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Oasi Culturale

Louis-Ferdinand Céline, la guerra e l’editoria.

Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana la riscoperta in Francia di Louis-Ferdinand Céline consente di formulare una breve riflessione sull’evoluzione del mercato dell’editoria.
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Copertina di “Guerre”, di Louis-Ferdinand Céline (Wikimedia Commons, dominio pubblico).

di Alessandro Andrea Argeri

Quante volte vi è capitato di leggere le trame di più libri ma di avere l’impressione di leggere sempre la stessa? Se la maggior parte degli scritti vi sembrano tutti uguali non vi preoccupate, è effettivamente così, è il motivo per cui non vengono pubblicati. Ormai sembra quasi ogni libro debba avere: un omicidio, una scena di sesso, frasi ad effetto, ottimismo. Altrimenti non esiste alcuna speranza di successo. Se invece un libro non avesse queste caratteristiche? Talvolta accade. Si parla allora di una bella sorpresa. In Italia possiamo citare “La Cognizione del dolore”, di Gadda, pubblicato con Einaudi nel 1963. Il rapporto distruttivo di un figlio violento con un’ anziana madre, la quale piomba in un’agonia notturna. Tuttavia non sappiamo quanto le sia realmente accaduto. Potrebbe essere stata colpita a morte dal figlio, oppure potrebbe essere solo la vecchiaia.

Come ha sottolineato sul Corriere Paolo di Stefano (“Salviamo il soldato Gadda”), “il romanzo è incompiuto, preceduto da una introduzione coltissima, piena di parentesi, di parole difficili, di avverbi improbabili, di raffinate allusioni letterarie. Insomma, un disastro per un libro che si auguri davvero: di trovare il consenso di un editore, di avere, se mai dovesse uscire, più dei manzoniani 25 lettori benevoli”. Eppure venne promosso, premiato, vendette 45 mila copie nei primi sei mesi, con pure un paio di ristampe. Un risultato da best seller se confrontato con i numeri dell’editoria odierna.

Caso ancora più clamoroso è quello di “Guerre”, in Francia. Scritto nel 1934, il romanzo non solo è frammentario, ma è anche scritto da Louis-Ferdinand Céline, un autore molto poco gradito al pubblico, non a caso il libro è stato lungamente sepolto tra gli inediti finché non sono state rinvenute dalla sera alla mattina seimila pagine di appunti. La storia, ambientata nelle Fiandre durante la prima Guerra Mondiale, è semplicemente il delirio rabbioso del brigadiere Ferdinand nel momento in cui rimane ferito sul campo di battaglia. In certi passaggi gli insulti sembrano quasi essere stati usati al posto della punteggiatura. Ad ogni modo, è uscito questo maggio, pubblicato da Gallimard a distanza di quasi novant’anni. Il risultato? “Ovviamente un fiasco. Chi darebbe un euro a una roba simile!”, penserete voi. Invece parliamo di 200mila copie vendute in soli quattro mesi. Antisemita, razzista, crudo, diventa ora un bestseller nazionale. Il pubblico lo ha accolto benissimo, nonostante tutto, o forse proprio per i suoi difetti. D’altronde la letteratura non è necessariamente identificazione, infatti il secolo scorso intendeva l’effetto letterario come straniamento.

Cosa possiamo aspettarci allora dai pochi nuovi autori disposti a rappresentare la violenza, sia fisica sia verbale? Ovazione alla Céline? Il riconoscimento di pochi alla Gadda? Se l’editoria è in profonda crisi è forse perché sono mutate le necessità del lettore nel mercato editoriale? Oppure sono cambiati i lettori? Quanto viene pubblicato oggi è in linea con i gusti correnti? Ha ancora senso proporre la storia del detective dalla vita travagliata, bisognoso di innamorarsi per risolvere il caso irrisolvibile? Perché si è restii a pubblicare scritti in cui la violenza è rappresentata nella sua realtà? Spesso tali contenuti sono segnati come “espliciti”, come se si trattasse della peggiore pornografia. Poi però quando si ha il coraggio di ricorrere a tali “forzature” il pubblico apprezza. Acquista allora ancora più significato una frase dello stesso Céline: “La guerra è chiusa nella mia testa”.

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