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Oasi Culturale

“Biancaneve nel Novecento” di Marilù Oliva

Benvenuti su “Oasi Culturale” rubrica de il sudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana parleremo del romanzo “Biancaneve nel Novecento” di Marilù Oliva.
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Credit Google/Ibs

di Sara D’Angelo

Un romanzo completo di tutti i requisiti per essere libro di testo nelle scuole si rivela al primo sguardo attraverso l’immagine di copertina. Il titolo e la donna disegnata al limite del cartoon annunciano con l’inganno una favola che non c’è.
“C’era una volta…” apre così l’incipit ufficiale della fiaba sussurrata allo stupore ingenuo di un bambino. Fate, castelli, principi e regine seguono un format ripetuto in serie come se fossero piccoli gnomi operativi nel laboratorio di solo zucchero e miele. Così da sempre, nella realtà quasi mai, anzi. Sotto la corona del sole ci sono principesse scalze costrette ad abbandonare il castello gremito di orrori mascherati da perle.
Candidato al Premio Strega nel 2021, il romanzo “Biancaneve nel novecento” di Marilù Oliva srotola il lato contrario della favola attraverso due voci le cui intime confessioni proferite in tempi diversi danno forza all’interazione tra epoche lontane.
“Gli anni ottanta sbocciavano come una promessa di mite ferocia e nella mia testa tutto cominciò con una rosa del deserto”.


La “favola” diventa “storia” quando i colori sbiadiscono sotto le vernici sinistre rovesciate sulle ali della fantasia. Il rapporto madre-figlia nasce favola già dal primo incontro tra due sorrisi ansiosi del nuovo mondo dietro la porta. La metamorfosi in storia si concretizza da una terza presenza infiltrata nelle loro vite: il dolore.
La figura di Candi richiede dosi massicce di empatia verso una donna che, rimasta vedova di Giovanni (un ex pugile napoletano trapiantato a Bologna), distrugge l’ago della bilancia per mantenere l’equilibrio domestico in pieno vigore. Con la perdita del padre la piccola Biancaneve entra a piccoli passi nella storia, lasciando dietro di sé la favola che per prima l’ha resa preziosa protagonista.

Crescere in un ambiente intriso di dolore matura in fretta il frutto dell’albero mettendolo a rischio di marcire molto prima di essere raccolto. Così Biancaneve scrive da sopravvissuta di una favola bruscamente interrotta. La parte affettiva rimastale accanto non può darle (o non vuole) la coperta di calore abbandonata sul letto di un’adolescente impreparata alle brutture del mondo.
Bianca esposta al sole ghiacciato da troppa neve cristallizzata sulle emozioni.
Cosa non è l’affannosa battaglia di una bambina in tutte le fasi della crescita? L’amore che manca sarà registrato come un debito fruttuoso di assenze, la lunga processione di traumi con i primi appuntamenti della vita.
Così la favola di una bimba di quattro anni diventa storia di una donna nel racconto del calvario comune a troppe “lei” cadute nel pozzo dei desideri ingannati.


Come Bianca, Lili. Due donne divise da decenni incrociano lo stesso percorso maturato da sofferenze. Il vestito liso di Biancaneve salta sulla debolezza infelice di Lili, una ragazza vis à vis con la seconda guerra mondiale. È più mostruoso il suo matrimonio nullo
che l’arrivo dei soldati nazisti nel giardino di casa. Smembrano l’unicità della pace con l’ orrore dei tozzi di pane abbandonati a se stessi. Quel pane lo mangeranno i topi, gli uomini e le donne saranno deportati nei lager. Lili conoscerà il laboratorio di sterminio di Buchenwald, a pochi chilometri da Weimar, nella Germania centro-orientale. Quel roveto di morte fu uno tra i più grandi campi di concentramento della dittatura nazista.


La storia ritorna portando con sé il comando di cancellare gli ultimi acquerelli della favola già macchiati da torture fisiche e psicologiche. Lili nuota nel fango dell’umanità vestita di pelle e ossa, tanto generosa quanto avida nella pretesa della restituzione del dono. Dentro il lager di Buchenwald la giovane viene violata della dignità femminile, poi reclusa nel girone infernale di un bordello per soddisfare i piaceri più turpi dei soldati tedeschi.
Crivellata dalla guerra, quale favola potrà mai raccontare l’Europa? Lager e trincee, matrigne esecutrici di ordini promulgati dal principe delle tenebre. Se visse qualcuno, i cancelli dei lager furono aperti a scheletri moribondi.
“In quel modo violento ripresi la parola: e imparai che, quando viene reciso un fiore, da tale rottura può nascere una linfa vitale”.


Fuori dalla favola Lili vivrà il presente contagiato da un numero imbalsamato sul braccio. La memoria prodiga di umiliazioni annulla ogni schizzo di futuro.
“Perfino l’inferno può sembrare attraente quando sei costretta a morire giorno dopo giorno come una bestia affamata e infreddolita”.
Due vissuti paralleli attraversano mezzo secolo per disquisire sulla bellezza della Fiaba violentata dalla Storia, due donne prese di mira dalla “selva oscura” travestita di cielo.
Il valzer delle generazioni oscilla sulle note gemellate con lo specchio del sè proiettato sul prossimo poi, la musica non fa domande, lascia che il suono si abbandoni all’aria che vorrà essere.
Sull’orlo del baratro la forza riemerge slegata dalla catena invisibile che, anziché proteggere, ha compilato il curriculum di una guerra personale combattuta con la corazza di due donne che hanno demolito il muro del miracolo impossibile.


La scrupolosa scrittura porta a distinguere l’eroina bianca assassina dall’indole meno subdola della cipria al veleno, purtuttavia capace di mantenere pulsante il reticolato di vene.
Non sarà stato semplice sovrapporre il passaporto degli anni ’90 al tatuaggio indelebile degli anni ’40, la traiettoria del labirinto non scelto ma ossessionato dal vento contrario si riconosce allo specchio della sofferenza in comune.
“Noi siamo quello che la vita ha combinato o meno coi nostri incontri, con le nostre emozioni e con i vuoti, con le nostre speranze, con le nostre fobie e con i nostri guai. Nessuno può sfuggire”.

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