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Scuola

Incontro con Edoardo Martinelli, allievo di Don Milani

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di LAVINIA ORLANDO

“Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara.”

È questa una frase esplicativa del modo d’agire di don Milani, celebre educatore e priore della scuola di Barbiana, figura innovatrice nel panorama educativo degli anni ’50-’60; un maestro che, invece che porsi in cattedra, produceva un contesto educativo; un predicatore anomalo, che non credeva nella lezione frontale, bensì, partendo dal contesto di realtà, cercava di liberare la scuola dagli astrattismi e di trasformarla in una scuola che progettava nel territorio e col territorio (Barbiana, infatti, non aveva né la strada, né l’acquedotto e sarà proprio la scuola a costruirli).


Si trattava di un sistema sui generis (per la scuola di allora, ma anche per quella attuale): i ragazzi ponevano domande e le materie si dipanavano in questo modo, partendo da elementi di occasionalità e senza programmazioni, con lezioni che potenzialmente avrebbero potuto durare all’infinito ed utilizzando il c.d. “apprendimento cooperativo” (erano, cioè, gli stessi ragazzi a spiegare).

Abbiamo incontrato Edoardo Martinelli, allievo di don Milani, scrittore e testimone della sua esperienza.

Qual’ è, a suo parere, il rapporto tra la scuola di don Milani e la scuola al giorno d’oggi, anche alla luce della recente riforma Gelmini? Ci sono dei punti di incontro o i due modelli si discostano totalmente?

Ovvio che la politica della Gelmini è solo di tipo economico e non si pone il problema della qualità della scuola; ritengo, tuttavia, che il ministro abbia solo posto un problema in più agli aspetti negativi della nostra scuola. Per noi allievi della scuola di don Milani, la riforma Berlinguer non era così negativa, sopratutto in quegli aspetti che si legavano alla riforma dei cicli, all’idea di continuità educativa ed al valorizzare i nuclei fondanti le discipline (sopratutto in fase pre-adolescenziale). Questo, insieme agli aspetti curriculari espressi nella fase Fioroni, creava i presupposti di un tentativo, anche se abbastanza moderato, di introdurre nella scuola il metodo di Barbiana. Dopo, con la gestione Tullio De Mauro, c’è stato lo sfascio, nel senso che il corporativismo ha preso il sopravvento sulla buona pratica, si è più parlato di diritti individuali, che non di diritti dello studente.

Il nodo strutturale della scuola è nella pre-adolescenza e Barbiana era proprio una scuola della pre-adolescenza e dell’adolescenza. La critica essenziale della “Lettera ad una professoressa” (testo scritto dagli stessi allievi insieme al priore) è “scuola vivi fine a te stessa”, vivi, cioè, un’astrazione e, di conseguenza, non dai quel bagaglio di conoscenze utili alla vita ed al lavoro. Di fronte alle problematiche dell’adolescenza (il corpo che cambia, la socialità, i sentimenti) la scuola italiana non fa altro che anticipare l’università, in quanto è una scuola estremamente disciplinare. Ora, con la Gelmini, la situazione è peggiorata: non ci sono più le compresenze nella scuola primaria, per cui il bambino di 10 anni passa da una figura di riferimento, a otto- dodici, per cui si perde.

Don Milani era più un educatore d’area, dove l’approccio alla conoscenza era di tipo globale, dove, invece che pianificare, si partiva dalle occasionalità e dagli imprevisti. Questo per dire che la scuola che fornisce gli strumenti per l’apprendimento e non il semplice nozionismo, sopratutto nella fase preadolescenziale, non può essere una scuola dove la campanella suona ogni ora e dove gli insegnanti non fanno nemmeno in tempo ad imparare i nomi dei ragazzi. Questo spazio di pochi metri quadrati con trenta bambini è, in realtà, più rappresentativo di un manicomio che di un luogo per apprendere.

La riforma don Milani è radicale, costringerebbe a prendere in considerazione i costi unitari. Se spendiamo 6000 € per alunno, considerando un gruppo di 30 allievi, 180000 € per gruppo classe non sono una banalità, mi verrebbe da dire che i politici non sanno spendere i soldi.

Bisognerebbe andare verso delle autonomie che consentano la gestione a soggetti sociali. Io sono per la scuola pubblica, però a volte mi viene da dire che non va bene né lo Stato, né il privato, bensì ci vorrebbe una scuola autogestita.

Cosa ne pensa dell’atteggiamento che la Chiesa ed il mondo cattolico sta avendo rispetto al degrado morale che sta caratterizzando la vita politica particolarmente negli ultimi tempi? Com’è possibile che Berlusconi venga quasi osannato nei congressi di vari partiti cattolici?

Se per partiti cattolici si intende Comunione e Liberazione, tra C.L. e don Milani c’è l’abisso che sussiste tra un uomo di religione ed un uomo di fede. Nel pensiero teorico del movimento spicca quest’educazione alla fede, ma la fede è un dono, non un qualcosa da trasferire. Gli uomini di religione sono sempre stati pericolosi, perché sono uomini di potere. Ovvio che C.L. e tutto questo mondo della Chiesa che si lega all’economia ed alle banche non è la Chiesa di don Milani.

Quando parliamo di degrado di valori, io penso che il problema non sia solo religioso, ma anche laico: tutta la società si trova nel degrado etico e tale situazione può essere ricondotta a questo modo di fare scuola, che si basa sulla sola lezione frontale. Abbiamo predicato per cinquant’anni la democrazia, ma non l’abbiamo fatta esercitare ai nostri allievi, per cui i ragazzi non sanno neppure cosa vuol dire raccordarsi all’interno di un gruppo, dare il diritto di parola, pretendere i diversi punti di vista.

In sostanza, si tende di più a sopprimere che ad includere, mentre la scuola di don Milani rappresentava un modello includente.