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Economia & lavoro

Mercatone Uno: Terlizzi ha offerte, Bari no

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di FABRIZIO RESTA

Barbara Neglia, Segretaria Generale Filcams Puglia, ci spiega la crisi di Mercatone Uno

Dott.ssa Neglia, ripercorriamo per un attimo come si è arrivati alla crisi di Mercatone Uno

Tutto parte dalla crisi che si è determinata nel mondo del commercio, specie quello dei mobili. Ci sono una serie di competitor che si affermano sul territorio, prima tra tutti l’Ikea. Questo ha portato all’utilizzo della cassa integrazione e contratti di solidarietà per poi trovarsi ad avere un vero e proprio buco, determinato dal fatto che l’azienda, gestita dai Cenni, va in bancarotta (i Cenni sono stati proprio in questi giorni assolti dall’accusa di bancarotta fraudolenta, n.d.r.). Mercatone Uno così va in amministrazione straordinaria che aveva il compito di provare a sanare i debiti e di riassegnare l’azienda, tramite bandi. Addirittura ne fanno due ma entrambi vanno deserti.  Ci si è trovati quindi ad un bivio: o si cambiava le modalità dei bandi o si dichiarava il fallimento. Nel 2018 la Shernon Holding, società composta da più soci con capitale anche estero, rileva una parte dei punti di vendita (Mercatone Uno contava ben 56 negozi in tutto il territorio nazionale, n.d.r). Gli altri 14 negozi (per lo più quelli di abbigliamenti sportivi) li rileva la società Cosmo. La Shernon effettua subito degli ammodernamenti ma è convinta che l’unico modo per rilanciare l’azienda è tagliare il costo del lavoro, tramite la riduzione degli orari. Questa modalità comunque non ha permesso che il pregresso debitorio fosse sanato. È da questo momento che comincia il declino dell’azienda che in appena 8 mesi brucia ben 90 milioni di euro.

Com’è potuto succedere?

La situazione non è stata ancora ben acclarata ma sicuramente sono stati presi dei capitali.  Inizialmente la merce arrivava da un’azienda esterna che faceva capo a Malta. Successivamente scopriamo che Malta è anche il punto logistico principale della Shernon. Nel frattempo la nuova società investe, chiede finanziamenti allo scopo di rivalutare il marchio Mercatone Uno. È in questo periodo che si crea il buco. Noi non abbiamo ancora cognizione di cosa sia potuto accadere per giustificare la sparizione di questi soldi. Noi sappiamo soltanto che all’inizio la proprietà decise di fare una grande svendita, con sconti superiori al 50% ma non della merce vecchia bensì di quella appena acquistata. Ad un certo punto si è cominciato a capire che qualcosa non andasse. Nel momento in cui si facevano gli ordini, la merce veniva consegnata con forti ritardi, anche perché c’era una situazione debitoria pregressa con i fornitori. Questi ultimi all’inizio hanno dimostrato di voler reinvestire su questa società, sperando di poter recuperare parte del danno creato dai Cenni. Successivamente però, i fornitori hanno cominciato a capire che le speranze erano vane e hanno cominciato a bloccare le consegne. Lo scorso 24 maggio c’erano in attivo ben 20.000 ordini. Nessuno di questi saranno mai evasi. Ci sono delle indagini in corso ma nessuno sa esattamente cosa sia successo.

Ad un certo punto i dipendenti vengono avvisati via social della chiusura…

Con un messaggio Whatssap. La sera precedente (23 maggio, n.d.r.) i dipendenti hanno finito di lavorare alle 21:30. Verso mezzanotte arriva loro il messaggio di non aprire l’indomani. I Sindacati sono stati tenuti all’oscuro, almeno fino a quando i dipendenti non ci hanno chiamati per informarci dell’accaduto.

Cos’è mancato secondo lei? Come si poteva evitare questa situazione?

È mancata una forma di controllo. Prima del passaggio a Shernon non c’è stato un controllo sull’azienda a cui stavano affidando il Mercatone Uno, soprattutto sula sua sostenibilità. Probabilmente è anche mancato il controllo sull’ acquisizione dell’azienda, una sorta di certificazione di quello che stava accadendo e di come la Shernon stesse riorganizzando.

Il 7 febbraio avete partecipato in diretta alla trasmissione de la 7 “L’aria che tira” dal punto di vendita di Terlizzi con i lavoratori. Qual è la situazione attuale dei dipendenti?

I lavoratori, alla chiusura del 24 maggio, sono rimasti comunque in forza all’azienda. Tanto è vero che lo sono ancora. Non di Shernon perché c’è stata la retrocessione del ramo d’azienda nuovamente ai commissari straordinari, che nel frattempo sono anche cambiati. Il passaggio in amministrazione straordinaria ha permesso l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Fintanto che si potevano utilizzare, il nostro impegno è stato finalizzato a questo.  La trasmissione ha fatto rievocare tanti ricordi, purtroppo anche situazioni di malessere. Ci sono persone che ci lavoravano da 25 anni. Tornare dopo tanto tempo sul posto di lavoro, seppur fuori dai cancelli fa effetto, è indiscutibile. Loro sono in cassa integrazione con il parametro orario ridotto. La 1000 proroghe del 2019 ha dato la possibilità di riconoscere il differenziale rispetto al loro parametro originario di assunzione ma solo per il 2019. Stiamo parlando, tra l’altro di lavoratori la cui età anagrafica è abbastanza alta, con una media che supera abbondantemente i 40 anni. Hanno dato il giusto spazio alle famiglie, ai mariti, alle mogli. Quella giornata era per loro. Io ero accanto a loro ma non ho voluto intervenire perché era giusto che in quell’ambito loro potessero avere il loro spazio per dire come stessero vivendo, quali fossero i loro sentimenti. Fermo restando che la situazione di Terlizzi è meno drammatica di quella di Bari, perché ci dicono che su Terlizzi ci sono delle offerte che sono al vaglio degli attuali commissari straordinari, così come su quelle fatte alle altre sedi. Bari è l’unico punto vendita che non riceve offerte. Inoltre, abbiamo recentemente scoperto in occasione di un incontro in task force regionale che i proprietari dell’immobile di Barimax non percepivano il fitto da tre anni. Il problema è molto serio perché a fine cassa integrazione, qualora non ci dovessero essere soluzioni alternative, per i lavoratori di Bari si prospetta soltanto la lettera di licenziamento. Anche perché il negozio di Bari aveva una particolarità: la licenza di vendita era connessa all’immobile. Normalmente la licenza viaggia con i lavoratori e con l’azienda che subentra. Così invece la società immobiliare ci dice che la retrocessione e il riprendersi in mano i locali non permetterà loro di far passare i lavoratori, secondo quanto previsto dal Codice civile art. 2112, dalla vecchia azienda a quella nuova. Come sindacati avevamo chiesto di prenderli in carico loro in attesa della nuova società ma non si può fare perché la loro attività non è prevalentemente commerciale.  Quindi oggi ci sono i lavoratori che sono in cassa ma che non hanno un futuro. Il nostro impegno ma anche della stessa società immobiliare è di trovare qualcuno che affitti il locale (di c.a. 5000 metri quadri) che possa anche assumere i dipendenti ma legalmente non c’è possibilità di obbligare all’assunzione. Tra l’altro è oggettivamente difficile far visionare il locale ad un possibile acquirente perché c’è ancora la merce dell’azione fallimentare.

Cosa vi sentite di dire ai lavoratori di Bari?

È una bella domanda perché è difficile riuscire a dare una risposta. Spero che la vertenza si chiuda nel migliore dei modi. Che le offerte possa vedere la luce di una nuova esperienza pur consapevoli che la prossima azienda che si affaccerà non si occuperà più dei mobili. Io continuo a dire loro di crederci ma di approfittare di qualsiasi treno che passi loro davanti perché purtroppo la certezza sull’esito della vertenza non la può dare nessuno.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo