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Dalle Regioni

Pensavo fosse lavoro… Invece era un calesse

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di FABRIZIO RESTA

Operaio ArcelorMittal suicida a 44 anni


«Perché calesse?… per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute». Così Massimo Troisi spiegava la scelta del titolo del suo film. Le aspettative possono condizionare fortemente la vita quotidiana e quando sono disattese, possono portare anche a gesti eclatanti.

A poche ore dalla festa dei lavoratori del 1 maggio, un operaio di 44 anni dell’Arcerol Mittal si è tolto la vita nella sua abitazione di Taranto. Non ci è ancora dato sapere i motivi del tragico gesto ma quello che affermano i Sindacati, ossia che i motivi sarebbero da ricercare nelle incertezze lavorative e i cali dello stipendio che da tempo stanno interessando i lavoratori dell’Arcerol Mittal già prima del Coronavirus. Speculazione da parte dei sindacati? Forse. Certamente il tragico gesto è frutto di motivi che non sono interpretabili e probabilmente frutto di molteplici ragioni. Emile Durkheim era convinto che le azioni di un individuo sono spiegate dall’interazione dei fenomeni sociali; quindi un suicidio non ha nulla a che fare con le caratteristiche dell’individuo ma serve a spiegare come funziona la società. Quindi se è vero che da più parti si dice che l’operaio soffrisse da tempo di disturbi depressivi è anche altrettanto vero che l’instabilità lavorativa e la conseguente paura di non poter garantire tranquillità ai propri congiunti, non sono fattori che permettono l’affievolirsi dei sintomi della depressione.  

Spesso si attribuisce la responsabilità di un suicidio alla depressione, ma le cose non stanno così e il fenomeno è più complesso. Una recente analisi pubblicata su Psychological Bullettin ha mostrato che esistono 50 fattori di rischio che possono avere un peso, tra i quali l’isolamento sociale è una delle cause più importanti. Da alcuni anni i suicidi dovuti alle condizioni di precarietà lavorativa si aggira intorno al 10-12% (dati Istat). Una percentuale enorme in condizioni “normali” che ora, in condizioni di emergenza dovuti alla pandemia del Covid 19, potrebbe anche essere superiore. Pochi giorni fa a Milano, un giovane senegalese di 25 anni si è lanciato nel vuoto dalla finestra di casa: aveva appena terminato la chiamata con il suo datore di lavoro, che a causa del calo del giro d’ affari era stato costretto a metterlo in cassa integrazione. D’altra parte lo stesso Durkheim affermava il lavoro è la base per il reinserimento del soggetto all’interno del gruppo sociale. Mancando il lavoro, l’uomo viene travolto dalla vergogna, non è più un cittadino.  L’inutilità sociale conduce a stati depressivi e desiderio di chiudere i rapporti con il mondo.

Ironia della sorte questa tragica fatalità è accaduta proprio all’interno di quello stabilimento che Stefania Ferraro nel Volume Suicidi (Mimesis edizioni) definisce la fabbrica del suicidio. Un luogo simbolo delle conseguenze delle passate politiche industriali fordiste, basate quasi interamente sul capitale e con bassa intensità lavorativa, che hanno creato una continua disperazione sociale legata al ricatto occupazionale. Nelle ultime settimane l’incertezza del futuro a causa dell’emergenza da Coronavirus che ha messo in cassa integrazione la maggior parte dei lavoratori, non fa altro che stimolare le fragilità di ogni lavoratore, non solo quelli dell’ex Ilva. La Fase 2 annunciata dal Governo non riuscirà a dare grosso respiro alla popolazione. Molte aziende infatti resteranno chiuse per ancora almeno un mese e molti lavoratori saranno obbligati a non uscire, restando in attesa di una cassa integrazione che sembra non arrivare mai. Il lavoro è stato posto in cima alla nostra Costituzione, nel primo articolo, ma oggi, soprattutto alla luce di questa emergenza che stiamo vivendo, è difficile pensarlo come elemento fondante. In questo senso, sarà molto importante che il governo operi soprattutto nell’ambito del reinserimento nel mercato del lavoro di chi lo ha perso o comunque è in bilico,  rimettendo al centro dell’attenzione l’esigenza di un programma di politiche economiche e di welfare molto più ampio e strutturato e che contempli le diverse categorie sociali: disoccupati, precari, famiglie, ma anche e soprattutto imprenditori, i quali saranno i principali protagonisti nel processo di ricostruzione e rilancio dell’Italia una volta fuori dall’emergenza Coronavirus.

Fonte foto: 105.net

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo