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Tiziana Ghiglioni ed il jazz del non detto

Ascoltando il jazz di Tiziana Ghiglioni, si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un’ artista che ambisce a togliere più che ad aggiungere, che punta alla scoperta di un io profondo, più che alla chiassosa sorpresa dell’estensione di un acuto. L’uso della voce che questa jazzista fa è importante nel panorama del canto jazz italiano, a mio modesto giudizio, in primo luogo per questa ragione.

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L’artista della quale mi occupo questa settimana è una jazzista italiana, la cantante Tiziana Ghiglioni. Come di consueto anche stavolta non seguirò una narrazione tradizionale, ma mi farò guidare dal senso, dal peso che una certa musica ha avuto in un determinato periodo della mia esistenza, attraverso il ricordo dell’esperienza che ne ho fatto. Pertanto non incomincero` fornendovi prima di ogni altra cosa gli elementi utili per una ricostruzione della vicenda biografica della musicista, che troverete comunque nella seconda parte dell’articolo, ma partirò dalla sua poetica, in omaggio al pensiero di G. Leopardi che auspicava di essere giudicato per la sua arte, senza che la si giustificasse con l’ analisi della propria vita.

Consiglio dunque a chi mi legge di avvicinarsi a Tiziana Ghiglioni ascoltando un album (“Lonely Woman” o” Tiziana Ghiglioni canta Luigi Tenco” ad esempio) o singoli brani della sua produzione. La prima impressione che ne trarrà, soprattutto se del canto jazz si ha l’idea di virtuosismi che mostrano doti essenzialmente vocali, sarà la sensazione di trovarsi di fronte ad un’artista che sceglie di andare in una direzione diametralmente opposta, di un canto puro, che ambisce a togliere più che ad aggiungere, che punta alla scoperta di un io profondo più che alla chiassosa sorpresa dell’estensione di un acuto. L’uso della voce che questa jazzista fa è importante nel panorama del canto jazz italiano in primo luogo per questa ragione, poiché viviamo in un paese nel quale permane un’idea tradizionale che ha preferito rendere pop il jazz, ingessando la sua ricerca in un cliché che, in quanto tale finisce inevitabilmente per negarla. Cantare infatti  oggi come la Fitzgerald faceva negli anni sessanta contraddice l’idea stessa di jazz, oltreché quella dell’arte in generale, poiché si impossessa di una forma che era dotata di senso se precipua ad un contenuto e che ora invece ne è svuotata, perché quel contenuto ha perso il suo messaggio o perché essa stessa non è capace di reinveintarne uno proprio, nuovo ed autentico.

Ma l’originalità della Ghiglioni non risiede solo in questa scelta specifica. Ascoltandola si ha infatti l’impressione di una voce capace di essere duplice, una voce che da un lato racconta sommessamente e dall’altro non rinuncia ad accompagnare gli altri strumenti, ad essere “solidale” con essi. C’è dunque anche una dimensione per così dire etica nel suo canto, come sempre nel vero jazz, benché a prevalere sia l’idea che la vita si risolva nell’estetica assoluta dei suoni, nella loro pura bellezza. Tale poetica non va confusa tuttavia con una scarsità di contenuti: tutt’altro, si tratta infatti della risposta ad un senso inaccettabile, che non rispetta la “misura” dell’individuo. E dunque il racconto di questa voce è racconto anche del suo tempo, delle inadeguatezze, dei fallimenti di un periodo e di una generazione al quale ha scelto di rispondere rinunciando ad ogni barocchismo.

Tiziana Ghiglioni nasce a Savona il 25 Ottobre del 1956. Si forma frequentando i seminari di Giorgio Gaslini e studiando presso la soprano Gabriella Ravazzi. Con lo stesso Gaslini e Giorgio Albertazzi porterà in tournée lo spettacolo “Shakespeare/Ellington”. Il suo jazz sin dagli esordi, con l’ album del 1881 “Lonely Woman” a cui fa seguito nell’ 83 “Sound of Love” con Kenny Drew al pianoforte, viene accolto positivamente tanto dalla critica quanto dal pubblico. Collaborerà tra gli altri con Chet Baker, Steve Lacy, Mal Waldron, Paul Bley, Lee Konitz e con gli italiani Luca Flores, Enrico Pieranunzi, Paolo Fresu, Franco D’Andrea, Gianluigi Trovesi ed Enrico Rava. Dice di sé di aver deciso di intraprendere la carriera di jazzista dopo aver ascoltato il sassofonista Archie Shepp. La sua adesione al free jazz è evidente peraltro anche nella scelta di intitolare  il suo primo album ” Lonely Woman” che è appunto un noto brano di Ornett Coleman. In occasione dell’uscita di “SONB” del 1992, l’allora  direttore della rivista “Musica Jazz” Pino Candini, parlò della Ghiglioni come della “First Lady” del jazz italiano. Con il violinista E.Parrini la cantante ha di recente firmato “Rotella Variations”, trasposizione musicale dell’opera dell’artista Mimmo Rotella. Tiziana Ghiglioni vive oggi tra Genova e Milano ed è titolare della cattedra di canto jazz presso il Conservatorio di Rovigo. Oltre gli album già citati val la pena ricordare “Tiziana Ghiglioni sings Gaslini” del 95, “Goodbye Chet” del 2008 e del 2010 “Non sono io” ( musiche di Luigi Tenco) con Stefano Bollani.

Rosamaria Fumarola

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano