicenda della pizzica e del tarantismo, anche nelle sue declinazioni contemporanee, argomenti sui cui abbiamo organizzato innumerevoli iniziative e scritti diversi libri. C’era su questo una forte intensità, nostra insieme, che ricordo con grande affetto e con grande commozione.

Della visione di Sergio manca oggi sicuramente l’aspetto del rigore, dell’approfondimento scientifico, della necessità di conoscere e studiare prima di esprimersi e intervenire (direi anche, per ricollegarmi alle domande precedenti, prima di cantare e di suonare).

Per lui il tarantismo, la musica popolare, erano delle grandi espressioni culturali della nostra terra che andavano approcciate e ‘maneggiate’ con rispetto e attenzione: con ‘pietas’, per usare un termine colto.

Queste attitudini e queste capacità, insieme alla delicatezza con cui si avvicinava all’ambiente del ‘popolare’, spesso molto complicato e litigioso, mi pare che oggi manchino molto, in particolare in chi l’ha sostituito nei suoi ruoli di direzione musicale e culturale”.

Un augurio per il futuro della musica popolare salentina.

“L’ augurio è che si esca al più presto da questa pandemia, che ha distrutto le cose a cui più tenevamo del mondo della musica popolare, cioè la pratica comunitaria, le feste, i balli, il ritrovarsi insieme.

Al di là di tutto questo è l’aspetto più importante, che adesso, dopo due anni di Covid, assume un significato molto più forte e forse più evidente per tutti noi.

L’augurio è che si possa tornare al più presto ad ascoltare la musica insieme, a ballare insieme, a stare insieme, finalmente liberi”.

Credit  foto Vincenzo Santoro

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Classe '91, sono nata in Puglia. Coltivo da molti anni la mia passione per la scrittura, ho collaborato con diverse testate giornalistiche e partecipo agli eventi di poesia. Per me la scrittura è vita, è sogno, è amore, è linfa vitale. E come afferma Luca Doveri : "La scrittura apre le finestre che si affacciano sull' anima del lettore".