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Oasi Culturale

LE “VESPE” DI ARISTOFANE

Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana parleremo delle “Vespe” di Aristofane, commedia greca scritta nel 422 a. C. ma ancora molto attuale.
Se vi va, scriveteci: redazione@ilsudest.it/alexargeriwork@gmail.com

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di Alessandro Andrea Argeri

Scritta dal commediografo greco Aristofane nel 422 a. C, “Vespe” è una commedia incentrata sulle derive della magistratura popolare ateniese, nonché della tendenza alla condanna facile del popolo. I cittadini di atene dovevano essere estremamente litigiosi per ricorrere sempre alla giustizia di Stato. Mentre i ragazzi andavano in guerra a combattere nella guerra del Peloponneso, le giurie popolari erano ormai composte quasi esclusivamente da persone anziane, le quali si illudevano in questo modo di svolgere ancora una funzione sociale importante, ossia di essere ancora in grado di pungere, di qui la metafora dei giudici popolari come Vespe. Aristofane li ritiene invece soltanto uno strumento nelle mani del potere del demagogo ateniese Cleone. Quest’ultimo aveva portato da due a tre oboli il compenso per i giudici popolari. Tuttavia la somma era l’equivalente a più o meno la metà dello stipendio mensile di un operaio. Eppure la smania degli ateniesi per i processi crebbe comunque.L’anziano Filocleone è terribilmente malato. La sua malattia? La mania di partecipare ai processi come giudice popolare. Il figlio Schifacleone decide allora di rinchiuderlo in casa per impedirgli di correre in tribunale. Il padre le prova tutte per scappare, ma vanamente. Il figlio riesce ad avere la meglio anche sul coro, rappresentato dai compagni di Filocleone. Spiega Schofacleone: il grande potere che essi credono di esercitare, il motivo della loro ossessione per i processi, è in realtà soltanto una grande mistificazione, poiché essi sono solo uno strumento nelle mani di chi esercita il potere.Alla fine Schifacleone consente al padre di assistere a un processo. Tuttavia l’imputato è un cane, colpevole di aver rubato un pezzo di formaggio. Filocleone è propenso a condannarlo, ma il figlio lo induce ad essere mite, ovvero ad assolverlo. Il cane non viene condannato, così il giudice, sconvolto dall’inaspettata conclusione del giudizio, decide finalmente di smetterla con i processi. Schifacleone decide allora di educare il padre alla vita mondana dei simposi, attività considerata aristocratica nella Grecia antica. Tuttavia l’anziano si comporta barbaramente: prima insulta i convitati, poi sottrae loro un’avvenente flautista. Si sfiora la rissa, un invitato minaccia Filocleone di citarlo in giudizio, però quest’ultimo afferma di non volerne più sapere nulla dei tribunali. Alla fine i convitati escono di scena danzanti in un corteo di giubilo.

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