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Editoriale

Oltre il doppio cognome

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Credit foto https://www.cinquecosebelle.it/cinque-film-sul-tema-dell-emancipazione-femminile-in-italia-oggi/

di Lavinia Orlando

Uguaglianza formale ed uguaglianza sostanziale. Sono questi i due pilastri su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico, come da articolo 3 della Costituzione. Se la prima è propedeutica alla seconda, la seconda rende effettiva la prima e le consente di spiegare la sua concretezza, garantendo (rectius, tentando di garantire) un profilo di uniformità nella diversità tra cittadini.

In questo modo potrebbe essere efficacemente spiegata la recente sentenza della Corte Costituzionale sull’attribuzione automatica ai figli del doppio cognome dei genitori nell’ordine da essi deciso, salvo che gli stessi stabiliscano, di comune accordo, di assegnare un solo cognome e salvo l’intervento del giudice nel caso in cui non ci fosse accordo sull’ordine di assegnazione dei due cognomi.

La pronuncia è estremamente rivoluzionaria, come sovente – ma non sempre – accade con riferimento alle decisioni della Consulta, perché scardina uno dei tanti capisaldi della cultura patriarcale di cui è ancora inesorabilmente imperniato il nostro Paese. Purtuttavia, essa agisce esclusivamente sul piano dell’uguaglianza formale – articolo 3, comma 1, della Costituzione: “Tutti i cittadini…sono eguali dinnanzi alla legge, senza distinzione di sesso…”.

Il problema persistente è l’assenza di uguaglianza sostanziale, che purtroppo non si raggiunge con una semplice pronuncia giudiziaria, per quanto innovativa ed al passo coi tempi essa possa essere.   

Al di là del plauso di rito che va riconosciuto ai giudici costituzionali, la palla non può che passare alla politica che continua a latitare – e non solo e non tanto per normare la questione relativa al doppio cognome, con tutti i dubbi procedurali ad essa connessi.

La politica deve intervenire per far sì che venga attuato anche il secondo comma del sopra citato articolo 3, che così recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Quanto la realtà, con riferimento alla condizione femminile nel nostro Paese, sia lontana dalla statuizione appena riportata è sotto gli occhi di tutti. Violenza di genere che continua ad imperversare, foraggiata da una cultura patriarcale che non cede e che non sarà di certo un doppio cognome a soppiantare definitivamente. Distanze ancora incolmabili sotto il profilo della retribuzione e, più a monte, dell’accesso al lavoro. 

Il mese di maggio si è aperto con ben quattro femminicidi. Trattasi di storie differenti, ma con un unico filo conduttore: la convinzione, da parte degli autori, di poter usare ed abusare della donna a proprio piacimento, come se fosse un oggetto di proprietà, a cui non è assolutamente concesso dire di no o ribellarsi. 

Analogamente, nel settore lavorativo permane l’enorme divario tra donne e uomini, con le prime che, secondo dati Svimez, guadagnano in media il 27% in meno degli uomini, con percentuali che salgono quando si tratta di Meridione.

Ben oltre il doppio cognome, il nostro Paese necessita di interventi di portata sostanziale, che spazino dall’ausilio alla conciliazione tempi famiglia – lavoro all’educazione di genere che dovrebbe partire sin dalla scuola dell’infanzia. 

Non sarà la concessione del cognome materno ad assicurare l’emancipazione femminile, ma un insieme di misure sociali e culturali sulla cui urgente approvazione ed applicazione non c’è più nulla da disquisire. 

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