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IL GIGANTE DI FERRO

Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana parleremo de ”Il Gigante di Ferro”, capolavoro d’animazione diretto da Brad Bird nel 1999.
Se vi va, scriveteci: redazione@ilsudest.it/alexargeriwork@gmail.com

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Credit foto Wikipedia

di Alessandro Andrea Argeri

Esempio di come non sempre qualità significhi meritocrazia nell’immediato, il “Gigante di Ferro” è oggi riconosciuto come uno dei film d’animazione migliori di sempre, anche se al botteghino risultò un flop da trenta milioni di dollari. Tratto liberamente dal libro “L’uomo di Ferro”, scritto da Ted Hughes nel 1968, la trama è incentrata sulle avventure di un bambino con un robot gigante. Ricordate qualcosa? I più acculturati del genere fantasy avranno già riconosciuto l’impostazione della saga Transformers diretta quasi dieci anni dopo da Michael Bay.

Nel 1957, appena dopo il lancio del satellite Sputnik, una gigantesca figura cala dal cielo come un meteorite, precipita in mare nel corso di una tempesta, impatta contro un peschereccio. Il marinaio, unico testimone dell’accaduto, prova a raccontare quanto ha visto, tuttavia non viene creduto.

In una piccola città di nome Rockwell un bambino di 9 anni di nome Hogarth Hughes vive con la madre Annie, cameriera. Rimasto una sera a casa da solo, il segnale della televisione si interrompe improvvisamente: sia l’antenna sia parte del cortile di casa sono devastati, così decide di seguire la pista degli alberi spezzati, fino ad addentrarsi nella foresta. Giunto nei pressi della centrale elettrica locale, Hogarth incontra un enorme robot alto 30 metri. Terrorizzato, il bambino inizia a darsi alla fuga mentre il robot si dirige verso la centrale elettrica. Rimasto impigliato fra i cavi dell’alta tensione, il gigante di ferro rischia però di morire. Allora Hogarth, impietosito, torna indietro per salvarlo, così, nel momento in cui spegne l’interruttore generale della centrale, il gigante si riprende. Sulla via del ritorno a casa, il bambino racconta tutto a sua madre, senza tuttavia essere creduto.

Dopo vari avvistamenti, sarà il governo statunitense a sospettare della presenza di un alieno nei pressi della piccola Rockwell. Si reca sul posto un ispettore speciale governativo, Kent Mansley, il quale rimodulerà il suo scetticismo nel momento in cui la sua macchina verrà “azzannata come un tramezzino”. Quello stesso pomeriggio Hogarth torna nella foresta con l’obiettivo di incontrare nuovamente il robot. Quest’ultimo si mostra inoffensivo, così i due iniziano un’insolita amicizia, attraverso la quale gradualmente emergerà nel robot alieno una personalità umana.

Centrale per tutto il film è il tema dell’esistenzialismo, nonché dell’essere umano: siamo chi scegliamo di diventare. Ted Hughes scrisse “L’uomo di ferro” per confortare i suoi figli dopo il suicidio della moglie moglie attraverso la metafora del Gigante in grado di riassemblarsi da solo dopo essere stato danneggiato. Il regista della pellicola non si limitò a riprendere lo stesso concetto, bensì lo estese a una domanda: “che succederebbe se un’arma avesse un’anima e si rifiutasse di essere un’arma?“. Le nostre scelte influenzano la nostra vita, determinano chi siamo, ci accompagnano per tutto il resto dell’esistenza, questo il senso del film.

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