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Editoriale

Brusca e la legge che fa discutere

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di Mario Gianfrate

La scarcerazione di Giovanni Brusca, pentito di mafia, ha suscitato, com’era prevedibile, una levata di scudi da parte della pubblica opinione e, anche, di parlamentari che pure dovrebbero conoscere le leggi dello Stato per non apparire, poi, come “ignoranti” che non sanno quali leggi regolano una materia così complessa. Invece di scandalizzarsi, eventualmente ne propongano l’abrogazione o l’adozione di altre sostitutive di quelle esistenti. In fondo, è loro compito ma anche, loro dovere.

Comprendiamo le ragioni che sono alla base della protesta e, istintivamente, le condividiamo: un criminale rimesso in libertà genera, sempre, reazioni legittime; soprattutto quando si tratta di personaggi come Brusca che si è macchiato di delitti orrendi e di una ferocia inaudita. E questo vale ancor più per i familiari delle vittime che hanno pagato un prezzo altissimo in questa vicenda.

Può, però, la “vendetta” essere da guida in simili circostanze? Per il diritto su cui si fonda una società civile non può esserlo, essa pretende solo che si faccia giustizia, che si applichino le norme giuridiche. Null’altro.

Brusca ha realizzato un percorso di collaborazione con la giustizia e, con le sue confidenze, ha consentito di smantellare alcuni santuari di Cosa Nostra e, quindi, ha beneficiato di una serie di abbuoni e di condoni di pena previsti da una legge voluta – come ha opportunamente ricordato la sorella nei giorni scorsi – da Giovanni Falcone, uno dei simboli più nobili della lotta alla mafia che ha pagato con la vita la ricerca della giustizia per la legalità.

Quello che dobbiamo, invece, esigere oggi è che Brusca – soprannominato Scannacristiani – sia sottoposto a costante controllo da parte degli organi preposti dello Stato perché non torni a delinquere e a spargere nuovo sangue innocente. Questo lo pretendiamo!