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Esteri

“Che si dice in Russia?”

Analisi della propaganda russa in Russia. Fortunatamente in occidente tutti possiamo esercitare indistintamente il nostro diritto alla libertà di parola, tuttavia, mentre noi possiamo tranquillamente animare il dibattito politico in piazza, sui social, al bar, o in qualsiasi altro luogo adibito alla vita pubblica, talvolta anche impropriamente attraverso il ricorso al turpiloquio, i cittadini russi non hanno la stessa possibilità di potersi esprimere liberamente. Torna allora alla mente una vecchia battuta inventata durante il ventennio fascista, quando la dittatura, “l’oligarchia del partito”, era in atto da queste parti, in Italia:
– Come si sta in Russia?
– Mah, non mi posso lamentare…
– Ah, bene!
– No, non mi posso lamentare…

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Nella foto, vigili del fuoco ucraini in mezzo alle devastazioni causate dai bombardamenti. Autorizzazione al trattamento dell'immagine concessa dal blogger Ucrainarussianews.

di Alessandro Andrea Argeri

Guerra, bombardamenti, devastazioni, profughi, morti. No, nulla di tutto questo viene raccontato dalla propaganda russa, per mezzo della quale il regime guidato da Vladimir Putin pare voglia chiudere i propri cittadini nella bolla della (non) consapevolezza. Ma quindi: “che si dice in Russia?”.

Devastazioni in una cittadina Ucraina. Un vigile del fuoco cammina tra le macerie. Autorizzazione al trattamento dell’immagine concessa dal blogger Ucrainarussianews.

Precisazioni iniziali

Prima di cominciare con la lettura del qui presente articolo bisogna tenere a mente un aspetto importante per una comprensione quanto più completa possibile degli avvenimenti attualmente in corso di sviluppo: Putin non è la Russia, nonostante il primo tenti di identificarsi con la seconda. Quest’ultima non è un regime dittatoriale, ma il popolo comprendente più etnie al mondo, dotato di una cultura estremamente variegata, di letteratura, di arte, di filosofia, di tradizione, di una storia di sperimentazione politica. Quello in atto in queste ore è un conflitto contro la leadership, non contro la popolazione, nonostante a pagarne le conseguenze sia, come al solito, la gente comune.

Certamente è raro vedere un cittadino russo in Russia esprimersi liberamente, parlare apertamente di quanto pensa davvero, d’altronde nessuno dotato di buon senso punterebbe mai il dito verso il proprio oppressore o ammetterebbe di disprezzarlo se nel mentre si ritrova con una pistola puntata alla testa. Dietro la finta ammirazione per il Presidente si nasconde in molti “sudditi” un odio recondito, latente, nascosto, segreto, il quale per ovvi motivi non può essere palesato.

Un riepilogo degli eventi

Negli ultimi giorni, con la sua politica aggressiva culminata con l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha accelerato il processo di progressivo (auto)isolamento economico, comunitario, comunicativo. Malgrado le “ottimistiche” previsioni di Vladimir Putin, quasi tutto il mondo si è schierato dalla parte dell’invaso anziché dell’invasore. USA, Europa, NATO, più altri alleati vari in questo momento sono al lavoro per inviare milioni di aiuti umanitari, mentre il dibattito si focalizza persino sull’invio, lecito o meno, di materiale bellico da parte di un’istituzione fondata per mantenere la pace. Inoltre, l’economia russa è sul punto di “collassare”, più o meno, sotto i colpi di una quantità di sanzioni mai viste prima, secondo gli analisti le più pesanti attuate nella storia della globalizzazione.

Se nel V secolo a. C i popoli dirottavano le navi cariche di vasi di ceramica per attuare varie forme di “embarghi economici” ai danni delle popolazioni giudicate ostili, ora una grande comunità di Stati nazionali esclude le principali banche dai pagamenti internazionali, ritirano le proprie multinazionali, creano disoccupazione, inflazione, aumento dei beni di prima necessità, con l’obiettivo di vincere una guerra senza sparare un colpo. Nel momento in cui scrivo questo articolo, il rublo rispetto alla moneta europea vale 0,0065 euro, però nulla esclude un ulteriore crollo al momento della pubblicazione. Ad ogni modo, la moneta è già collassata al minimo storico. A tal proposito le agenzie di rating hanno abbassato il punteggio della Federazione a “CCC-“, ovvero “rischio default”. La borsa di Mosca è stata chiusa, i tassi di interesse sono stati aumentati, la popolazione è stata costretta a cambiare la propria valuta estera in quella nazionale. In pratica, mentre nei primi giorni di guerra in Ucraina si creavano le code ai supermercati, in Russia i cittadini-sudditi si radunavano davanti ai bancomat, i quali tuttavia non erogavano contanti.

Nella Federazione c’è un’enorme disuguaglianza di distribuzione della ricchezza, infatti tutte le grandi aziende dello Stato sono in mano a un ristretto gruppo di “aristocratici”, gli “oligarchi”, o comunque di loro prestanome. Per chiarirci, in Italia gli stessi verrebbero chiamati “Casta”. L’economia si regge quasi solo sulle esportazioni, il Pil Russo è inferiore a quello dell’Italia, il cittadino comune prima della guerra aveva un reddito di 450 euro con una qualità della vita nettamente più bassa di quella europea. Politicamente lo Stato di diritto non esiste, il sistema politico non prevede la partecipazione dei cittadini: dagli anni duemila ad oggi ogni oppositore del regime è stato sistematicamente eliminato.

Il default non è certo, tuttavia, se dovesse verificarsi, a pagarne il prezzo non sarebbero gli oligarchi, né tantomeno Putin, bensì i cittadini comuni. Le sanzioni possono provocare proteste, ma anche guerra civile. Non a caso le code si sono registrate anche davanti ai negozi d’armi, perché si teme possano esserci atti di vandalismo generati sia dalla povertà sia dal caos. La tattica ormai nota dell’Europa per vincere la guerra è quindi quella di creare un insostenibile malcontento nella popolazione, affinché lo Zar sia destituito dai suoi stessi sudditi stremati, affamati, arrabbiati.

Come viene giustificato tutto questo?

Fino al 23 febbraio nella televisione russa non si parlava di invasione ucraina, fattore da cui gli analisti occidentali, soprattutto americani, furono fortemente destabilizzati per le loro previsioni. Il giorno dopo, invece, al varcare del confine da parte dei carri armati, i giornali, le radio, i siti di informazione cominciarono a ripetere la propaganda di Putin: le truppe sono impegnate in una “missione speciale” per denazificare l’Ucraina, accusata di genocidio ai danni della popolazione russofona del Donbass. Dunque l’invasione non viene raccontata, semplicemente perché “non c’è, non è mai avvenuta, la Russia non bombarda l’Ucraina, è quest’ultima ad essere entrata in guerra con il Donbass”. Si spiegano allora le dichiarazioni del 10 marzo del ministro degli esteri russo Serjei Lavrov, in cui ha espressamente detto: “non abbiamo attaccato “Ucraina”, il tutto proprio mentre le città venivano bombardate.

Quasi tutti i media indipendenti sono stati chiusi in un solo giorno. Il regime di Putin cerca di sopprimere la libertà di stampa, d’opinione, di pensiero. La Duma aveva già approvato nel 2019 una legge utile a punire chi criticava l’operato del governo, le istituzioni, o pubblicava informazioni false. A chi spetta di decidere della veridicità delle informazioni? Al governo. Diventa però complicato raccontare una realtà diversa da quella effettiva se sui social circolano informazioni diverse, pertanto tutti i grandi canali internet sono stati chiusi, mentre i cittadini sono obbligati ad informarsi soltanto attraverso fonti ufficiali, ovvero sempre quelle governative. Per esprimersi si parla la neo lingua di Orwell, è proibito infatti l’uso di parole come “guerra” o “invasione”, inoltre è stata approvata una legge sulle “fake news”, per la quale chi diffonde notizie ritenute false dal regime rischia fino a quindici anni di carcere.

In questa situazione forzata di allineamento dei pareri alla propaganda, l’unica voce di dissenso è stata quella di Novaya Gazeta, periodico russo libero e indipendente, da sempre opposto al regime, dove hanno lavorato i più famosi oppositori di Putin, molti dei quali eliminati con avvelenamenti o “improvvisi arresti cardiaci”. Tuttavia, con l’introduzione della legge sulle “fake news” anche questo canale di comunicazione ha dovuto smettere di raccontare la guerra in Ucraina per concentrarsi solo sulle conseguenze socio-economiche.

Eppure le sanzioni imposte dall’occidente sembrano funzionare, almeno in parte. Il popolo russo ha protestato in oltre sessanta città, nell’ultima settimana circa ventimila persone sono state condannate. L’atteggiamento della polizia, sommato a quello della guardia nazionale, è estremamente violento, con dichiarati casi di torture nelle carceri. Oltre alla legge sulle “fake news”, è stato introdotto un altro decreto sul “tradimento della patria”, crimine per il quale la pena può variare dai vent’anni di reclusione all’ergastolo. I media mostrano dunque immagini in cui a Kiev, a Mariupol, a Odessa non avvengono bombardamenti, quindi secondo la propaganda russa questo non è mai avvenuto:

in questo video, pubblicato sull’account ufficiale dello stato dell’ucraina, si può vedere la netta differenza tra le due narrazioni.

La censura di Mosca si applica anche sui caduti al fronte. Ogni informazione sulle perdite è considerata “segreto di Stato”, i cui numeri dei morti sono nettamente inferiori rispetto alle stime occidentali: 498 contro sei o settemila. Funerali vietati alle famiglie dei giovani militari, anche in assenza del corpo deceduto: nemmeno il diritto di piangere. Le madri non riescono ad avere informazioni sui propri figli. “Impegnato in operazioni fuori dal luogo di normale dislocamento”, rispondono le istituzioni.

Quindi, per riassumere, attualmente la situazione in Russia è la seguente: circa seimila famiglie hanno perso i propri figli, il ritiro delle multinazionali occidentali ha causato un consistente aumento della disoccupazione, il rublo vale meno dei tovaglioli di carta, chi protesta rischia il carcere, mentre le famiglie non possono sapere se i propri figli sono vivi o morti. Tra gli arresti, figurano anche dei “pericolosissimi” bambini, colpevoli di aver portato dei fiori all’ambasciata ucraina. Ci sarebbe poi un’anziana “sovversiva”, già sopravvissuta ad Hitler nei campi di sterminio. Quest’ultima avrebbe commesso l’errore di manifestare in piazza con “minacciosissimi” cartelli inneggianti alla pace.

Non possiamo ancora immaginare quali saranno le sorti del conflitto. Certamente il destino del popolo ucraino si è ormai legato a quello dell’occidente libero. Anche chi in questo momento sostiene l’invasione rischia di perdere il lecito diritto di esprimere la propria opinione, possibile solo in democrazia, perché noi, l’Europa, non siamo “il progetto di Putin”.

Fonti:

https://novayagazeta-ru.translate.goog/?_x_tr_sl=ru&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

https://www.corriere.it/esteri/22_marzo_10/censura-mosca-caduti-fronte-zero-notizie-funerali-vietati-1da7b9ce-a09c-11ec-83b4-cf7e2400b5e9.shtml

https://www.ilpost.it/2022/03/10/sergei-lavrov-russia-attacco-ucraina/

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).