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MICAELA QUINTAVALLE DA PAZIENTE A MEDICO, CURARE PER VIVERE

Dopo l’interesse mediatico per la sua laurea, abbiamo voluto dar voce in modo più ampio a Micaela Quintavalle. Una vicenda nota la sua, almeno superficialmente. Con l’intenzione di andare oltre la superficie ci siamo recati a casa sua. Tutta la sua vita è appesa alle pareti. Ben visibile. Come nel suo stile.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Dopo l’interesse mediatico per la sua laurea in medicina, abbiamo voluto dar voce in modo più ampio a Micaela Quintavalle. Una vicenda nota la sua, almeno superficialmente. Con l’intenzione di andare oltre la superficie ci siamo recati a casa sua. Tutta la sua vita è appesa alle pareti. Ben visibile. Come nel suo stile.

La cosa che subito balza agli occhi è la sua laurea, il camice, la borsa da medico e “Orazio”.

Sarebbe naturale partire dalla laurea, dai confetti rossi, dalla gioia. Invece no, perché quella “della Quintavalle” non è una favola anzi è lei stessa che ti dice “Spesso la carrozza diventa zucca e allora devi decidere se rimanere ferma a piangere o continuare a piedi il cammino, con impegno e sudore. Perché sudore viene sempre prima di successo”. Gli applausi di oggi non compensano l’indifferenza e l’ostilità dimostrata da molti. Soprattutto nel 2018 dopo il licenziamento dall’Atac. La laurea in medicina è una vittoria personale della Quintavalle. Il suo licenziamento è una sconfitta collettiva, è stata licenziata per aver cercato di garantire la sicurezza del trasporto pubblico. La nostra sicurezza.

Viene quindi naturale chiederle cosa ha provato nel ricevere la notizia del licenziamento: “Ero a casa. Mi chiedono di scendere per ritirare una raccomandata. Una lettera di licenziamento che suona come una condanna a morte. Per fortuna il giorno successivo dovevo sostenere un esame, molto importante, in facoltà. Questo mi offre una scelta. Scelgo di sostenere l’esame, di rimanere viva nonostante il timore per un futuro totalmente incerto e volendo minaccioso. Ricordiamo che per tanti lavoratori il licenziamento ha significato letteralmente la morte. Io avevo me stessa, la mia famiglia, un percorso universitario. Tanti invece perdono il lavoro nella totale solitudine.”. La notizia del licenziamento corre veloce sul web. Un licenziamento che molti non capiscono. Licenziamento preceduto da un tentativo di compromesso: “Vengo convocata in Campidoglio, ricevo una proposta. Scusarmi pubblicamente, “cospargermi la testa di cenere”. Avrei ottenuto il reintegro e incarico nel personale di stazione presso la Metro. Con tanto tempo per studiare. Dopo aver valutato decido di rifiutare”. Perché rifiutare una proposta così favorevole dal punto di vista lavorativo? “Perché non era giusto. Significava rinnegare anni di impegno sindacale. Rinnegare me stessa. Puoi trovare un nuovo lavoro ma come ritrovi una parte di te che hai rinnegato?”.

La Quintavalle ha fatto incorniciare gli articoli che raccontano la nascita del sindacato che ha contribuito a fondare. Non ha gettato via nulla, non ha rinnegato nulla. Cosa volevi ottenere con questo nuovo sindacato? “Sicuramente non volevo essere un leader. Non volevo essere un simbolo. Volevo contribuire a creare una comunità consapevole dei propri diritti, che potesse sconfiggere la solitudine dei lavoratori. Capace di ritrovare D I G N I T A’. Capace di fare la scelta giusta, di lottare in maniera unitaria. Invece mi sono ritrovata a lottare da sola”. Potevi rinunciare e fare un passo indietro “Non sarei stata in pace con me stessa, non sarebbe stata la cosa giusta. Siamo abituati ad accumulare compromessi e amarezze che ci fanno star male perché guardandoci allo specchio non ci riconosciamo più. Io capisco e non giudico le persone, i lavoratori che hanno paura di far valere i propri diritti perché “hanno famiglia” ma ai figli è necessario lasciare anche un’eredità morale. Che non può essere fatta di sottomissione. ”. Ritorna questa parola, “giusto”. Fare la cosa giusta è ciò che ci viene insegnato da bambini, poi crescendo impariamo che la cosa giusta ha un prezzo. Molto alto.

A colpire l’attenzione sono alcune foto che ritraggono la Quintavalle con il Prof Massimo Fagioli. Psichiatra e fondatore della scuola romana di psichiatria “Per problematiche personali inizio un percorso con il Prof. Fagioli. Che applica una teoria tanto semplice quanto rivoluzionaria. Curare il malato psichiatrico come ogni altro paziente invece di gettarlo in discariche sociali. Negli anni 70 il dibattito sul trattamento delle patologie psichiatriche è acceso. Farmaci e reclusione nei manicomi sono l’unica soluzione offerta. Con la legge Basaglia i manicomi vengono chiusi ma continuano a mancare luoghi di cura. In questo contesto nasce l’approccio di Massimo. I seminari di analisi collettiva, l’interpretazione dei sogni come unico e genuino linguaggio del nostro inconscio. Soprattutto la “realizzazione della propria identità”. Negli anni rapporti tossici e violenti mandano in frantumi la nostra immagine interiore. Come un sasso contro uno specchio. Bisogna quindi ripartire dalla propria personalità. Vincendo la solitudine e il silenzio. Specialmente in situazioni di violenza, di disturbi alimentari, depressive. Esperienze che purtroppo ho sperimentato personalmente. Cercando di basare la propria vita su ciò che è giusto e bello. Essere una bella persona nel senso interiore del termine. Una sana forma di individualismo al servizio della collettività. Le cause del malessere interiore sono spesso esterne, la “cura” invece è sempre in noi stessi. Se avviciniamo una mano al fuoco immediatamente la ritiriamo perché ci scottiamo, al contrario abbiamo grande difficoltà nell’allontanare ciò che ci rende infelici. Ho provato sulla mia pelle come la necessità di dare priorità alle proprie aspirazioni non è egoismo o presunzione ma ti salva letteralmente la vita”. Un così interessante argomento merita maggiore spazio e lo tratteremo in un contesto più ampio e articolato con Micaela Quintavalle.

Visto che l’aver parlato di Fagioli le provoca evidente commozione, viene naturale una domanda forse poco delicata: ti rimproverano di piangere troppo pubblicamente, tu cosa rispondi? “Il pianto è un modo per comunicare ciò che è impossibile esprimere in altro modo. Sono le mie emozioni che comunico su uno spazio pubblico virtuale che è comunque casa mia. La comunicazione non verbale è essenziale. Anche la sessualità è una forma di comunicazione e di espressione della propria personalità, che troppo spesso viene repressa. Rimanendo in tema, vengo spesso accusata di “esibire la mia vita” sui social. La mia intenzione è semplicemente condividere emozioni e riflessioni. Ritengo che sia molto dannoso silenziare la propria voce interiore. Inoltre nessuno è obbligato a seguire i miei profili social”.

Terminiamo, per il momento, con una domanda banale e una risposta significativa , cosa hai provato quando sei stata proclamata dottoressa in medicina? “Delusione per il voto. Il voto di laurea è stato 106/110, potevo fare ancora meglio. Certamente è stata tanta la gioia e l’emozione per aver realizzato un progetto di vita. Non un sogno ma un progetto. Guarda, conservo ancora le dispense sul corpo umano che leggevo da bambina. Ho vissuto momenti in cui sono arrivata a considerarmi finita, annientata ma poi capisci che esiste sempre una cura. Curare è dare una nuova possibilità, che tutti meritano. Rudyard Kipling scrisse “Se riuscirai a riempire l’inesorabile minuto con un istante del valore di sessanta secondi, tua sarà la Terra”, lavorando in Pronto Soccorso ho compreso il senso di questi versi”.

Non deve stupire tanta genuina severità, Micaela Quintavalle pretende il massimo da se stessa. Poteva sedere in Parlamento, ha scelto di rimanere tra i lavoratori “per coerenza”. Non si tratta di “beatificarla”, negli anni ha mostrato un carattere a tratti spigoloso, tagliente. Semplicemente mette a disposizione di tutti le esperienze, anche estreme, del proprio vissuto. Secondo lo spirito dell’analisi collettiva di Fagioli. La stampa si occupa della Quintavalle perché deve avere anche un ruolo sociale, non solo dare notizia delle lezioni per parlare in corsivo.

Lasciamo casa della Dott.ssa Quintavalle e incrociamo lo sguardo vuoto di Orazio. Testimone silente della rinascita di una donna a cui pensavano di aver tolto tutto e a cui invece hanno donato la forza di realizzare un progetto di vita. Una rinascita che tutti noi possiamo replicare, “perché se ci sono riuscita io potete farlo anche voi”.

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