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Editoriale

Niente tutele, siamo giovani

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di Lavinia Orlando

Il leitmotiv dell’avvio della stagione calda è rappresentato, oramai da qualche anno a questa parte, dalla denuncia dei gestori di ristoranti ed alberghi inerente la difficoltà di trovare personale. 

Lo chef di turno per il 2022 è il noto La Mantia che ha parlato di “assenza cronica di personale”, “80 colloqui nelle ultime settimane, ma niente. I ragazzi non ne vogliono sapere”, “le prime domande che mi sento fare ai colloqui sono: posso avere il part time? e posso non lavorare la sera?”. Secondo lo chef, i ragazzi non sarebbero sfaticati, bensì avrebbero semplicemente “cambiato mentalità”, poiché riterrebbero adesso “più importante avere tempo” (come da intervista pubblicata sul Corriere della Sera). 

Il noto ristoratore riferisce, altresì, di assicurare “paga base pari ad € 22.000 lordi l’anno, per turni di 8 ore, con straordinari pagati”, circostanza che non farebbe altro che incrementare il suo stupore circa la reticenza di massa. 

Delle due, l’una: o i nostri giovani sono davvero totalmente ingrati e poco avvezzi al lavoro o La Mantia narra di un universo parallelo in cui risiederebbero solo lui ed i suoi ristoranti. 

Partendo dal disturbo che scaturisce dall’idea per cui sarebbe ordinario che ragazzi non ancora diplomatisi debbano già essere votati al sacrificio e costretti a rinunciare a quella spensieratezza che dovrebbe essere parte imprescindibile della loro crescita, duole constatare che, viste le migliaia di esperienze di cui siamo circondati, la seconda alternativa sia, purtroppo, la più veritiera. 

Sia chiaro che nessuno dubita dell’assoluta correttezza dello chef stellato, ma siamo certi che il suo modus operandi sia quanto di più raro esista nel nostro Paese – e non solo nel campo della ristorazione. 

Se i giovani preferiscono stare a casa, è perché la realtà è ben differente rispetto a quanto narrato da La Mantia: turni di lavoro massacranti (molto più di 8 ore) e sottopagati, straordinari e tutele minime inesistenti, salari comunque sproporzionati rispetto al costo della vita, rapporti inesorabilmente precari. Se a ciò si aggiunge un orario lavorativo che coincide, nella maggior parte dei casi, con l’orario di svago e di libertà di gran parte della popolazione, è chiaro ed evidente che la situazione diventa ancora più grave. 

Ad adiuvandum, è circostanza nota che precarietà e lavoro a nero vadano di pari passo con incidenti e morti sul lavoro: i secondi aumentano in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei primi. Fanno, dunque, ancora più riflettere i dati Inail pubblicati in occasione della da poco trascorsa “Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro”, dai quali si evidenzia un incremento del 50% degli incidenti sul lavoro nel primo trimestre del 2022 rispetto al medesimo periodo del 2021. Va sa sé che i numeri andrebbero ancora di più ad aumentare considerando i tanti incidenti non denunciati – vuoi perché frutto di rapporti a nero, vuoi per scelta o imposizione del datore di lavoro. 

A tale quadro già devastante, deve aggiungersi l’ulteriore problematica di discriminazioni e vessazioni riservate alle lavoratrici femminili, condannate, per il solo fatto di essere donne, ad un surplus di maltrattamenti, soprattutto morali, indecenti per un Paese civile. La vicenda della direttrice del supermercato che ha letteralmente obbligato le proprie dipendenti a calarsi gli indumenti intimi per comprendere chi tra di loro avesse il ciclo mestruale e, dunque, fosse tra le maggiori indiziate della terribile colpa di aver abbandonato un assorbente usato fuori dall’apposito cestino, non è che l’ultimo tra i tanti esempi possibili. 

Alla luce di quanto elencato, non ci resta che chiedere al La Mantia ed a tutti gli altri ristoratori con lui concordi di scegliere se, laddove si trovassero nelle medesime condizioni della maggior parte dei nostri giovani, preferirebbero votarsi ad un lavoro estenuante, sottopagato, privo di tutele, colmo di vessazioni ed a rischio di incidenti o resterebbero a casa, privi di stipendio, ma, almeno, al sicuro e con un sorriso, seppure amaro, stampato sulle labbra. 

Buon 1 maggio!

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