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Oasi Culturale

“L’acquaiola” di Carla Maria Russo

Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo.
Questa settimana parleremo del romanzo “L’acquaiola” di Carla Maria Russo.
Se vi va, scriveteci: redazione@ilsudest.it

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di Sara D’Angelo

Sopravvivere alla vita è il messaggio in dono finemente ricamato sui veli preziosi della culla. Presto, molto presto quei piedini profumati di nuovo muoveranno i primi passi nel mondo atteso quasi quanto il biberon pieno di latte dopo tre ore di sonno. Del destino si parlerà poi, si invocherà la mano divina che lo ha scritto sul quaderno della compassione, oppure a margine di un appunto schizzato sopra un pezzo di carta dimenticato sul tavolo. Chiamarla sorte si può o si deve? E la fede? L’obbedienza alla volontà di Dio socchiude gli occhi all’anima intrisa di ribellione?
Certo è che il destino di Maria, quindici anni e un’alba  ancora fresca ma tutta in salita, calpesta il filo d’erba privo di ogni speranza di fondersi in un rigoglioso giardino. Maria vive in un piccolo paese dell’appennino centro meridionale, si prende cura del padre anziano e malato, svolge piccoli lavori che le consentono di mantenere limpida la sua immagine allo specchio.


Maria vive sopra le spine eppure mai un lamento, mai una smorfia di dolore per la profonda ferita dell’anima. Non c’è tempo per perdersi dietro i sogni estranei alla notte, il senso del dovere si è accaparrato tutte le ore rubate alla giovinezza che non tornerà più, e nessuno verrà sbattuto in galera per questa imperdonabile colpa.
Candidato al Premio Strega 2019, il romanzo di Carla Maria Russo scatta la fotografia della provincia italiana nei primi anni del ventesimo secolo. Rigorosamente in bianco e nero, l’immagine di un sottobosco sociale viene inviata alla cronaca abituata a sentire parlare di sè con sentimenti pieni di compassione.


Amara giovinezza quella di Maria, chiamata a lavorare per don Francesco, il signorotto del paese padre di quattro figli, in attesa del quinto che nascerà a breve. Il piccolo si chiamerà Luigi e fin da bambino esibirà orgoglioso la sua natura ribelle.
Maria avrà il compito di consumare la suola delle scarpe per non far mancare l’acqua nella Casa Grande di don Francesco. Tre chilometri separano la fonte dal paese, nè la pioggia nè la neve potranno impedire di portare a termine il lavoro. Maria è l’acquaiola. Giovane, fresca più della fonte generosa, la giovane donna placa la sete piegata in due dalla fatica per assicurare il bene primario dell’uomo. Avvezza all’uso delle braccia fin da bambina, Maria non ha mai conosciuto voce di conforto nei momenti, tanti, proliferati nella solitudine devastante. Con lei solo lei, coraggio ispirato dalla sua stessa assenza, appena un accenno di luce foriera di gioie per donare un abbraccio al silenzio.


La cornice sociale identifica il momento storico in cui la povertà entrava come un virus in tutte le case. Dura è la vita quando combatterla è il primo appuntamento dopo la colazione al mattino. In tutto questo girone infernale la dignità fatica a sopravvivere sul volto sempre più rugoso, i capelli ogni giorno più bianchi. Si cresce in fretta, si salta sopra gli anni con rabbia e dolore, il tempo per pensare viene preso a morsi dalla fame dilagante casa per casa.
La bellezza di Maria non l’aiuta di certo ad evitare la montagna delle ingiuste penitenze, anzi, si fa miele per le api giù in picchiata a violare il suo onore.


“Maria è bella. Ma tutti ne sono intimiditi perchè lei esce dagli schemi, dalle abitudini consolidate, dalle certezze scolpite nel tempo”.
Gli uomini sono attratti dalla virtù ma sanno anche respingerla quando questa supera il confine dell’impero maschilista. Non è pensabile sposare la bellezza di una donna indipendente, praticamente impossibile da dominare.
“E che figura ci fa, un uomo, se non riesce a comandare la moglie?”
A nessuno verrà in mente di portare all’altare una donna diventata madre dopo aver subito violenza. Quando Maria dà alla luce la piccola Nella, la disperazione della sua croce si prepara a raccogliere le pietre lanciate dalle lingue di  calunnia al suo passaggio. Non tutte. Il paese mette al bando il padre della violenza costringendolo in un esilio forzato.
“Ora la sua vita non sarà altro che un calvario, ben peggiore di quanto abbia mai conosciuto fino a quel momento, un’espiazione senza fine della sua inettitudine”.


Poi la nuova generazione sorprende.
Dieci anni corrono sulle orme cresciute di Luigi, ormai un uomo con un importante bagaglio culturale, marito e padre di Ermes, un bambino destinato a perdere la madre nell’età in cui il grembo materno è stato abbandonato da poco.
Il lungo sonno dei sentimenti sembra essersi concluso con l’intreccio delle prove esistenziali di Maria e Luigi, avvicinati da uno strambo conflitto di stelle sotto il cielo imparziale con tutti.
Dietro al sorriso si nascondono le miserie della vita trascinate con il senso del dovere, maestro severo del sacrificio. Alle lacrime spetta il buio della notte per imparare a nuotare negli abissi dell’anima.
Si rimane inevitabilmente coinvolti nella lettura di un romanzo spartiacque tra la condizione delle donne nel sud d’Italia, prima della promulgazione delle leggi che hanno cambiato la storia dell’emancipazione femminile in Italia.


Una dopo l’altra, le storie parallele alla vicenda personale di Maria sfilano sulla passerella di un ampio ventaglio di sentimenti emotivi, Carla Maria Russo raduna in una scrittura dal notevole stile linguistico e narrativo un momento storico consegnato alla memoria.
Il romanzo è assai minuzioso nella descrizione dei personaggi, non tanti, e comunque tutti relegati un passo indietro l’aurea tenace di Maria, il cui motto fa da segnalibro all’ultimo dei momenti precipitato nel pozzo dei desideri.
“La vita è dura. Prima lo capisci e meglio è per te”.





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