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Economia & lavoro

Lavoro: vittoria Cgil, Jobs Act viola Carta sociale europea, ripartire da art. 18

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CGIL.it

Comitato Europeo dei Diritti Sociali accoglie contestazioni Cgil

“Dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali arriva una buona notizia che rappresenta una vittoria della Cgil: l’Italia, con il Jobs Act, viola il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a ricevere un ‘congruo indennizzo o altra adeguata riparazione’ in caso di licenziamento illegittimo, così come sancito dalla Carta sociale europea”. È quanto fa sapere, in una nota, la Cgil nazionale a seguito della decisione del Comitato in merito al reclamo collettivo presentato nel 2017 dalla Cgil, con il sostegno della Confederazione Europea dei Sindacati.

“Il CEDS – si legge nella nota – ha accolto tutte le contestazioni espresse dalla Cgil e ha riconosciuto che il decreto legislativo n. 23/2015 è in contrasto con l’art. 24 della Carta sociale europea che sancisce il diritto alla reintegra per ogni lavoratore ingiustamente licenziato, oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno subito, senza ‘tetti’ di legge”.

“Il monito arrivato da Strasburgo – prosegue la Confederazione – è netto e ineludibile, smentisce l’impianto teorico del Jobs Act. Ora va ripensata la disciplina del licenziamento non domandandosi quale sia il regime più favorevole per le imprese, ma quali siano le tutele più adeguate per i lavoratori e le lavoratrici. La via da seguire – conclude – esiste già: il ripristino e l’allargamento dell’articolo 18, come da noi sostenuto nel progetto di legge di iniziativa popolare ‘Carta dei diritti universali del lavoro’, tuttora pendente in Parlamento”.

Nota tecnica a cura dell’ufficio giuridico della Cgil nazionale

Oggi, a seguito del Reclamo collettivo n. 158 del 2017 presentato dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro con il sostegno della Confederazione Europea dei Sindacati, il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha riconosciuto che l’Italia viola il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici a ricevere “un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione” in caso di licenziamento illegittimo. Il Comitato di Strasburgo censura in particolare il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo di cui al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act) applicabile agli assunti dopo il 7 marzo 2015 perché non garantisce una tutela adeguata al lavoratore, negando la reintegrazione o un pieno risarcimento del danno subito.

Il riconoscimento di queste violazioni costituisce una vittoria per i lavoratori e le lavoratrici, ma anche una smentita dell’ottica che ha guidato il legislatore del 2015 nel riformare la materia: quella di dare più certezza alle imprese quanto ai costi del licenziamento.

COSA DICE LA DECISIONE DEL COMITATO IN MERITO AL RECLAMO COLLETTIVO N. 158 DEL 2017

Il Comitato europeo dei diritti sociali ha deciso il Reclamo collettivo n. 158 del 2017 accogliendo tutte le contestazioni espresse dalla Cgil ed ha riconosciuto che il decreto legislativo n. 23/2015 è in contrasto con l’art. 24 della Carta sociale europea riveduta (Trattato internazionale che, insieme alla Convenzione europea dei diritti umani, completa il sistema di riconoscimento e di garanzia dei diritti umani fondamentali).

L’art. 24 della Cser sancisce il diritto di ogni lavoratore ingiustamente licenziato di ricevere una tutela effettiva e realmente  dissuasiva nei  confronti di comportamenti  arbitrari del datore di lavoro. Vale a dire che al lavoratore deve essere garantita la reintegrazione nel posto di lavoro oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno subito, senza “tetti” di legge che limitino il potere del giudice nel quantificarlo.

Il Comitato ha riconosciuto che il sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo configurato dal decreto legislativo n. 23/2015, anche dopo le modifiche apportate dagli interventi del legislatore (decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito nella legge 9 agosto 2018, n. 96) e della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 194 del 2018), resta privo dei requisiti di effettività (rispetto al ristoro dei danni subiti dal lavoratore) e deterrenza (rispetto al comportamento illegittimo del datore) richiesti dall’art. 24 della Cser. Infatti la legislazione italiana vigente esclude a priori la possibilità di essere reintegrati nella maggior parte dei casi di licenziamento (fatte salve alcune rare eccezioni) e fissa l’importo massimo dell’indennizzo erogabile al lavoratore: 36 mesi di retribuzione per i dipendenti di imprese medio-grandi; 6 mesi per quelli delle piccole imprese (cioè quasi la metà del totale della forza lavoro italiana). Ciò impedisce al giudice ogni possibilità di valutare e di riconoscere l’eventuale danno supplementare subito dal lavoratore a seguito del licenziamento.

Rilevante nella valutazione negativa della legislazione italiana è anche il ruolo del meccanismo di conciliazione introdotto dall’art. 6 del decreto legislativo n. 23/2015 (come modificato dal decreto legge n. 87/2018) nel ridurre ulteriormente la possibilità del lavoratore di ottenere un indennizzo adeguato. La norma, infatti, garantisce al datore di lavoro di evitare il giudizio offrendo al lavoratore una somma pari a una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, esentata da oneri fiscali e contributivi; una somma che di norma il lavoratore è indotto ad accettare perché verosimilmente non di molto inferiore a quella che può sperare di ottenere dal giudice. Ciò – secondo il Comitato – riduce ulteriormente sia l’effetto di deterrenza del regime sanzionatorio per il datore, sia l’adeguatezza dell’indennizzo per il lavoratore.

Il monito che giunge da Strasburgo è quindi netto e ineludibile. Smentito in radice l’impianto teorico posto a giustificazione del “Jobs act”, si tratta di ripensare la disciplina del licenziamento non domandandosi quale sia il regime più favorevole per le imprese, ma quali siano le tutele più adeguate per i lavoratori e le lavoratrici. E la via da seguire nel nostro ordinamento esiste già: è rappresentata dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dal quale è necessario ripartire.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo